Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18164 del 05/09/2011

Cassazione civile sez. I, 05/09/2011, (ud. 04/04/2011, dep. 05/09/2011), n.18164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso l’avvocato

POTTINO GUIDO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ZAULI CARLO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente ~

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA depositato il

07/02/2009; n. 44/08 V.G.E.R.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo,

rigetto degli altri.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con ricorso alla Corte d’appello di Ancona del gennaio 2008, M.M. proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio per revocazione di una sentenza civile in tema di divisione ereditaria, instaurato nei suoi confronti dinanzi alla Corte d’appello di Bologna nel marzo 1995, definito nel merito con sentenza di rigetto depositata nel maggio 2004, avverso la quale nel maggio 2005 era stato proposto ricorso per cassazione, ancora pendente nel gennaio 2008.

La Corte d’appello, ritenuta la durata irragionevole del giudizio presupposto nella misura di nove anni, liquidava il danno non patrimoniale per tale ritardo con la somma di Euro 10.000,00. Avverso tale decreto, depositato il 7 febbraio 2009, M.M. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 13 ottobre 2009, formulando quattro motivi. Resiste il Ministero della Giustizia con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

1. Con il primo motivo si censura la determinazione della durata irragionevole del giudizio presupposto, deducendo la contraddittorietà della motivazione esposta nel decreto: stabilita la durata ragionevole complessivamente in tre anni, la Corte avrebbe dovuto determinare la durata eccedente in dieci anni e dieci mesi, non in nove anni. La doglianza è infondata. Tra l’inizio del procedimento presupposto (marzo 1995) ed il deposito della domanda di equa riparazione (gennaio 2008) sono intercorsi dodici anni e dieci mesi, dai quali devono detrarsi: a) il periodo di durata ragionevole, determinato dalla Corte in due anni per il giudizio di merito e in un anno per quello di cassazione; b) il tempo (circa dodici mesi) utilizzato dalla parte per impugnare la sentenza della Corte d’appello: tale protrazione della durata del processo non è invero ascrivibile (se non nella misura strettamente necessaria per predisporre l’impugnazione) alla organizzazione del servizio giudiziario nè in generale alla Amministrazione dello Stato, e dunque di tale ritardo non risponde l’Amministrazione resistente. La determinazione in nove anni della durata del processo alla quale deve riferirsi l’indennizzo in questione non merita dunque censura.

2. Con il secondo motivo ci si duole della liquidazione dell’indennizzo in misura (Euro 1144,00 circa per anno) che la ricorrente giudica del tutto irrisori tenuto conto della ingente posta in gioco nel giudizio presupposto (un consistente patrimonio ereditario), denunciando violazione della L. n. 89 del 2001, della L. n. 848 del 1955, art. 6, dell’art. 111 Cost., degli artt. 2059, 2043 e 1226 cod. civ. Va tuttavia osservato che la Corte di merito non si è affatto discostata dai parametri (oscillanti tra Euro 1000,00 e 1500,00 per anno) normalmente adottati dalla Corte Europea in casi analoghi, ai quali ha fatto espresso riferimento: ha dunque validamente esercitato la sua discrezionalità nella determinazione dell’indennizzo nel rispetto dello standard di base della CEDU, motivando peraltro congruamente il suo convincimento con riguardo allo specifico caso in esame. La doglianza è dunque infondata. 3.

Altrettanto vale per il terzo e quarto motivo, con i quali la ricorrente torna a dolersi della irrisorietà della liquidazione dell’indennizzo effettuata dalla Corte di merito, sotto il profilo sia della mancata considerazione della svalutazione della moneta medio tempore verificatasi (violazione artt.1223, 1226, 2056, 2059 c.c. in relazione al’art. 360 c.p.c., n. 3) sia della motivazione insufficiente in relazione alle peculiarità del caso. Invero, ribadito – in relazione al secondo profilo di doglianza – quanto già rilevato in ordine alla motivazione della valutazione dell’indennizzo, in relazione al primo profilo deve rammentarsi che l’obbligazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 ha natura indennitaria, e rientra nell’ampia nozione contemplata dall’art. 1173 cod. civ., sì che deve escludersi l’applicazione nella specie del disposto degli artt. 1223 e 1224 cod. civ. e l’indennizzo va determinato – come la Corte di merito non ha mancato di evidenziare – con riferimento al momento della decisione, restando quindi implicitamente inclusi in tale valutazione eventuali mutamenti del valore della moneta verificatisi medio tempore.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 900,00 per onorari, oltre le spese prenotate a debito. Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2011

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