Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18155 del 31/08/2020

Cassazione civile sez. I, 31/08/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 31/08/2020), n.18155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25794-2015 r.g. proposto da:

F.C., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentata e difesa,

giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato

Davide Lo Giudice, con cui elettivamente domicilia in Roma, presso

la cancelleria della Corte di Cassazione.

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. (cod. fisc. (OMISSIS)), con

sede in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore

Avv. Filippo Lo Giudice, rappresentata e difesa, giusta procura

speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Salvatore

De Miceli, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in

Canicattì, alla Via Cavallotti n. 12.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo depositata in

data 27 giugno 2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/7/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo ha rigettato l’appello proposto da F.C. nei confronti del BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., avverso la sentenza emessa in data 9.10.2008 dal Tribunale di Agrigento, con la quale era stata rigettata la domanda risarcitoria e restitutoria avanzata dalla attrice in relazione al contratto denominato “(OMISSIS)” stipulato con la banca ed in relazione al quale era stato erogato alla contraente un finanziamento pari a Lire 98.956.432.

La corte del merito ha in primo luogo ricordato che il piano finanziario sopra ricordato con la denominazione “(OMISSIS)” stipulato dalla odierna ricorrente era composto da tre diverse operazioni: i) concessione di un finanziamento per Lire 98.956.432, al tasso del 7.29%, da restituire ratealmente in 15 anni; li) investimento della somma concessa nell’acquisto di titoli obbligazionari emessi dalla MPS e non quotati e nelle quote di un fondo di investimento denominato “Ducato Gestione” spa, società controllata da MPS; iii) costituzione in pegno dei titoli e delle quote in favore della banca, a garanzia della restituzione del finanziamento. La corte territoriale ha inoltre rilevato che: a) l’art. 30, comma 6, tuf, prevede la sospensione, per la durata di sette giorni, dei contratti di collocamento di strumenti finanziari e di gestione di portafogli individuali, conclusi fuori dalla sede dell’intermediario autorizzato, periodo nel corso del quale è data la facoltà al contraente di recedere dal contratto di investimento in strumenti finanziari; b) tale facoltà di recesso deve essere espressamente indicata nei moduli o formulari consegnati all’investitore e nelle proposte contrattuali effettuate fuori sede, pena la nullità dei contratti stessi; c) l’espressione collocamento doveva considerarsi comprendere qualsiasi operazione volta ad immettere nel mercato prodotti finanziari o servizi di investimento; d) il contratto “(OMISSIS)” doveva essere considerato un contratto unitario, in quanto le singole operazioni integravano la causa unica del negozio che era indirizzata allo scopo finale dell’investimento; e) il contratto doveva dunque prevedere, nelle sue clausole, la comunicazione del diritto di recesso, non potendosi ritenere sufficiente a tal fine il richiamo contenuto nel solo prospetto informativo relativo al “(OMISSIS)”; f) non corrispondeva al vero che il D.L. n. 69 del 2013, art. 56 quater aveva fornito una interpretazione autentica dell’art. 30 TUF; g) pur dovendosi affermare che il diritto di recesso, previsto dalla normativa da ultimo indicata, dovesse essere previsto anche nei contratti denominati “(OMISSIS)” e dovesse, dunque, essere contenuto nel documento che conteneva l’accordo sulla intera operazione negoziale sopra ricordata, tuttavia il contratto in esame non poteva essere considerato come sottoscritto “fuori sede”, in quanto tale categoria contrattuale ricorre allorquando l’investimento è stato frutto di una sollecitazione proveniente da promotori finanziari della cui opera l’intermediario finanziario si avvale ed anche da parte di dipendenti della banca, situazioni in relazioni alle quali l’investitore potrebbe essere colto impreparato ovvero indotto ad una scelta negoziale non sufficientemente meditata; h) non era stata fornita la prova che l’investimento fosse stato sollecitato presso il domicilio dell’appellante da un promotore ovvero da un dipendente della MPS, essendo al contrario emersa la diversa circostanza che il contratto era stato sottoscritto dalla F. nella sua abitazione tramite la modulistica fornita dalla sorella di quest’ultima; i) non ricorrevano pertanto i presupposti applicativi dell’art. 30 TUF e la conseguente nullità nella ipotesi di mancata indicazione della facoltà di recesso; I) inammissibile per genericità era il gravame in relazione alla denunciata nullità delle clausole ritenute vessatorie ex art. 1469 quater c.c., in quanto l’appellante non aveva indicato a quali clausole del contratto si riferisse la doglianza; m) inammissibile era da considerarsi la censura in relazione al dolo, di cui sarebbe stato frutto la pattuizione negoziale, perchè censura nuova, proposta solo in appello; n) le denunciate violazioni degli obblighi informativi e comportamentali dell’intermediario finanziario, in riferimento al profilo di adeguatezza dell’investimento, dovevano considerarsi non fondate, perchè articolate in relazione alla denuncia di nullità del contratto di investimento e non già ai fini della eventuale domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, con la conseguenza che anche le domande risarcitorie e restitutorie così avanzate non potevano essere accolte perchè connesse alla prospettata nullità contrattuale.

2. La sentenza, pubblicata il 27 giugno 2014, è stata impugnata da F.C. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui la BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. ha resistito con controricorso.

La parte ricorrente ha depositato memoria difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116,253 e 257 c.p.c., nonchè degli artt. 1175 e 1375 c.c. e del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 30, commi 6 e 7, dell’art. 19, comma 2, della direttiva 2004/39/CE. Si evidenzia che doveva considerarsi un fatto pacifico e comunque dimostrato in giudizio quello secondo cui il contratto di investimento era stato sottoscritto dalla cliente fuori sede, e cioè presso la abitazione di quest’ultima, senza che fosse stato indicato il diritto di recesso normativamente previsto. A ciò si aggiunga che era onere della banca provare in senso contrario la stipulazione del contratto nei suoi locali, prova che non era stata fornita nel corso del giudizio e che, peraltro, la stessa motivazione impugnata aveva evidenziato che non era stato accertato “da chi e quando” l’investimento era stato prospettato come sicuro, con la conseguenza che, fornita la dimostrazione della stipulazione dell’accordo fuori dei locali aziendali della banca, occorreva accogliere la domanda attorea volta alla declaratoria di nullità del contratto di investimento così stipulato, per l’accertata mancanza – nel contratto ove era stato raccolto l’accordo sulla complessiva operazione negoziale sopra ricordata – dell’indicazione della facoltà di recesso accordata all’investitore.

2. Il secondo mezzo denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, artt. 27,28 e 29 Reg. Consob. 1522-1998, nonchè degli artt. 1322 e 1418 c.c. e art. 47 Cost.. Si evidenzia la violazione da parte dell’intermediario finanziario delle norme poste a presidio della corretta informazione degli investitori, per come indicate in rubrica, e l’esistenza di un conflitto di interessi della banca nel collocamento di titoli di sua proprietà ovvero della società controllata. Si evidenzia, inoltre, l’ulteriore nullità del contratto atipico concluso tra le parti, stante la non meritevolezza degli interessi perseguiti dalla parte più forte del rapporto contrattuale, per come accertato anche dalla giurisprudenza di legittimità in altre ipotesi similari.

3. Con il terzo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione dell’art. 1469 quater c.c., del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 34, comma 5, e del principio di rilevabilità d’ufficio delle nullità in ogni stato e grado del processo.

4. Il quarto mezzo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 21 e segg. Tuf, dell’art. 28, n. 4, Reg. Consob. 11522-98 e degli artt. 112 e 163 c.p.c..

5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., e comunque, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla circostanza relativa alla consegna alla ricorrente del documento sui rischi in generale.

5. Il ricorso è infondato.

5.1 Già il primo motivo non merita positivo apprezzamento.

5.1 Va in primo luogo ricordato che, secondo quanto disposto dall’art. 30, rubricato “Offerta fuori sede”, del D.Lgs. n. 58 del 1998, deve intendersi, verbatim, “per offerta fuori sede… la promozione e il collocamento presso il pubblico: a) di strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell’emittente, del proponente l’investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento; b) di servizi e attività di investimento in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio o l’attività”. Aggiunge l’art. 30, il comma 7 sopra ricordato e, per quanto qui rilevi, che “L’omessa indicazione della facoltà di recesso nei moduli o formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere fatta valere solo dal cliente”.

5.2 E’ altresì utile ricordare che la giurisprudenza di questa Corte si è già pronunciata sulla validità della formula contrattuale sopra ricordata “(OMISSIS)” (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 7776 del 03/04/2014), affermando che “l’operazione di erogazione al cliente, da parte di una banca, di un mutuo contestualmente impiegato per acquistare per suo conto strumenti finanziari predeterminati ed emessi dalla banca stessa, a loro volta contestualmente costituiti in pegno in favore di quest’ultima a garanzia della restituzione del finanziamento, dà vita ad un contratto atipico unitario, la cui causa concreta risiede nella realizzazione di un lucro finanziario, da ricondurre ai “servizi di investimento” D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, ex art. 1, comma 5″.

E’ stato altresì precisato, nel medesimo contesto decisorio ed in riferimento proprio all’operazione negoziale sopra ricordata, che il diritto di recesso, previsto in favore del risparmiatore dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 30, comma 7, nell’ipotesi di contratti stipulati fuori sede, si applica sia nel caso di vendita di strumenti finanziari per i quali l’intermediario ha assunto un obbligo di collocamento nei confronti dell’emittente, sia nel caso di mera negoziazione di titoli (cfr. sempre Cass. 7776-2014, cit. supra). Peraltro, è stato anche evidenziato che “Il D.L. 21 giugno 2013, n. 69, art. 56 quater inserito dalla legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98, il quale, novellando il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 30, comma 6, ha previsto che il diritto di recesso del risparmiatore per l’offerta fuori sede dei servizi di investimento ai applica anche ai contratti di negoziazione di titoli per conto proprio stipulati dopo il 1 settembre 2013, non è norma di interpretazione autentica, e perciò non ha avuto l’effetto di sanare la nullità dei precedenti contratti privi dell’avviso del recesso accordato all’investitore”.

5.3 Ciò posto come premessa, occorre evidenziare come risulti indiscutibile la natura unitaria della operazione negoziale articolata nel contratto “(OMISSIS)”, proprio perchè volta a consentire al cliente della banca l’accesso agli investimenti mobiliari, garantiti dalla erogazione del finanziamento e gestiti dalla banca attraverso un portafoglio titoli oggetto di pegno in favore dello stesso istituto di credito erogante il mutuo e gestore del contratto di investimento mobiliare per conto della cliente.

5.4 Risulta, tuttavia, circostanza accertata (e neanche contestata) nella sentenza impugnata quella secondo cui la sola sottoscrizione del contratto di investimento era avvenuta nell’abitazione della ricorrente, giacchè la relativa modulistica era stata consegnata dal fratello di quest’ultima ( F.G., poi, escusso come teste nel corso del giudizio). Nè la parte ricorrente ha allegato – come invece richiesto dall’art. 30 sopra richiamato – che l’investimento era stato sollecitato presso il domicilio della investitrice da un promotore finanziario ovvero da un dipendente della banca intermediaria, tale da sorprendere la ricorrente ed indurla ad aderire ad una proposta non meditata adeguatamente e da far ritenere che la “decisione di investimento” fosse stata assunta “fuori sede”.

Ne consegue l’infondatezza della doglianza così proposta e la correttezza giuridica della motivazione adottata, sul punto qui in discussione, dalla corte di merito.

Nè possono essere presi in considerazione gli ulteriori profili di doglianza sollevati sul punto solo nella memoria difensiva da ultimo depositata dalla ricorrente in ragione della loro evidente tardività ed implicanti, peraltro, ulteriori accertamenti in fatto sulle modalità di conclusione “a distanza” del contratto di investimento.

5.6 Il secondo motivo è, invece, inammissibile in ragione della novità delle questioni prospettate dalla parte ricorrente in relazione alla dedotta non meritevolezza degli interessi sottesi alla stipulazione del contratto sopra descritto, profili che sono stati sollevati solo innanzi a questo giudice di legittimità.

5.7 Il terzo motivo è anch’esso inammissibile, in ragione dell’evidente difetto del requisito di autosufficienza della censura, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., commi 1 e 6.

5.7.1 Sul punto, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019; Sez. L, Ordinanza n. 27 del 03/01/2020). Va aggiunto che, sempre secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (cfr. anche Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 29093 del 13/11/2018), i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza.

Peraltro, anche là dove il ricorrente censuri la violazione o falsa applicazione di norme processuali, quest’ultimo ha l’obbligo di specificare, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione (v. anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9888 del 13/05/2016).

5.7.2 Ciò posto in termini generali, va osservato come la ricorrente non abbia in alcun modo indicato e dedotto le clausole vessatorie della cui validità denuncia l’omesso esame da parte della corte territoriale, allegando i relativi atti, come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

5.8 Il quarto motivo è inammissibile sia perchè lo stesso non coglie la ratio decidendi della motivazione impugnata, e cioè che la domanda di restituzioni era stata collegata alla domanda di nullità del contratto e non già alla domanda di accertamento di un inadempimento contrattuale dell’intermediario finanziario agli obblighi informativi previsti, sia perchè il motivo difetta, anche in tal caso di autosufficienza, non avendo la ricorrente allegato gli atti processuali da cui si evincerebbe la diversa ricostruzione perorata dalla ricorrente, e cioè che le domande risarcitorie e restitutorie era state invece collegate alla domanda volta ad accertare il predetto inadempimento contrattuale.

5.8 Il quinto motivo è del pari inammissibile, perchè, ancora una volta, la censura non coglie la ratio della decisione, e cioè che le pur accertate violazioni degli obblighi informativi incombenti sull’intermediario non possono certo determinare l’accoglimento della domanda che era volta a far dichiarare la nullità del contratto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

 

 

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