Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18166 del 01/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 01/09/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 01/09/2020), n.18166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5410-2015 proposto da:

CONSOLATO GENERALE DEL BRASILE, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO SERRA

21, presso lo studio degli avvocati SALVATORE ALBERTO RASI, MARINA

CAPPELLINI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO D’ITALIA

106, presso lo studio dell’avvocato CARLO IZZO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5395/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/09/2014 R.G.N. 348/2012.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Roma ha rigettato il gravame proposto dal Consolato del Brasile avverso la sentenza di primo grado con cui era stata accolta la domanda di A.G., assunto fin dal 1985 alle dipendenze del medesimo con mansioni di autista, finalizzata al riconoscimento, per quanto qui ancora interessa, delle differenze retributive in ragione del rivendicato diritto al livello B3 del c.d. CCNL Farnesina;

secondo la Corte territoriale, la contrattazione collettiva rivendicata sarebbe stata applicabile al contratto tra le parti in ragione dei “costanti richiami ad essa operati e nelle buste paga… e dal contenuto del contratto individuale di lavoro e del relativo allegato”;

la Corte di merito riteneva altresì che lo svolgimento di mansioni superiori fosse desumibile dalle deposizioni di tutti i testi escussi, per avere il ricorrente svolto attività di autista del capo missione, oltre a mansioni aggiuntive di tipo impiegatizio, così come era dovuta l’indennità di maneggio denaro, perchè prevista da clausola del contratto individuale predetto;

il Consolato ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso dell’ A..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo il ricorrente adduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss. (art. 360 c.p.c., n. 3), sul presupposto che non fosse sufficiente l’applicazione di alcune clausole di un certo contratto collettivo a far desumere l’adesione implicita delle parti rispetto ad esso, sicchè nel caso di specie, ove l’unico implicito richiamo al CCNL c.d. Farnesina riguardava l’applicazione del criterio salariale per l’indennità di maneggio denaro, a fronte di vari elementi in aperto contrasto con la predetta disciplina collettiva (differente periodo di prova e di orario lavorativo; differenti termini di preavviso etc.), non sussistevano i presupposti per la conclusione assunta dalla Corte distrettuale;

il ricorrente aggiunge altresì che le buste paga da cui la Corte territoriale aveva desunto l’applicazione del menzionato contratto collettivo non contenevano alcun richiamo ad esso e comunque erano redatte da un soggetto terzo, quale era il consulente del lavoro e dunque del tutto estraneo alle volontà contrattuali intercorse tra il dipendente ed il datore di lavoro;

infine, sempre nell’ambito del motivo, si osserva come la S.C. avesse già riconosciuto in altre occasioni che il CCNL c.d. Farnesina non fosse in alcun modo applicabile all’Ambasciata del Brasile, che non l’aveva mai sottoscritto nè accettato;

il motivo va disatteso;

il richiamo ai precedenti di questa Corte relativi ai rapporti di lavoro con l’Ambasciata del Brasile non è conferente, in quanto in due di quei casi il CCNL c.d. Farnesina fu applicato solo come parametro esterno di determinazione del giusto trattamento ex art. 36 Cost. (Cass. 20 giugno 2008, n. 16866; Cass. 9 giugno 2008, n. 15148) e nel terzo (Cass. 21 aprile 2005, n. 8296) si era esclusa l’applicazione del predetto contratto per doversi applicare la disciplina brasiliana sui contratti, in luogo di quella italiana;

nel caso di specie, la Corte territoriale ha invece ritenuto che la volontà delle parti, quale ricostruibile sulla base del contratto individuale e relativo allegato, nonchè di quanto mensilmente corrisposto, fosse nel senso di prevedere l’applicazione dei trattamenti di cui al menzionato contratto collettivo;

rispetto a tale convincimento di merito, il motivo si presenta inammissibile, in quanto esso non trascrive nel contesto dell’argomentazione il contenuto del contratto della cui interpretazione si discute, nè delle buste paga di cui si nega qualsiasi idoneità a dimostrare la volontà negoziale;

la formulazione del motivo si pone dunque in contrasto con i presupposti di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, (Cass. 24 aprile 2018, n. 10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014, n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in particolare, qui, ai nn. 4 e 6 cit. disposizione, da cui si desume la necessità che la narrativa e l’argomentazione siano idonee, riportando anche la trascrizione esplicita dei passaggi degli atti su cui le censure si fondano, a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente negli atti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti (v. ora, sul punto, Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34469);

più in generale, si deve poi tenere conto che il richiamo, nella sentenza impugnata, alle buste paga, appare inteso piuttosto a far leva sui trattamenti con esse attribuiti che non a valorizzare richiami testuali al CCNL c.d. Farnesina e sul punto il motivo nulla concretamente dice, con riferimento ai trattamenti di cui alle buste paga, quanto a retribuzioni pagate o istituti riconosciuti nel tempo;

il motivo, in sostanza, si traduce in una complessiva e generica richiesta di rivisitazione della valutazione di merito, certamente estranea al giudizio di legittimità;

con U secondo motivo il Consolato afferma la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14 della Convenzione di Vienna del 1961, resa esecutiva in Italia con L. n. 804 del 1967 (art. 360 c.p.c., n. 3) e ciò sul presupposto che per capo-missione, in tale norma, si intendesse l’Ambasciatore, di cui l’ A. non era mai stato l’autista, e non il Console, sicchè non ricorrevano i presupposti per l’applicazione della norma contrattuale collettiva sulla cui base aveva deciso la Corte di merito;

il motivo è inammissibile, in quanto esso non coglie la complessiva ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale, ha affermato che l’ A. “svolgeva prevalentemente mansioni di autista del Console e quindi quelle di autista capo missione oltre a mansioni aggiuntive di tipo impiegatizio”;

essa, pertanto, nel riconoscere lo svolgimento di mansioni superiori rispetto a quelle di inquadramento, non ha fatto leva soltanto sulle mansioni di autista del lavoratore, rispetto alle quali peraltro il richiamo al Console come capo missione va inteso in relazione alla posizione di vertice del Consolato, ma anche sulle mansioni aggiuntive di tipo impiegatizio svolte;

pertanto, la critica mossa con il motivo, al di là del suo fondamento o meno, è solo parziale e, come tale, inadeguata a scalfire un impianto motivazionale munito di fondamento più ampio;

il terzo motivo di ricorso sostiene la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, sul presupposto che la motivazione sarebbe del tutto inidonea ad attestare come e perchè dalle buste paga si dovesse desumere l’intenzione del consolato di dare applicazione alla disciplina pattizia collettiva; il motivo è infondato, in quanto il senso della motivazione della Corte territoriale, già sopra riferito, è quello per cui i trattamenti di cui alle buste paga avrebbero documentato, per tutto l’arco del rapporto, l’applicazione di quella contrattazione collettiva;

ciò consentiva appieno alla parte di criticare la conclusione, sulla base di una contraria disamina dei trattamenti corrisposti, sicchè il difetto processuale-motivazionale non può dirsi sussistente;

nel quarto motivo si sostiene che la Corte territoriale avrebbe violato o falsamente applicato l’art. 112 c.p.c., per non avere pronunciato sul motivo di appello con il quale si contestava che, nel determinare il minimo costituzionalmente dovuto della retribuzione, si fosse ritenuto di riconoscere anche la quattordicesima mensilità;

si tratta di motivo che si deve ritenersi implicitamente disatteso dalla Corte territoriale, la quale, argomentando sull’applicazione pattizia del CCNL c.d. Farnesina, non aveva proprio ragione di affrontare il tema del c.d. minimo costituzionale ex art. 36 Cost. ed anche gli emolumenti riconosciuti si deve ritenere che lo siano stati perchè previsti dal CCNL c.d. Farnesina;

con il quinto motivo è censurata la pronuncia di appello per violazione dei criteri di interpretazione dei contratti (art. 360 c.p.c., n. 3), sostenendosi che il richiamo nel contratto individuale all’indennità di maneggio denaro andasse inteso come riferito al solo periodo in cui nel medesimo contratto si dava atto che, pur essendovi stato tale maneggio, non erano stati riconosciuti i conseguenti diritti dal 1985 al 2003;

il motivo è inammissibile, in quanto esso non si confronta con l’articolata ratio decidendi che fa riferimento alle risultanze testimoniali, in una con il dato contrattuale relativo al fatto che le mansioni comportassero in misura rilevante la responsabilità per maneggio di denaro;

al di là di tutto, il fatto che il contratto riconoscesse tale diritto rispetto al periodo in cui i corrispondenti emolumenti non erano stati corrisposti, non può poi certamente portare ad escludere che, nella sussistenza di quelle mansioni e responsabilità, il consequenziale diritto alla loro remunerazione sussistesse anche per il periodo successivo;

il ricorso va dunque integralmente respinto, con regolazione secondo soccombenza delle spese del grado.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2020

 

 

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