Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18155 del 15/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 15/09/2016, (ud. 09/06/2016, dep. 15/09/2016), n.18155

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10729/2015 proposto da:

CASSA DI RISPARMIO DELLA PROVINCIA DI CHIETI SPA, IN AMMINISTRAZIONE

STRAORDINARIA, in persona del rappresentante legale pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo

studio dell’Avvocato NICOLA MAROTTA, che la rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE ENASARCO ENTE NAZIONALE DI ASSISTENZA AGENTI E

RAPPRESENTANTI DI COMMERCIO, in persona del rappresentante legale

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9,

presso lo studio dell’avvocato BARTOLO SPALLINA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’Avvocato LORENZO SPALLINA, giusta procura a

margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9086/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA del 17/12/2013, depositata il 22/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/06/2016 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato MAROTTA NICOLA, difensore del ricorrente, il quale

si riporta agli scritti e deposita procura notarile repertorio 69668

in CHIETI 06/06/2016.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 9 giugno 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Questa Corte, con sentenza n. 9086 del 22.4.2014, dichiarava improcedibile il ricorso per Cassazione proposto da Flashbank spa (ora Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti spa) avverso la sentenza della Corte di appello di Roma del 17.5.2010, quanto ai motivi primo, secondo e quinto, ed inammissibile lo stesso ricorso quanto ai restanti motivi.

Di tale decisione chiede la revocazione, ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, la Cassa di Risparmio, fondando il ricorso su un unico motivo, cui resiste, con controricorso, la Fondazione ENASARCO.

La ricorrente deduce che la sentenza n. 9086/2014 sarebbe suscettibile di revocazione per errore di fatto, ex art. 391 bis c.p.c., comma 1 e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, costituito dall’avere questa Corte – con riferimento al primo, al secondo ed al quinto motivo – erroneamente travisato la realtà processuale, affermando l’inadempimento dell’onere della ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, relativo nello specifico alla produzione degli atti processuali e dei documenti contenuti nel fascicolo di parte, o dello stesso fascicolo di parte, ed alla produzione, quanto agli atti e documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, del deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla Cancelleria del giudice che aveva pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita del visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 6.

Sostiene che, sia nel giudizio di primo grado, che in quello di appello, non era stata mai posta in discussione tra le parti la puntuale produzione da parte di Flashbank di una serie di contratti tipo riferibili a 79 delle 185 posizioni esaminate nel verbale ispettivo oltre che del verbale ispettivo medesimo, e cioè dei documenti sui quali si era radicato il contraddittorio con riferimento alla qualificazione dei rapporti esaminati, ritenuti di agenzia e non di procacciamento di affari nella pronuncia di appello.

Tali documenti e atti erano stati regolarmente prodotti quali allegati del fascicolo di primo grado, ed allegato n. 6 del ricorso in revocazione, come riconosciuto dalla stessa parte appellante nel giudizio di gravame e, d’altra parte, secondo la ricorrente, i fascicoli dei precedenti gradi di merito, oltre che il fascicolo d’ufficio del giudizio definito con la sentenza della Corte di appello di Roma, erano stati puntualmente acquisiti al fascicolo della precedente fase di legittimità, come risultante incontrovertibilmente dalla “nota di deposito e iscrizione a ruolo” relativa al ricorso notificato da Flashbank il 16.11.2010 (doc. 7, nota indicata separatamente anche nell’elenco documenti depositato con timbro di deposito del 29.11.2010 – doc. 8) e, con riguardo al fascicolo d’ufficio dello stesso giudizio, come risultante anche dall’originale della richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio relativo al giudizio R.G. n. 857/2008, alla S. C. del 15-11-2010 – indicata quale doc. 9.

Aggiunge la società che, diversamente da quanto affermato nella decisione oggetto di revocazione, la S. C., nell’esaminare il ricorso proposto da Flashbank s.p.a. avverso la pronuncia di gravame, disponeva di tutti i documenti per scrutinare i motivi di ricorso proposti, non pervenuti all’attenzione del Collegio probabilmente a causa di un disguido di cancelleria. Da ciò l’evidente errore di fatto – rilevante ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4 – che giustifica la revocazione della sentenza indicata in rubrica, per avere la stessa dichiarato la improcedibilità del primo, secondo e quinto motivo, sulla base dell’erronea supposizione che la ricorrente non avesse prodotto, unitamente al ricorso, i fascicoli dei gradi precedenti (contenenti la documentazione depositata in ogni grado di giudizio) e l’istanza in duplo prevista dall’art. 369 c.p.c., laddove tali documenti erano stati invece tempestivamente prodotti al momento dell’iscrizione a ruolo del ricorso. Il motivo è inammissibile se vengono condivise le argomentazioni che seguono.

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, deve consistere in un errore di percezione risultante dagli atti o dai documenti della causa direttamente esaminabili dalla Corte, riferito alle ipotesi in cui la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità e positivamente stabilita, sempre che il fatto del quale è supposta l’esistenza o l’inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare. E quindi, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo. Sicchè detto errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass. sez. un. 7217/2009, nonchè 22171/2010; 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007; 3652/2006; 13915/2005; 8295/2005).

Vale a questo punto precisare che la errata percezione del fatto, la svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile in cui la Corte sarebbe incorsa è il non aver rilevato la avvenuta produzione dei fascicoli di parte dei precedenti gradi di giudizio e della nota di richiesta di trasmissione, vistata, del fascicolo di ufficio relativa al giudizio in oggetto.

La Corte nella sentenza della quale si chiede la revocazione ha rilevato che l’onere di deposito degli atti processuali dei documenti e dei contratti o degli accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso sancito a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, è soddisfatto qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente, e si trovi nel fascicolo di quelle fasi, mediante il deposito di quest’ultimo, specificandosi, altresì, nel ricorso, l’avvenuta sua produzione e la sede in cui quel documento sia rinvenibile.

In particolare, per quel che rileva nel presente giudizio revocatorio, era stato precisato che il mancato adempimento, da parte della ricorrente, di siffatti oneri non consentiva alla Code di verificare se la soluzione adottata dal giudice d’appello si attagliasse al tenore testuale del contratto e al suo significato letterale, nell’intenzione dei contraenti (primo motivo) o se gli indici valorizzati fossero contraddetti da altri, pure emergenti dal contratto, idonei ad infirmare la ricostruzione della fattispecie concreta e dunque a rifluire sulla operazione di sussunzione di questa in quella astratta di cui all’art. 1742 c.c. (secondo motivo).

Lo sviluppo argomentativo della decisione pone in evidenza come l’onere del ricorrente si riferisca anche all’indicazione della sede in cui il documento di interesse sia rinvenibile.

Non rileva pertanto che si indichi, con riferimento al numero dell’allegato la nota di deposito ed iscrizione a ruolo con evidenza del deposito di n. 2 fascicoli dei precedenti gradi di merito e dell’istanza ex art. 369 c.p.c. e che tale indicazione sia anche contenuta nell’elenco dei documenti depositato separatamente, o che figuri indicata negli allegati la richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio, ove dei contratti e del verbale di accertamento ispettivo non si indichi la precisa sede di rinvenimento nell’ambito di tali fascicoli, come appunto evidenziato dalla Corte di Cassazione nella sentenza impugnata nella presente sede revocatoria.

La prospettazione dell’errore imputato alla Corte non rientra pertanto nel paradigma dell’errore revocatorio, essendo la stessa fondata su proposizioni critiche dell’attività interpretativa delle norme processuali compiuta nella sentenza della quale si chiede la revocazione. In particolare, la supposta ritenuta mancata produzione dei fascicoli di parte e d’ufficio dei precedenti gradi di merito non si riconnette unicamente alla omessa rilevazione di quanto risultante invece dalla documentazione prodotta, quanto piuttosto alla motivata ed argomentata estensione dell’onere a carico della parte ricorrente relativo anche alla precisa indicazione della sede in cui i documenti sui quali il ricorso si fonda siano rinvenibili.

Le critiche proposte rifluiscono, per quanto detto, in prospettazioni di error in iudicando non rilevante quale errore revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, tenuto conto della circostanza che l’onere del deposito dei documenti e contratti è stato interpretato nei sensi indicati, sì che il rilievo effettuato con riguardo all’avvenuto deposito dei fascicoli e degli allegati relativi agli stessi non si pone in termini di decisività, posto l’ulteriore decisivo elemento riferito all’indicazione della sede di rinvenimento dello specifico documento contenuto nel fascicolo di parte o d’ufficio.

Per tutto quanto esposto, si propone la declaratoria di inammissibilità del ricorso con ordinanza, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c.”. Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. L’INPS ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2, adesiva alle conclusioni del relatore.

Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sulla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese del presente giudizio di legittimità cedono a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione comporta che venga disposto in conformità alla richiamata previsione.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso per revocazione e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2016

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