Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18167 del 01/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 01/09/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 01/09/2020), n.18167

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17940-2017 proposto da:

TRENITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.

G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

71, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA FLORITA, rappresentato

e difeso dall’avvocato MASSIMO FLORITA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1694/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 12/01/2017 R.G.N. 870/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/01/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento per quanto

di ragione del terzo e del quarto motivo, inammissibilità o rigetto

nel resto;

udito l’Avvocato GAETANO GIANNI’, per delega verbale Avvocato ARTURO

MARESCA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Cosenza che aveva respinto l’opposizione proposta da Trenitalia s.p.a. avverso il decreto con il quale B.A. aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 44.357,79 in base alla sentenza dello stesso Tribunale, confermata dalla Corte di appello, che accertata tra le parti una intermediazione fittizia di manodopera, aveva condannato la società al pagamento delle differenze retributive maturate dal maggio 1998 al luglio 2002.

2. Per quanto qui interessa, con riguardo alla computabilità a fini retributivi delle c.d. carte di libera circolazione (C.L.C.) ed alle modalità di calcolo delle relative voci, il giudice di secondo grado ha ritenuto che la società nel proporre l’opposizione al decreto ingiuntivo aveva contestato l’an della computabilità della voce e non anche il quantum.

3. Conseguentemente ha ritenuto inammissibile in appello le censure attinenti alla quantificazione formulate solo in quel grado di giudizio, tenuto conto del fatto che su di esse aveva statuito la sentenza sulla base della quale il decreto ingiuntivo era stato emesso.

4. Ha quindi rammentato che anche le mere liberalità hanno nel rapporto di lavoro la loro causa tipica e normale e fanno perciò parte della retribuzione evidenziando che le carte di libera circolazione sono connaturate al rapporto di lavoro come forma di compartecipazione all’utile aziendale e, perciò, sono computabili ai fini della determinazione delle differenze retributive.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Trenitalia s.p.a. affidato a cinque motivi ai quali ha resistito con controricorso B.A.. Originariamente fissata la decisione in camera di consiglio la causa, in vista della quale la società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., la causa è stata poi rinviata a nuovo ruolo e fissata per la decisione all’odierna pubblica udienza insieme ad altre controversie di analogo contenuto.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. 21 novembre 1955, n. 1108, artt. 1 e 7 della L. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 10, comma 15 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ad avviso della società ricorrente erroneamente la Corte di appello ha riconosciuto il diritto del lavoratore all’inclusione del controvalore della Carta di libera circolazione tra le voci retributive da prendere in considerazione nel calcolo delle differenze spettanti al lavoratore in attuazione della sentenza passata in giudicato che aveva accertato l’interposizione fittizia, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato ab origine con la società Ferrovie dello Stato, oggi Trenitalia, ed aveva condannato la società ad erogare al lavoratore le differenze retributive a lui spettanti. La società ricorrente – ricostruita la disciplina delle Carte di libera circolazione, originariamente rientranti tra le concessioni di viaggio previste dalla L. 21 novembre 1955, n. 1108 e, successivamente alla privatizzazione delle Ferrovie dello Stato, disciplinate dalla contrattazione collettiva anche aziendale, ed in particolare dall’Accordo di confluenza del 16 aprile 2003 e del 25 novembre 2003 – osserva che nel periodo oggetto della domanda proposta in giudizio le disposizioni collettive invocate, intervenute successivamente, non erano ancora vigenti.

7. Con il secondo motivo la società ricorrente deduce che, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e con violazione dell’art. 115 c.p.c., la sentenza ha posto a fondamento della sua decisione prove insussistenti atteso che prima dell’accordo di confluenza del 2003 non vi era alcun accordo che prevedesse il riconoscimento delle carte di libera circolazione.

8. Il terzo motivo di ricorso censura la sentenza per avere, in violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,416 e 437 c.p.c. ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, erroneamente ritenuto che la contestazione contenuta nell’atto di appello della quantificazione, avallata dalla sentenza di primo grado, del controvalore delle C.L.C. fosse inammissibile perchè non era stata tempestivamente sollevata sin dal ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo. Sostiene la società che nel contestare il parametro utilizzato per la quantificazione del valore da attribuire alle C.L.C., non previsto in alcuna norma di legge o di contratto, si era posta in discussione l’esistenza stessa del diritto, non tanto la correttezza dei conteggi sviluppati del ricorso per decreto ingiuntivo, e la censura doveva essere considerata ammissibile trattandosi di argomentazione che sollecitava la verifica dell’esistenza di un elemento costitutivo del diritto reclamato in giudizio. Rileva inoltre che, contrariamente a quanto affermato, i conteggi erano stati contestati nel ricorso in opposizione ponendosi in rilievo proprio che in mancanza di una fonte legale o contrattuale di riferimento il calcolo era stato affidato ad un criterio empirico individuato dal lavoratore e se ne era sollecitata comunque una verifica anche per il tramite di una consulenza contabile; dunque il consulente che li aveva calcolati aveva utilizzato un criterio empiricamente da lui individuato, ritenuto arbitrario del quale si era chiesta una verifica anche a mezzo di ctu di tal che non si poteva dubitare dell’avvenuta tempestiva contestazione atteso che si era escluso il riferimento al c.c.n.l., si era denunciato che la quantificazione era il risultato di una interpretazione soggettiva da parte del consulente del ricorrente, ed i conteggi erano il frutto di una arbitraria integrazione del c.c.n.l..

9. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso denunciano entrambi l’avvenuta violazione e falsa applicazione degli artt. 2094,2099 c.c. e dell’art. 36 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3..

9.1. Con riferimento alla individuazione del controvalore economico della Carta deduce che erroneamente la Corte territoriale aveva confermato la correttezza del parametro, utilizzato dal primo giudice, del valore di acquisto dall’esterno della carta di libera circolazione nominativa. Osserva la ricorrente che le due carte devono essere tenute distinte essendone diversa la causa e la stessa utilità economica. A conferma del suo assunto rammenta che il prezzo di acquisto della carta da parte di terzi (nel 1998 pari a Lire 12.000.000) era di poco inferiore allo stipendio annuo di un dipendente con la qualifica del ricorrente nello stesso periodo (E 12.264.311) con la conseguenza, irragionevole, che per effetto del computo del beneficio tra le differenze retributive il lavoratore avrebbe nella sostanza raddoppiato la sua retribuzione. Sottolinea che quando sono stati introdotti criteri di quantificazione delle C.L.C. (con la legge finanziaria relativa all’anno 2003 e con il D.M. 12 novembre 2009) gli importi fissati per un valore virtuale erano del tutto differenti (Euro 130,00 ed Euro 135,00 annui).

9.2. Inoltre ritiene la società ricorrente che abbia errato il giudice di appello nel far rientrare le carte di libera circolazione (c.l.c.) tra le componenti della retribuzione, trascurando di verificarne la corrispettività e l’obbligatorietà, caratteristiche queste necessarie per ricondurre l’attribuzione nell’ambito della retribuzione quale disciplinata dagli artt. 2094 e 2099 c.c.. Sostiene infatti che la natura di mera liberalità dell’erogazione sarebbe confermata dalla circostanza che si tratta di compenso aggiuntivo che ha causa e natura diversa da quella del contratto di scambio e non è soggetta alla disciplina della retribuzione al cui versamento si obbliga il datore di lavoro ex contractu. Evidenzia che la circostanza che il lavoratore non possa ottenere il rimborso di biglietti non utilizzati nè possa scegliere se usufruire della Carta o chiederne il controvalore economico ne confermerebbe la natura di mero vantaggio attribuito al lavoratore privo delle caratteristiche di una componente della retribuzione.

10. il ricorso deve essere accolto per le ragioni che di seguito si espongono.

10.1. Va rammentato che le Carte di libera circolazione – originariamente rientranti tra le concessioni di viaggio disciplinate L. 21 novembre 1955, n. 1108, artt. 1 e 7 (provvedimento definitivamente abrogato dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133) – vennero abolite con la L. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 10, comma 15 successivamente alla privatizzazione del servizio di trasporto ferroviario. La disposizione ricordata ha infatti disposto che, a decorrere dal 15 gennaio 1986, tutte le concessioni gratuite di viaggio, le riduzioni e le agevolazioni tariffarie, per le quali l’Ente Ferrovie dello Stato ha diritto a compensazione ai sensi del regolamento CEE n. 1191/69 relativo agli obblighi di servizio pubblico, sono abolite, fatta eccezione per le concessioni gratuite di viaggio attualmente in vigore concernenti gli accompagnatori di persone invalide.

10.2. Per effetto della privatizzazione del servizio ferroviario con la L. 17 maggio 1985, n. 210, infatti, all’allora costituito Ente Ferrovie dello Stato fu richiesto di provvedere alle sue finalità “con criteri di economicità e di efficienza e nel rispetto dei principi della normativa comunitaria” (v. art. 2 legge cit.) e di gestire il rapporto con il personale dipendente con criteri privatistici “su base contrattuale collettiva ed individuale” (v. art. 21 legge cit.). Conseguentemente, nell’ambito di un generale quadro di delegificazione, ai sensi dell’art. 14 citata legge, la regolamentazione del rapporto di lavoro, con le modalità previste dall’art. 21, commi 2 e ss., è stata integralmente rimessa alla contrattazione collettiva. L’assetto giuridico disegnato dalla L. n. 210 del 1985 era incompatibile con le disposizioni della L. n. 1108 del 1955 che poneva a carico dell’Azienda delle Ferrovie dello Stato oneri di concessione che, nel nuovo regime risultavano incompatibili con una gestione “economica” del servizio. Di qui l’abolizione delle concessioni di viaggio come previsto nella ricordata L. n. 41 del 1986.

10.3. Come si è ricordato la L. n. 210 del 1985, art. 21 nel demandare alla contrattazione collettiva ed individuale la disciplina del rapporto si è limitato a mantenere fermo, nelle more della definizione della disciplina generale del trattamento previdenziale ed assistenziale, quello già vigente di cui ha trasferito il carico finanziario dall’ente.

10.4. Il diritto al beneficio già in godimento è stato progressivamente ristretto tanto che con D.M. 15 aprile 1987 è stata disposta, a partire dal 1 gennaio 1988, la soppressione dell’obbligo di rilascio delle concessioni di viaggio al personale delle Ferrovie dello Stato transitato all’amministrazione dello Stato e solo per il personale che abbia maturato il diritto a pensione al momento del passaggio, si è previsto che debba essere praticato il trattamento relativo a tali concessioni riconosciuto al personale rimasto in servizio presso l’Ente, ovvero al personale a riposo della soppressa Azienda autonoma.

10.5. Successivamente, nell’ambito della effettiva delegificazione della materia, l’art. 69 del c.c.n.l. 1990/1992 ha previsto una nuova disciplina, di carattere esclusivamente pattizio, da attuare entro il 31 dicembre 1990 in base ad accordi fra le parti collettive.

3.7. A questa disciplina deve ascriversi l’accordo sindacale 15 maggio 1991 con cui si è convenuto, a decorrere dal 1 gennaio 1992, di rilasciare ai dipendenti in servizio e a riposo una carta di libera circolazione valida per un numero illimitato di viaggi “finchè permane titolo a godere del beneficio in base alla normativa vigente”.

10.6. Solo con il contratto aziendale del Gruppo FS, Accordo di confluenza al c.c.n.l. delle attività ferroviarie, del 16 aprile 2003 le c.d. carte di libera circolazione (C.L.C.) hanno trovato una disciplina compiuta e se ne è previsto il rilascio al personale in servizio ed agli ex dipendenti a riposo delle Società firmatarie dell’accordo, nel ricorso di una serie di condizioni, per consentire loro l’accesso per un numero illimitato di viaggi sui treni delle Società del Gruppo e per l’intera rete ferroviaria.

10.7. Tanto premesso va qui ricordato che questa Corte si è occupata della computabilità nel trattamento economico del controvalore delle carte di circolazione nel caso di mobilità del personale dell’ex azienda Ferrovie dello Stato ad altra amministrazione dello Stato e lo ha escluso sul rilievo che, a prescindere dalla natura retributiva o meno del beneficio nell’ambito del rapporto con le Ferrovie dello Stato, si trattava di un vantaggio economico connesso alle particolari caratteristiche e modalità della prestazione svolta presso l’ente di provenienza, la cui conservazione, a carico delle Ferrovie dello Stato (ora società per azioni), restava limitata, secondo la disciplina contrattuale successiva al processo di delegificazione introdotto dalla L. n. 210 del 1985 (art. 69 c.c.n.l. 1990-1992; accordo sindacale 15 maggio 1991) ai dipendenti che, al momento del trasferimento, avevano maturato il diritto a pensione (cfr. per tutte Cass. Sez. U. 21/06/2010 n. 14898).

10.8. Orbene nel caso in esame viene in rilievo proprio la natura da attribuire all’agevolazione concessa dalla società ai suoi dipendenti, in servizio o in pensione. Occorre verificare in particolare se si tratta di una erogazione di carattere retributivo che pertanto rientra tra i compensi spettanti al lavoratore per effetto della fittizia ricostituzione del rapporto in esito al giudizio che ne ha accertato la natura subordinata condannando la società al pagamento delle differenze retributive maturate e non prescritte ovvero se sia classificabile come mera liberalità non computabile.

10.9. Il criterio seguito da questa Corte nell’individuare la natura retributiva di un benefit è stato individuato nella riferibilità dello stesso a spese che, se pur indirettamente collegate alla prestazione lavorativa, sono comunque a carico del lavoratore sicchè la concessione del benefit si risolve, in buona sostanza, in un adeguamento della retribuzione (cfr. Cass. 24/06/2009 n. 14835, 03/11/2000 n. 14388, 30/07/1993 n. 8512 e 05/07/1991 n. 7646). Ove per contro il benefit costituisca una reintegrazione di una diminuzione patrimoniale, allorchè ad esempio si riferisce a spese che il lavoratore dovrebbe sopportare nell’esclusivo interesse del datore di lavoro, allora ha una funzione riparatoria della lesione subita (cfr. Cass. n. 14385 del 2009 cit.).

10.10. Le utilità offerte al lavoratore da ricondurre alla nozione di retribuzione sono quelle che risultano intimamente connesse al sinallagma genetico e funzionale del rapporto di lavoro di cui costituiscono un corrispettivo. Il criterio per ritenere retributiva una erogazione è dato pertanto dal rapporto sinallagmatico prestazione/contro-prestazione propria del rapporto di lavoro.

10.11. Non soccorre in tal senso la nozione onnicomprensiva della retribuzione richiamata dagli artt. 2120 e 2121 c.c., quest’ultimo quale criterio di computo dell’indennità di mancato preavviso prevista dall’art. 2118 c.c., richiamati dalla Corte di appello per avvalorare la computabilità del controvalore delle C.L.C. peraltro calcolata con un parametro esterno al rapporto di lavoro stesso.

10.12. Per il trattamento di fine rapporto e per il preavviso infatti il riferimento è comunque al computo di compensi che possono essere qualificati come retributivi. Ma l’agevolazione di libera circolazione riconosciuta è ancorata allo status di dipendente, o ex dipendente pensionato ed è del tutto svincolata dalla natura e dalle modalità della controprestazione lavorativa. Si tratta di agevolazione che, se rimasta inutilizzata, non è suscettibile, alla scadenza, di essere tramutata in un controvalore economico nè tanto meno è possibile richiederne la sostituzione con il pagamento di una somma di danaro.

10.13. Tali caratteristiche, complessivamente valutate non consentono perciò di far rientrare le C.L.C. tra le componenti della retribuzione da prendere in considerazione ai fini del calcolo delle differenze retributive spettanti per effetto della costituzione ab origine di un rapporto di lavoro subordinato nel caso di accertata interposizione fittizia ai sensi della L. n. 1369 del 1960 che possono riguardare soli i corrispettivi, pur nel senso ampio sopra richiamato della prestazione resa in favore di un datore di lavoro che ex post è stato accertato essere tale.

11. All’accoglimento delle censure che investono la computabilità stessa delle C.L.C. nell’ambito della retribuzione consegue il venir meno della necessità di esaminare le altre censure mosse alla sentenza che, per profili differenti, ne presuppongono l’inclusione tra gli elementi da prendere a riferimento per il calcolo delle differenze retributive azionate con il decreto ingiuntivo opposto.

12. Per effetto dell’accoglimento del ricorso la sentenza deve essere cassata e rinviata ad altra Corte di appello, che si individua in quella di Reggio Calabria, la quale previa revoca del decreto ingiuntivo opposto scomputerà dalle somme richieste quelle riferibili alle Carte di libera circolazione. Alla Corte del rinvio è rimessa inoltre la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza e rinvia alla Corte di appello di Reggio Calabria che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2020

 

 

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