Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18163 del 24/06/2021

Cassazione civile sez. I, 24/06/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 24/06/2021), n.18163

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 17569/2017 proposto da:

Yahoo Emea Limited, Yahoo Italia S.r.l. in liquidazione, in persona

dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente

domiciliate in Roma, Piazza di Campitelli n. 3, presso lo studio

dell’avvocato Colella Domenico, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Consonni Marco, giuste procura speciale per

Notaio R.J. di Dublino (Irlanda) del 28.6.2017, con

apostille n. (OMISSIS) e procura a allegata al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Garante per la Protezione dei Dati Personali, in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi

n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta

e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

D.B.C., elettivamente domiculiato in Roma, Corso

Vittorio II n. 308, presso lo studio dell’avvocato Ruffolo Ugo, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Loccisano Valter,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12623/2016 del TRIBUNALE di MILANO, pubblicata

il 05/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/03/2021 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale SGORI Carmelo, che chiede che la Corte di

cassazione rigetti il ricorso indicato in epigrafe; con le

conseguenze di legge.

 

Fatto

LA CORTE OSSERVA

1. – Con ricorso proposto a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152, avanti al Tribunale di Milano, Yahoo EMEA Limited e Yahoo Italia s.r.l. domandavano l’annullamento del provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali emesso il 25 febbraio 2016. Deducevano, in particolare: che il 22 aprile 2015 D.B.C. aveva inviato a Yahoo Italia una richiesta fondata sul diritto all’oblio, avente ad oggetto la rimozione dai risultati delle ricerche su internet effettuate con l’utilizzazione dei servizi di ricerca Yahoo in Europa di diversi URL, specificamente individuati, che collegavano il nome dell’interessato a una vicenda giudiziaria che si asseriva non più interessare il diritto di cronaca; che Yahoo Italia aveva replicato di non poter dar riscontro alla richiesta in quanto non era titolare del trattamento dei dati personali di D.B.; che quest’ultimo aveva quindi depositato un ricorso al nominato Garante; che le richieste formulate erano state parzialmente accolte, essendo stato ordinato a entrambe le società di rimuovere, in modo permanente, gli URL indicati nel ricorso, cancellando anche le copie cache dalle pagine accessibili attraverso i predetti URL; che con il detto provvedimento il Garante aveva poi dichiarato non luogo a provvedere in merito agli URL che erano stati già rimossi e aveva infine dichiarato l’inammissibilità di ulteriori richieste che qui più non rilevano.

Resistevano in giudizio il Garante per la protezione dei dati personali e D.B..

Con sentenza del 15 gennaio 2016 il Tribunale di Milano rigettava il ricorso. Il giudice del merito riteneva che il Garante avesse il potere di emettere il provvedimento impugnato nei confronti di Yahoo EMEA, società di diritto irlandese: rilevava, in proposito, che, in base al reg. 1215/2012/UE, doveva aversi riguardo al luogo in cui l’evento dannoso si era verificato e che, in tal caso, doveva ritenersi competente, a scelta dell’attore, sia il giudice del luogo del fatto generatore del danno, sia il giudice del luogo in cui si era verificato il danno stesso: sicchè assumeva rilievo la circostanza per cui la lesione del diritto di D.B. si era consumata nel luogo e nel momento in cui lo stesso aveva acquisito consapevolezza della reperibilità, attraverso una ricerca effettuata con il mero inserimento del proprio nome sul motore di ricerca Yahoo Search, di numerosi articoli di stampa relativi alla vicenda giudiziaria di cui si è detto. Aggiungeva che alle medesime conclusioni era possibile pervenire avendo riguardo alle previsioni dell’art. 13 CEDU (Convenzione Europea dei diritti dell’uomo) e dell’art. 47 della Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea); richiamava, altresì, l’art. 4.1, lett. a), dir. 95/46/CE, secondo cui ciascuno Stato membro applica le disposizioni nazionali adottate per l’attuazione della direttiva al trattamento dei dati personali effettuato nel contesto delle attività di uno stabilimento del responsabile del trattamento nel territorio dello Stato membro e rilevava che ai fini della precisa individuazione della nozione di stabilimento doveva aversi riguardo sia al grado di stabilità dell’organizzazione, sia all’esercizio effettivo delle attività. Il Tribunale osservava, poi, come l’operazione consistente nel far comparire su una pagina internet dati personali andasse considerata come un “trattamento”, ai sensi dell’art. 2, lett. b), dir. 95/46/CE. Rilevava, inoltre, che Yahoo Italia forniva alcuni servizi di supporto a Yahoo EMEA e che quest’ultimo utilizzava il proprio stabilimento, costituito dalla società italiana, per la promozione e la vendita di spazi pubblicitari. il Tribunale osservava, poi, come, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia, i diritti fondamentali della persona interessata dovessero prevalere non solo sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse del pubblico a trovare l’informazione in occasione di una ricerca concernente il nome di quella stessa persona. Con riferimento alle modalità del trattamento e al correlato diritto dell’interessato a che la divulgazione dei propri dati personali risponda a criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza e non eccedenza rispetto allo scopo, oltre che di esattezza e coerenza, rimarcava che le società ricorrenti si erano limitate genericamente a contestare la prevalenza del diritto all’oblio di D.B., senza nulla allegare chiaramente in merito all’interesse pubblico quanto alla conoscenza di atti di indagine relativi al procedimento penale per il quale, oltretutto, non era stata pronunciata alcuna condanna. Da ultimo, con riferimento alle copie cache – che la ricorrente lamentava determinasse l’eliminazione definitiva dell’informazione dall’indice del motore di ricerca, e dunque anche dal contenuto sorgente, con pregiudizio per il diritto dell’interesse del pubblico alla conoscenza delle dette notizie -, osservava come il provvedimento adottato fosse conforme ai principi ispiratori del reg. 2016/6790/UE che aveva previsto il diritto a una cancellazione estesa dei dati personali oggetto del trattamento.

2. – La detta sentenza del Tribunale di Milano è stata impugnata per cassazione da Yahoo Italia e da Yahoo EMEA con un ricorso articolato in cinque motivi. Resistono con controricorso D.B.C. e il Garante per la protezione dei dati personali.

Il pubblico ministero ha rassegnato conclusioni scritte, domandando il rigetto del ricorso.

3. – Col primo motivo sono denunciate violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 7, par. 2, del reg. 1512/2012/UE. Osservano le ricorrenti che aveva errato il Tribunale nel ritenere applicabile al procedimento trattato avanti al Garante, il quale non disciplinerebbe, a loro avviso, le controversie in materia amministrativa, il reg. 1215/2012/UE. Rilevano le istanti, al riguardo, che il Garante è un’autorità amministrativa indipendente mentre il cit. art. 7, par. 2 assegna la giurisdizione all’autorità giurisdizionale del luogo dove l’evento dannoso si è verificato. Viene in conseguenza escluso che il detto regolamento possa essere invocato per dar ragione del potere esercitato dal Garante.

Col secondo motivo sono lamentate violazione e falsa applicazione dell’art. 13 CEDU e art. 47 della Carta di Nizza. Viene rilevato che le norme indicate non operano come criterio di riparto della giurisdizione tra le autorità gli Stati membri dell’Unione, ma come enunciazione di principi generali a cui le legislazioni nazionali sono tenute a uniformarsi.

Il terzo mezzo oppone violazione e falsa applicazione degli artt. 4, par. 1, lett. a) e 28, par. 1 e par. 6 dir. 95/46/CE. Viene osservato che la giurisdizione di ciascuna autorità garante della privacy è circoscritta al territorio dello Stato membro presso cui la stessa è istituita e che tra le diverse autorità è previsto un rapporto di collaborazione, e non certo di sovrapposizione funzionale. Con riferimento, poi, alla “giurisdizione” del Garante nei confronti di Yahoo EMEA, viene lamentato che il giudice del merito abbia valutato superficialmente i rapporti intercorrenti tra la stessa e Yahoo Italia, osservandosi come quest’ultima non avesse, in realtà, alcuna relazione col motore di ricerca, gestito interamente dalla società di diritto irlandese.

Con il quarto motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 154. Deducono le ricorrenti che in base a quest’ultima disposizione l’Autorità garante ha competenza giurisdizionale per materia circoscritta alle sole questioni strettamente attinenti al trattamento dei dati personali; nel caso in esame, tuttavia, Yahoo EMEA non aveva svolto alcun trattamento dei dati personali di D.B., i quali comparivano nelle pagine corrispondenti agli URL indicati nel ricorso, ma si era limitata a localizzare in modo automatico il contenuto in questione in caso di interrogazione del motore di ricerca tramite il nome dell’interessato. In altri termini – è spiegato – il fornitore di servizi di motore di ricerca offre semplicemente uno strumento di localizzazione delle informazioni, senza esercitare alcun controllo sui dati contenuti nelle pagine web che lo stesso indicizza, ma non conosce.

Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 150 e 154, art. 15 dir. 2000/31/CE e D.Lgs. n. 70 del 2003, art. 17. Ci si duole che a Yahoo Italia sia stato ordinato di porre in essere una rimozione definitiva degli URL ad onta del fatto che la società italiana non gestisce il motore di ricerca; viene osservato che la detta società mancherebbe di legittimazione passiva in rapporto al provvedimento emanato, posto che non avrebbe alcun potere di intervento su Yahoo Search e non potrebbe, quindi, dare esecuzione al provvedimento. In proposito si deplora che il Garante abbia pronunciato l’ordine di rimozione dei contenuti lesivi del diritto all’oblio anche nei confronti della società italiana, laddove la stessa non poteva essere considerata titolare del trattamento dei dati personali di D.B.. I ricorrenti rilevano, inoltre, come il Tribunale abbia avallato un’interpretazione del diritto all’oblio, già fatta propria dal Garante nel suo provvedimento, eccessivamente sbilanciata in favore dell’interessato, a detrimento di interessi diversi, quale quello dei terzi di accedere alle pagine web per finalità diverse da quelle di una verifica sulle vicissitudini giudiziarie di D.B.. In particolare, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha disposto l’eliminazione definitiva degli URL della loro copia cache delle corrispondenti pagine internet. Sul punto, è rimarcato come la misura adottata gravi le società istanti di un’incessante attività di sorveglianza, onde evitare che gli URL già rimossi non vengano nuovamente indicizzati e che pagine corrispondenti alle cache non vengano rese disponibili sotto diversi URL: è invocato, in proposito, il cit. art. 15 dir. 2000/31/CE, secondo cui nella prestazione dei servizi telematici il prestatore non è assoggettato un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette e memorizza, nè a un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

4. – Il Collegio reputa che il ricorso meriti la trattazione in pubblica udienza, avendo riguardo alla novità di alcune delle questioni di diritto che esso pone, le quali presentano rilievo nomofilattico.

PQM

La Corte;

rinvia a nuovo ruolo per consentire la trattazione del ricorso in pubblica udienza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2021

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