Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18165 del 05/09/2011

Cassazione civile sez. I, 05/09/2011, (ud. 04/04/2011, dep. 05/09/2011), n.18165

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.A.M. (c.f. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. DORIA 48,

presso l’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO, che li rappresenta e

difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA depositato il

l9/05/2008, nn.- 53723, 53725, 53726, 53727/06 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato RODA RANIERI, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’accoglimento del secondo

motivo; rigetto degli altri.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con separati ricorsi – poi riuniti – alla Corte d’appello di Roma, D.A.M. e le altre undici persone indicate in epigrafe proponevano domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio in materia di impiego pubblico, da esse instaurato nei confronti del Ministero della Giustizia dinanzi al TAR Lazio nel gennaio 1995, definito in primo grado con sentenza di accoglimento depositata nel novembre 1998, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza depositata nel marzo 2006.

La Corte d’appello, ritenuta la durata ragionevole di tre anni per il primo grado e di ulteriori due per il secondo grado, liquidava il danno non patrimoniale per la residua durata irragionevole, determinata in sei anni, con la somma di Euro 6.000,00 per ciascuna delle ricorrenti. Avverso tale decreto, depositato il 19 maggio 2008, le medesime ricorrenti hanno proposto ricorso a questa Corte con atto notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 3 luglio 2009, formulando tre motivi. L’Amministrazione intimata non ha spiegato difesa. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

Con il primo motivo ci si duole della determinazione della durata irragionevole del giudizio presupposto, denunziando violazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2) e contraddittorietà di motivazione in ordine al calcolo espresso in decreto: detraendo la durata ragionevole di cinque anni dalla durata complessiva di undici anni e due mesi, la Corte di merito avrebbe dovuto determinare la durata irragionevole in sei anni e due mesi, non già in soli sei anni. Il motivo è infondato, perchè nella durata del processo della quale l’Amministrazione deve rispondere non può essere compreso il periodo di tempo – nella specie due mesi – impiegato dalla parte per proporre l’impugnazione avverso la sentenza di primo grado: non merita dunque censura il decreto che, sia pure implicitamente, ha tenuto conto di tale principio. Il secondo motivo ha ad oggetto la statuita attribuzione di interessi legali a decorrere dal decreto anzichè dalla domanda (violazione L. n. 89, art. 2), ed il terzo la liquidazione delle spese del giudizio di equa riparazione (violazione art. 91 c.p.c. e normativa sulle tariffe). Il secondo motivo è fondato, essendosi la corte di merito discostata dal principio, consolidato nella giurisprudenza di questa corte (cfr. ex multis:

Cass. n. 27193/2009; n. 1393/2007; n. 18105/2005; n. 2382/2003), secondo cui gli effetti della pronuncia che accerta l’obbligazione indennitaria scaturente dalla eccessiva durata del processo retroagiscono alla data della domanda. Il provvedimento impugnato è dunque cassato sul punto, restando assorbito in tale pronuncia il terzo motivo; e, decidendo nel merito, deve condannarsi la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere ai ricorrenti gli interessi legali sulla somma liquidata a decorrere dalla domanda di equa riparazione.

Quanto alla liquidazione delle spese del giudizio di merito, questa corte ha già avuto modo di affermare (cfr. ex plurimis Cass. n. 10634/2010) l’orientamento – che il collegio condivide – secondo cui la condotta di più soggetti i quali, non dimostrando interesse alla diversificazione delle rispettive posizioni (nella specie, tutte basate sulla qualità di parti nel medesimo procedimento presupposto), propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale (ed identico contenuto), dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione in quanto connesse per l’oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo, sanzionabile con l’eliminazione – per quanto possibile – degli effetti distorsivi che ne derivano (sotto il profilo dell’ingiustificato aumento degli oneri processuali), e quindi con la liquidazione degli onorari come se il procedimento fosse stato unico, con la conseguente irrilevanza della distinzione tra attività compiute prima e dopo la riunione. In tal senso quindi si provvede, come da dispositivo, alla liquidazione, nel rispetto dei limiti di tariffa, delle spese del giudizio di merito poste a carico della Amministrazione intimata, con distrazione in favore dei difensori dei ricorrenti dichiaratisi antistatari. Le spese di questo giudizio di legittimità vengono -tenuto conto della parziale infondatezza del ricorso – compensate per metà tra le parti; la residua quota, che si liquida come in dispositivo, va posta a carico della Amministrazione intimata, con distrazione in favore dei difensori dei ricorrenti dichiaratisi antistatari.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini indicati in motivazione;

cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento degli interessi legali sulla somma liquidata a decorrere dalla domanda. Condanna inoltre la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento delle spese del giudizio di merito, in Euro 1700,00 per diritti, Euro 600,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi, nonchè della metà delle spese di questo giudizio di legittimità, quota pari a Euro 500,00 per onorari e Euro 50,00 per esborsi, oltre – per entrambi i gradi – spese generali ed accessori di legge, compensata tra le parti la residua quota. Spese da distrarsi, quanto a quelle per il giudizio di merito, in favore degli avvocati Ferdinando E. Abbate e G. Ferriolo e, quanto a quelle per il giudizio di legittimità, in favore dell’avv.. Ferdinando E. Abbate.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2011

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