Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18166 del 26/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 18166 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 5151-2011 proposto da:
LIMA AMILCAR DE ANTONIA LMIMCR70A30Z307K,

DUCCI

ALESSANDRO DCCLSN70A26H501B, DA LUZ AUGUSTO FERNANDO
DLZGTF62T05Z307D, elettivamente domiciliati in ROMA,
PIAZZA T DE CRISTOFORIS l, presso lo studio
dell’avvocato BOGNETTI PIETRO, che li rappresenta e

2013
1526

difende unitamente all’avvocato VINCENZO BELLUCCI,
giusta delega in atti;
– ricorrenti contro

*

ALBA DUE S.R.L., ora SERAFINI S.R.L., in persona

del

Data pubblicazione: 26/07/2013

legale

rappresentante

pro

tempore,

05219431003,

domiciliaLa in ROMA, VIA CHIANA 48, presso lo SLudiú
dell’avvocato PILEGGI ANTONIO, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– controricorrente

di ROMA, depositata :11 23/02/2010 r.g.n. 3673/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/05/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato BELLUCCI VINCENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
l’accoglimento per quanto di ragione in riferimento al
secondo motivo.

avverso la sentenza n. 9827/2009 della CORTE D’APPELLO

R.G. n. 5151/11
Ud. 7.5.2013

Con ricorso al Tribunale di Roma Alessandro Ducci, Augusto
Fernando Da Luz e Amilcar de Antonia Lima, deducendo di avere
lavorato alle dipendenze della Alba Due s.r.1., ora Serafini s.r.1.,
esercente un bar-trattoria-pizzeria, rispettivamente quale
cameriere, cuoco e uomo di fatica/lavapiatti, chiedevano accertarsi
la natura subordinata del rapporto; dichiararsi illegittimo il
licenziamento disposto nei loro confronti dalla società; la condanna
della stessa al pagamento di differenze retributive a vario titolo.
Si costituiva la società, chiedendo il rigetto del ricorso del
ricorso e, in via riconvenzionale, la condanna dei ricorrenti al
risarcimento dei danni subiti per avere i medesimi chiuso
arbitrariamente l’esercizio durante il periodo feriale.
Il Tribunale adito rigettava tutte le domande.
Su appello principale dei lavoratori ed incidentale della
società, con sentenza non definitiva depositata il 28 novembre
2007, la Corte d’Appello di Roma dichiarava la natura subordinata
del rapporto intercorso tra le parti; confermava la pronuncia di
rigetto relativa al licenziamento: condannava i lavoratori al
risarcimento dei danni a favore della società, liquidandoli in via
equitativa in E 12.000; disponeva con separata ordinanza la
prosecuzione del giudizio per l’esame della domanda relativa alle
differenze retributive chieste dai lavoratori.
Con sentenza definitiva depositata il 23 febbraio 2010 la
stessa Corte condannava la società, a tale titolo, al pagamento
della somma di e 2.276,29 a favore di Alessandro Ducci, di E
4.151,66 a favore di Augusto Fernando Da Luz e di E 394,37 a
favore di Amilcar de Antonia Lima.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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Avverso dette sentenze hanno proposto ricorso per cassazione
i lavoratori sulla base di cinque motivi, illustrato da memoria ex
art. 378 cod. proc. civ. La società ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti, denunziando violazione

437 cod. proc. civ., deducono che erroneamente la Corte
territoriale ha ritenuto inammissibili, perché nuove, le questioni
sollevate dai lavoratori in sede di appello circa lo stato di crisi in
cui si trovava l’esercizio, successivamente chiuso, e la violazione
dell’obbligo di repechage. Tali questioni erano state infatti dedotte
dai lavoratori per contestare le affermazioni contenute nella
sentenza di primo grado nonché quanto sostenuto dalla società a
sostegno della legittimità del licenziamento.
2. Il motivo non è fondato.
La Corte territoriale ha ritenuto legittimo il licenziamento per
giustificato motivo oggettivo disposto dalla società, in quanto, come
già affermato dal giudice di primo grado, esso fu determinato dalla
chiusura dell’esercizio, circostanza questa effettiva e non
pretestuosa, diversamente da quanto sostenuto dei ricorrenti.
Ha poi aggiunto, con riferimento all’asserito obbligo di
reimpiego, che nulla era stato dedotto in primo grado dai lavoratori
al riguardo, onde la tardività di tale questione aveva precluso alla
controparte di controdedurre sul punto. Si trattava dunque di
questione nuova e per tale motivo inammissibile.
I ricorrenti hanno sostanzialmente ammesso di avere dedotto
motivi nuovi e diversi in grado di appello e tanto basta per
respingere la censura relativa all’obbligo di repechage, non avendo
peraltro i lavoratori, in violazione del principio di autosufficienza
del ricorso, esposto in quali termini tale questione è stata
introdotta nel giudizio, una volta che non era stata sollevata dagli
stessi lavoratori.

degli artt. 1, 3 e 5 della legge 15 luglio 1966 n. 604 nonché dell’art.

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Quanto alla chiusura dell’esercizio, l’accertamento al riguardo
eseguito dal giudice di merito – che ha affermato che in effetti tale
chiusura fu effettiva – non può essere sindacato in questa sede,
non essendo consentito al giudice di legittimità di riesaminare il
merito della vicenda processuale e di sostituire una propria
3. Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando omessa
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio,
deducono di avere chiesto in primo grado, reiterando la richiesta in
appello, prova testimoniale – di cui riporta i relativi capitoli – al fine
di dimostrare il lavoro straordinario svolto alle dipendenze della
odierna resistente.
Tale richiesta, aggiungono, è stata rigettata dal giudice
d’appello sul rilievo che dalle registrazioni di cassa risultava che
l’orario di chiusura del locale era ben anteriore rispetto a quello
indicato nei capitoli di prova, motivazione questa palesemente
insufficiente non essendo possibile far discendere l’orario di
chiusura di un esercizio dalle registrazioni di cassa.
4. Il motivo è fondato.
La Corte territoriale sulla domanda relativa al lavoro
straordinario ha così motivato:

“Nulla spetta per lavoro

straordinario, avendo la parte datoriale documentato (registrazioni
di cassa) che l’orario di chiusura del locale (tra le ore 24 e l’una di
notte) era ben anteriore a quello allegato dai ricorrenti”.
Tale motivazione è inadeguata ed illogica, essendo evidente
che la chiusura del registratore di cassa non coincide con la
cessazione della prestazione lavorativa, la quale, specie con
riguardo al personale che opera nelle trattorie e nei ristoranti,
continua ben oltre dopo l’uscita dal locale dell’ultimo cliente e la
chiusura delle registrazioni fiscali, dovendo tale personale
provvedere ad ulteriori incombenti prima di lasciare l’esercizio
(pulizia delle) cucina, riordino della stessa, rigoverno dei locali,
risistemazione dei tavoli, etc.).

valutazione a quella data dal giudice di merito.

4

La sentenza impugnata che, sulla scorta della sola
motivazione sopra indicata, ha respinto la domanda in questione,
implicitamente rigettando anche la richiesta di prova testimoniale,
deve pertanto essere sul punto cassata.
5.

Con il terzo motivo, denunziando violazione e falsa

ricorrenti deducono che la Corte di merito ha ritenuto arbitraria la
chiusura dell’esercizio ad opera dei ricorrenti nel periodo 9 – 20
agosto 2000. Rilevano che, al più, si è trattato di un
inadempimento che, tuttavia, doveva considerarsi lecito, “atteso il

precedente inadempimento del datare di lavoro in tema di
decorrenza e di svolgimento del rapporto, sicchè esso non può
ritenersi produttivo di un danno ingiusto”. Inoltre, sul punto, la
sentenza impugnata non ha “convenientemente interpretato i dati

probatori disponibili”, male valutando la prova testimoniale.
6. Con il quarto motivo, denunziando violazione e falsa
applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., i
ricorrenti deducono che non era stata provata l’esistenza del
danno, onde nulla poteva essere liquidato a tale titolo alla società.
7. Con il quinto motivo i ricorrenti, denunziando motivazione
carente ed illogica, rilevano che il giudice d’appello ha liquidato in
via equitativa la somma di

12.000, senza spiegare perché

l’astensione dal lavoro degli stessi ricorrenti fosse illecita ed avesse
determinato un danno ingiusto. Inoltre lo stessMon ha dato conto
delle ragioni che lo hanno indotto alla liquidazione equitativa.
8. I predetti tre motivi che, in quanto connessi, vanno trattati
congiuntamente, sono infondati.
Deve premettersi che, secondo quanto più volte affermato da
questa Corte, l’esatta determinazione del periodo feriale,
presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze,
spetta unicamente all’imprenditore quale estrinsecazione del
generale potere organizzativo e direttivo dell’impresa; al lavoratore
compete soltanto la mera facoltà di indicare il periodo entro il

applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., i

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quale intende fruire del riposo annuale. Peraltro, allorché il
lavoratore non goda delle ferie nel periodo stabilito e non chieda di
goderne in altro periodo dell’anno non può desumersi alcuna
rinuncia – che, comunque, sarebbe nulla per contrasto con norme
imperative (art. 36 Cost. e art. 2109 cod. civ.) – e quindi il datore di

delle ferie non godute.
Nella specie la Corte territoriale ha affermato che dalla prova
testimoniale era emerso che i ricorrenti, senza avvertire i
proprietari, chiusero di propria iniziativa l’esercizio per usufruire
delle ferie, comunicando tale loro decisione alla aiuto-cuoca
Esposito Vincenza. Ha rilevato altresì che da tale condotta erano
sicuramente derivati danni alla società, posto che nei mesi di luglio
ed agosto vi è un maggior afflusso di clienti. Ha determinato quindi
tali danni, in via equitativa, in misura pari “a circa un terzo/ quarto

dei ricavi mensili”, detratti i presumibili costi per lo stesso periodo.
Trattasi anche qui, con riferimento alle prime due
circostanze, di un accertamento di merito non sindacabile in
questa sede, mentre, con riguardo alla valutazione equitativa del
danno, essa discende dal disposto di cui all’art. 432 cod. proc. civ.,
secondo cui, quando sia certo il diritto ma non sia possibile
determinare la somma dovuta il giudice la liquida con valutazione
equitativa.
Il ricorso a tale forma di liquidazione implica un giudizio di
merito censurabile in sede di legittimità solo per insufficienza dei
presupposti o per vizio di motivazione, peraltro deducibile
esclusivamente sotto il profilo della sua mancanza o sotto quello
della enunciazione meramente apparente (cfr., al riguardo, tra le
altre, Cass. 14 gennaio 2003 n. 458).
Il giudice d’appello, accertata la sussistenza del danno e
l’obiettiva impossibilità di una determinazione certa dell’importo
della somma dovuta alla stregua degli elementi acquisiti al
processo, ha liquidato il danno in via equitativa, dando congrua

lavoro è tenuto a corrispondergli la relativa indennità sostitutiva

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ragione del processo logico seguito ed indicando i criteri assunti a
base del procedimento valutativo.
9. In conclusione va accolto il secondo motivo, mentre vanno
rigettati gli altri. La sentenza impugnata va cassata in relazione al
motivo accolto, con rinvio al giudice indicato in dispositivo per il
anche sulle spese del presente giudizio.
P. Q. M .
La Corte accoglie il secondo motivo e rigetta gli altri. Cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche
per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma in data 7 maggio 2013.

riesame sul punto della controversia. Il giudice di rinvio provvederà.

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