Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18166 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. I, 05/07/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 05/07/2019), n.18166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14315/2015 proposto da:

B.F., B.A., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Antonio Bertoloni n. 19, presso lo studio dell’avvocato Iacopini

Luca, rappresentati e difesi dall’avvocato Volpe Angelico Antonio,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Caripe S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Barberipi 67 presso

lo studio dell’avvocato Improda Alberto, rappresentata e difesa

dall’avvocato Marsilio Antonio, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 393/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 16/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/03/2019 dal cons. Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Con atto di citazione del 19.6.2003, i sigg.ri F. ed B.A. convenivano innanzi al Tribunale di Pescara la Banca Caripe S.p.a. per sentir:

– accertare e dichiarare l’arbitrarietà degli addebiti operati dalla convenuta sul conto corrente del sig. B.F. e pertanto ordinare lo storno delle somme ingiustamente addebitate, pari ad Euro 2.314,13;

– dichiarare l’illegittimità dei protesti levati dalla Caripe ed ordinarne, se di competenza, la cancellazione dall’elenco nazionale e regionale dei protesti tenuto presso la Camera di Commercio;

– dichiarare la responsabilità della banca che aveva iscritto il nominativo dell’attore prima dei termini previsti e condannare la convenuta al risarcimento dei danni morali, quantificati in Euro 144.276,96.

Si costituiva in giudizio Banca Caripe spa che chiedeva il rigetto di tutte le domande degli attori.

Il Tribunale di Pescara, con la sentenza n. 134/2009, in parziale accoglimento delle richieste attoree, condannava la banca convenuta allo storno della somma di Euro 2.314,13 in relazione ad addebiti illegittimamente effettuati, dichiarava conseguentemente illegittimo il protesto dell’assegno e condannava la convenuta al risarcimento dei danni nei confronti del solo B.F., quantificati in Euro 6.000,00.

La Corte d’Appello de L’Aquila, con la sentenza n. 393/2014, in riforma delle statuizioni di prime cure, respingeva tutte le domande proposte dai sig.ri B. ad eccezione della sola domanda di “storno”, ritenendo legittimo il protesto dell’assegno e rigettando la domanda di condanna della banca al risarcimento del danno.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, i sigg.ri F. ed B.A..

Banca Caripe s.p.a. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 324,329,342,346,359 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale pronunciato ultra petita su capi e punti della decisione di primo grado in assenza di specifico appello incidentale della banca.

I ricorrenti lamentano, in particolare, che la Corte territoriale abbia riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva accertato l’illegittimità del protesto.

Il motivo è infondato.

Dall’esame della comparsa di costituzione in appello della banca convenuta riportata nel controricorso, si osserva, anzitutto, che la stessa ha qualificato il proprio atto difensivo come comparsa di costituzione e risposta e contestuale appello incidentale e che, come ritenuto, con adeguato apprezzamento di merito dalla Corte territoriale, cui è riservata l’interpretazione delle domande e degli atti difensivi delle parti, essa aveva censurato il capo della sentenza di prime cure con cui il Tribunale aveva dichiarato l’illegittimità del protesto dell’assegno di Euro 2.500,00 ed aveva conseguentemente condannato la Banca al risarcimento dei danni, quantificati nella misura di Euro 6.000,00, allo storno della somma di Euro 2.314,13.

Non sussiste dunque la dedotta violazione di legge.

L’effetto devolutivo dell’appello entro i limiti dei motivi d’impugnazione preclude al giudice del gravame esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi, neanche implicitamente, nel tema del dibattito esposto nei motivi d’impugnazione, mentre non viola il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” il giudice di appello che fondi la decisione su ragioni che, pur non specificamente fatte valere dall’appellante, tuttavia appaiano, nell’ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico. Nel giudizio d’appello, infatti, il giudice può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, purchè tale indagine non travalichi i margini della richiesta, coinvolgendo punti decisivi della statuizione impugnata suscettibili di acquisire forza di giudicato interno in assenza di contestazione, e decidere, con pronunzia che ha natura ed effetto sostitutivo di quella gravata, anche sulla base di ragioni diverse da quelle svolte nei motivi d’impugnazione. (Cass. 9202/2018).

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1823 c.c. e ss e art. 1842 c.c. e ss in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale ritenuto indisponibile per il B. la somma necessaria a copertura dell’assegno emesso in data 30 giugno 2002, non tenendo conto dell’esistenza di un affidamento concesso per Euro 5.165,00 a valere sul conto corrente.

Il motivo è inammissibile poichè tende a sollecitare un riesame sulla valutazione delle risultanze istruttorie da parte della. Corte territoriale, in relazione alla ricostruzione delle singole operazioni compiute dal correntista, che, costituendo accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, non è sindacabile nel giudizio di legittimità.

Si osserva, in particolare, che con i motivi del ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poichè in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass. 22478/2018).

Con il terzo motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte territoriale, a seguito di un’inesatta valutazione delle risultanze istruttorie, determinata da una lettura parziale e fuorviante dell’estratto conto, statuito l’illegittimità del protesto dell’assegno.

Il motivo è inammissibile.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto in modo analitico di tutte le risultanze probatorie (Cass. 27415/2018).

Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno indicato uno specifico fatto con carattere di decisività il cui esame sia stato omesso, limitandosi a contestare genericamente, la valutazione della documentazione in atti da parte della Corte territoriale, la quale, sulla base del complessivo esame della documentazione contabile e degli altri documenti allegati, ha escluso, con apprezzamento adeguato, l’illegittimità del protesto.

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del(ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 5.200,00 di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte da ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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