Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18151 del 31/08/2020

Cassazione civile sez. I, 31/08/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 31/08/2020), n.18151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21735/2015 proposto da:

G.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via Giacomo Puccini n.

10, presso lo studio dell’avvocato Mario Ferri, che lo rappresenta e

difende, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA POPOLARE DI MILANO soc.c.oop. a r.l., in persona del legale

rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, Via del

Plebiscito n. 102, presso lo studio degli avvocati Giuseppe

Lombardi, Renato Bocca e Alberto Deasti, che la rappresentano e

difendono, giusta procura speciale in calce al controricorso-ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 804/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 4/2/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/07/2020 dal cons. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 804/2015, depositata in data 4/2/2015, – in controversia promossa, con atto notificato nell’ottobre 2000, da G.L., nei confronti della Banca Popolare di Milano soc.c.oop. a r.l. (di seguito, B.P.M.), per sentire accertare che la condotta posta in essere dalla banca convenuta e dai suoì dipendenti (consistita nell’avere, successivamente alla stipula da parte del G., in data 26/3/1998, presso filiale della BPM, di un contratto di acquisto di 4.000 “premi dont Banca di Roma”, al prezzo base di Lire 3.400, con scadenza aprile 1998, per un corrispettivo totale di Lire 155.605.000, addebitate sul conto corrente intestato al G., indotto quest’ultimo, a fine marzo 1998, a vendere i suddetti valori mobiliari, rilasciando un ordine di vendita “al meglio”, senza quindi indicazione di un prezzo minimo, vendita poi effettuata al prezzo unitario di Lire 10, inferiore sia al corrispettivo pagato al momento dell’acquisto dei valori mobiliari, sia a quello riferibile al momento della vendita, con una perdita per l’investitore di Lire 115.610.000, avendo, oltretutto, successivamente, egli appreso che i titoli erano stati acquistati dalla stessa banca e rivenduti con un ricavo, per la stessa, di Lire 196.000.000) integrava gli estremi di un illecito penale (truffa), ai sensi dell’art. 640 c.p., o di una gestione infedele, ai sensi del D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 38 o, in via subordinata, di un inadempimento del rapporto contrattuale, con condanna della convenuta al risarcimento dei danni, patrimoniali da danno emergente e lucro cessante, e non patrimoniali, – ha riformato la decisione di primo grado, che aveva respinto tutte le domande attrici.

In particolare, i giudici di primo grado – come emerge dalla ricostruzione in fatto nella sentenza della Corte d’appello -, esaminata la consulenza tecnica d’ufficio disposta nel procedimento penale, per il reato di truffa, a carico del Direttore della filiale di Roma della banca (conclusosi con sentenza di assoluzione passata in giudicato “perchè il fatto non sussiste”), e l’istruttoria orale espletata, avevano rilevato che: a) il contratto sottoscritto dal G. “a premio dont” comportava un opzione ad acquistare o meno determinati titoli (nella specie, della Banca di Roma) ad un prezzo base pattuito, entro un determinato termine differito (denominato “giorno di risposta premi”), dietro un corrispettivo comunque anticipato dall’investitore (comprensivo di commissioni), al momento dell’ordine, con facoltà di rivendita dei titoli nell’intervallo temporale, totalmente o parzialmente, ovvero speculando sul rialzo, al di sopra del prezzo-base pattuito, del prezzo dei titoli a tale data futura; b) il G. era da anni cliente della filiale ed avvezzo ad operazioni altamente speculative, quali quelle sui derivati e di acquisto di premi dont, cosicchè non era ravvisabile alcuna negligenza del funzionario della banca in relazione all’operazione di acquisto nè poteva ritenersi che il Direttore della Filiale nel colloquio di fine marzo 1998 avesse indotto il G. alla rivendita dei titoli ad un prezzo assai inferiore a quello di acquisto, essendo stati prospettati, in quell’occasione, soltanto i profili di rischio estremamente elevato (in ipotesi, quello per l’investitore di dovere sostenere un esborso di Lire 13.600.000.000), anche per la banca (coinvolta nell’eventuale copertura del danno provocato alle controparti di mercato nel caso di mancata solvibilità del cliente) e trattandosi quindi, semmai, di una decisione frutto di una rimeditazione dell’intera operazione e dei rischi connessi; c) neppure poteva essere imputata una mala gestio della banca sia nel momento scelto dalla banca per la rivendita, avendo il consulente tecnico, in primo grado, accertato che in relazione a tali premi dont della Banca di Roma vi era stato un numero di scambi estremamente limitato ed “alla chiusura del giorno antecedente quello di ” risposta premi”” il prezzo di listino del titolo risultava inferiore rispetto alla base di riferimento, cosicchè era risultata opportuna la decisione di rivendere immediatamente il titolo, sia nel prezzo unitario della rivendita (L.10, su offerta peraltro della stessa BPM, ma verosimilmente all’insaputa dei dipendenti della filiale di Roma, in difetto di contrarie risultanze), comunque attribuibile alla contrattazione di mercato; d) non poteva quindi configurarsi nè un reato di truffa nè un illecito civilistico, da inadempimento o per avere agito in situazione di conflitto di interessi.

I giudici d’appello, nell’accogliere il gravame del G., condannando la BPM al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 59.707,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi, hanno ritenuto, invece, che: a) anzitutto, sin dal momento dell’acquisto da parte dell’investitore dei titoli in oggetto, non vì era stata da parte dell’intermediario, una corretta e previa verifica della rischiosità effettiva dell’operazione conclusa dal G. (rappresentata dall’obbligo di acquistare alla scadenza del premio azioni della banca di Roma per ben Lire 13.600.000.000, a fronte della modesta capacità finanziaria dell’investitore stesso), tanto che la banca solo successivamente alla sua conclusione aveva rilevato “la particolare rischiosità dell’operazione” e sollecitato il G. a cedere i titoli, avendo, come dichiarato dal Direttore della Filiale, “tardivamente valutato l’operazione come sproporzionata rispetto alla capacità patrimoniale del cliente” e quindi del tutto inadeguata, così violando l’obbligo di diligente informazione, attiva e passiva, di cui al D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 17, lett. a) e b) applicabile ratione temporis; b) stante l’accertato inadempimento della banca, si doveva concludere nel senso che il G., ove fosse stato preventivamente avvertito dell’elevata rischiosità dell’operazione di acquisto dei titoli, non vi avrebbe proceduto, cosi sussistendo il nesso di causalità tra la violazione degli obblighi informativi della banca ed il danno subito dal cliente; c) inoltre, come ulteriore ragione di responsabilità della banca, questa, sollecitando, prima, il G. all’immediata rivendita dei titoli ad un prezzo assai inferiore a quello di acquisto, “favorita da un mandato a vendere” al meglio”” e, poi, acquistati essa stessa i titoli, rivendendoli “due giorni dopo ad un prezzo quasi decuplicato”, aveva agito in palese conflitto di interessi. Ad avviso della Corte d’appello, doveva essere quindi riconosciuto al G. un danno emergente, corrispondente alla differenza tra quanto speso dallo stesso per l’acquisto dei titoli e quanto ricavato dalla loro rivendita, nonchè un lucro cessante, da “svalutazione monetaria sopravvenuta, dalla data della sentenza impugnata fino alla data della liquidazione”, liquidato equitativamente in misura pari agli interessi legali sulla somma originaria, rivalutata anno per anno.

Avverso la suddetta pronuncia, G.L. propone ricorso per cassazione, notificato a mezzo U.G. il 4/9/2015, affidato a tre motivi, nei confronti di Banca Popolare di Milano soc.c.oop. a r.l. (che resiste con controricorso e ricorso incidentale in quattro motivi, notificato il 14-19/10/2015). La controricorrente-ricorrente incidentale ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente principale lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c., in relazione alla mancata o inesatta determinazione del lucro cessante subito dall’investitore, assumendo il ricorrente che avrebbe dovuto riconosciuto, considerando “la comprovata abitudine del Dottor G.L. a destinare le proprie disponibilità finanziarie ad investimenti altamente speculativi e remunerativi”, anche il danno da impossibilità di gestione autonoma dell’operazione di investimento e quindi da impossibilità di vendita dei titoli al prezzo medio riferibile agli stessi nel periodo di loro possibile cessione; 2) con il secondo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato dal fatto che esso G. era un investitore esperto e che destinava abitualmente le proprie disponibilità finanziarie ad operazioni di investimento in valori mobiliari; 3) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 36 c.p.c., n. 3, dell’art. 1224 c.c., avendo erroneamente la Corte d’appello individuato il momento iniziale di calcolo della spettanza della rivalutazione monetaria in quello della sentenza di primo grado impugnata anzichè in quello della data del fato dannoso, vale a dire la rivendita dei titoli, il (OMISSIS).

2. La ricorrente incidentale lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 17, lett. a) e b), Decreto Eurosim (D.Lgs. n. 415 del 1996), per avere la Corte territoriale del tutto omesso di calibrare gli obblighi informativi a carico della intermediaria con il grado di conoscenza, esperienza finanziaria e consapevolezza del cliente nello specifico investimento, non potendo ritenersi inadempiuti tali obblighi laddove l’investitore fosse nella piena condizione di effettuare una scelta consapevole, nonchè un mancato correlato esame di una serie di circostanza integranti fatti decisivi, ex art. 360 c.p.c., n. 5, concernenti il profilo di rischio del G., laureato in economia e commercio e svolgente la professione di analista finanziario, gli investimenti, a carattere speculativo, (anche in titoli “dont”), da questi effettuati anteriormente a quello oggetto di causa, la condotta del funzionario della banca al momento dell’esecuzione dell’ordine di acquisto dei Premi, la stessa ammissione del G. in ordine alla piena consapevolezza ed autonomia della decisione di acquisto dei premi dont, il tutto in relazione alla parte della sentenza in cui ha ritenuto la Banca inadempiente agli obblighi di informarsi e di informare su di essa gravanti, cosi trascurando la primaria circostanza, ammessa dal G., in sede di atto di citazione in primo grado e di atto di appello, circa l’essere stata l’operazione di acquisto dei titoli regolarmente conclusa; 2) con il secondo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 18, comma 5 e artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione alla prova del nesso di causalità sulla base anche di presunzioni ma fondate su elementi gravi, precisi e concordanti, nonchè un mancato correlato esame di fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, sempre circa l’inesistenza del nesso di causalità, per essere l’investitore pienamente consapevole dei rischi sottesi all’investimento, tra la condotta della banca, di asserito difetto di informazione, ed il preteso danno subito dall’investitore, consistente nell’acquisto stesso dei premi; 3) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 17, lett. c) e dell’art. 4 del contratto-quadro, nonchè un mancato correlato esame di fatti decisivi, ex art. 360 c.p.c., n. 5, che escludono l’esistenza di un conflitto di interessi della Banca, per essersi resa acquirente dei premi venduti dal G. ad un prezzo, in difetto di prova di altre offerte sul mercato ad un prezzo migliore, diverso da quello di acquisto, alcuni giorni prima, da parte del medesimo, e per averli potuti rivendere, solo in parte, successivamente, sulla base delle differenze condizioni di mercato, a diverse controparti e mediante più operazioni sul mercato di borsa, senza che i funzionari della banca fossero a conoscenza che proponente acquirente dei Premi fosse la sessa BPM, per le modalità di anonimato in cui avvengono gli scambi di mercato; 4) con il quarto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1123, 1225, 1226, 2056 e 2697 c.c., nonchè un mancato correlato esame di fatti decisivi, ex art. 360 c.p.c., n. 5, lamentandosi che, da un lato, nel caso in cui la banca fosse stata ritenuta responsabile dell’operazione di disinvestimento (vendita dei Premi del 31/3/1998), alcun danno si sarebbe potuto ravvisare nell’operazione di acquisto, del tutto valida, cosicchè non era corretto utilizzare come parametro di liquidazione del danno emergente il valore dei Premi al prezzo di acquisto, e che, dall’altro lato, il c.d. danno da disinvestimento, da lucro cessante, presupponeva la prova, nella specie non fornita, che il G. avrebbe potuto disinvestire i Premi in un momento successivo a quello in cui il disinvestimento era avvenuto ed a condizioni migliori e che tale danno fosse prevedibile al tempo in cui era sorta l’operazione.

3. Preliminarmente, occorre rammentare che nel presente giudizio, instaurato, in primo grado, anteriormente al 4/7/2009, non si applica il termine lungo di impugnazione di sei mesi, introdotto dalla L. n. 69 del 2009, ma quello lungo di un anno e 31 gg. di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale (operante dall’anno 2015).

Il ricorso incidentale della banca, destinataria dell’impugnazione principale notificata dal danneggiato G., su capi autonomi della sentenza impugnata, è quindi, in ogni caso, tempestivo.

4. Il ricorso incidentale, vertente sul profilo dell’an debeatur della responsabilità risarcitoria dell’intermediario deve essere esaminato preliminarmente, attinendo il ricorso principale esclusivamente all’entità del danno liquidato dalla Corte d’appello.

5. I primi due motivi del ricorso incidentale, in punto di affermata responsabilità dell’intermediario per l’operazione di acquisto dei valori mobiliari, da trattare unitariamente in quanto connessi, sono fondati.

Deve rilevarsi che, dal tenore dello stesso ricorso per cassazione, si evince come il G. lamentasse in realtà un danno, non conseguente all’acquisto dei premi Dont, ma da disinvestimento degli stessi, assumendo che la condotta illecita della banca – di “pressione” psicologica affinchè venisse chiusa anticipatamente l’operazione di investimento, così da eliminare il rischio, per la stessa banca, di dovere provvedere alla copertura del danno provocato alle controparti di mercato nel caso di mancata solvibilità del cliente, il quale si era impegnato di acquistare i titoli oggetto di opzione, alla scadenza, al prezzo, del tutto esorbitante, rispetto alle disponibilità economiche e patrimoniali personali, complessivo di Lire 13.600.000.000 (4.000 “premi dont Banca di Roma”, al prezzo base di Lire 3.400) – avesse comportato danni per l’investitore, un danno emergente, quale differenza tra il prezzo di acquisto dei titoli e quello ricavato dalla loro rivendita anticipata, “provocata dalla banca”, ed un danno da mancato guadagno, essendo stato impedito all’investitore di vendere i titoli al prezzo riferibile agli stessi nel periodo di loro possibile cessione.

Il G., qualificandosi egli stesso un investitore speculativo, avvezzo a numerose operazioni di investimento analoghe a quella in oggetto (che avevano portato, come si legge in ricorso, il suo conto corrente presso BPM ad esporre un saldo attivo passato, nel periodo Settembre 1997/Marzo 1998, da Lire 10.000.000 a Lire 350.000.000), giunge ad affermare che, sulla fondatezza della propria doglianza in ordine al maggior danno da mancato guadagno spettantegli, non può incidere la valutazione “- peraltro erronea – operata dalla Corte d’appello di Roma nella parte di sentenza in cui afferma (pagina 19) che “stante l’accertato inadempimento della Banca sotto il primo profilo, non può non concludersi che, se il G. fosse stato preventivamente avvertito della rischiosità dell’operazione d’acquisto dei titoli, non vi avrebbe proceduto (come peraltro dimostrato dalla immediata offerta in vendita degli stessi, non appena gli è stata rappresentata)”, posto che egli, al contrario, “se anche non avesse effettuato l’operazione di investimento in esame, avrebbe certamente destinato le sue disponibilità finanziarie ad altri investimenti alternativi ad alto rendimento”. Lo stesso ricorrente principale lamenta, quale omesso esame di fatto decisivo, la mancata considerazione della sua qualità di investitore esperto e pienamente consapevole di simili forme di investimento a carattere altamente speculativo.

Ne consegue che, al di là dell’esatta o meno interpretazione del contenuto della domanda introduttiva, non oggetto di impugnazione da parte di alcuna delle parti (ed anche la ricorrente incidentale non ha invocato un vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata), non può essere imputato alla banca intermediaria la violazione degli obblighi informativi sulla stessa gravanti in relazione ad un’operazione di acquisto dei Premi Dont che lo stesso attore/investitore (su cui grava l’onere, nella materia, ove si lamenti la violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’intermediario, nel quadro dei principi che regolano il riparto degli oneri di allegazione e prova, di allegare specificamente l’inadempimento di tali obblighi, mediante la pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che l’intermediario avrebbe omesso di somministrare, nonchè di fornire la prova del danno e del nesso di causalità tra inadempimento e danno, cfr. Cass. 1111/2018) assume essere frutto di una scelta autonoma, piena e consapevole e di un regolare contratto di investimento.

Come chiarito da questa Corte (Cass. 3773/2009; Cass. 810/2016; Cass. 14335/2019), nelle azioni di responsabilità per danni subiti dall’investitore, nelle quali occorre accertare se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione (poste a suo carico dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, T.U.F., e prima ancora dal D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, nonchè dalla normativa secondaria), il riparto dell’onere della prova si atteggia nel senso che l’investitore ha l’onere di allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonchè fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento anche sulla base di presunzioni, mentre l’intermediario, a sua volta, avrà l’onere di provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte e, sotto il profilo soggettivo, di aver agito con la specifica diligenza richiesta.

Invero, la condotta omissiva da parte della banca intermediaria, vale a dire l’inadempimento dei doveri informativi, di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente (Cass. 7905/2020), viene considerata normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall’investitore, il che, tuttavia, non esclude la possibilità di una prova contraria da parte dell’intermediario circa la sussistenza di sopravvenienze capaci di deviare il corso della catena causale derivante dall’asimmetria informativa (Cass. 3914/2018), con la quale si dimostri, sulla base di elementi univocamente concludenti, che il cliente, pur avendo ricevuto la specifica informazione omessa, avrebbe confermato comunque la scelta. L’accettazione consapevole di un investimento finanziario non può che fondarsi sulla preventiva conoscenza delle caratteristiche specifiche del prodotto, in relazione a tutti gli indicatori della sua rischiosità (Cass. 4727/2018).

Da ultimo, questa Corte (Cass. 7905/2020) ha affermato che “dalla funzione sistematica assegnata all’obbligo informativo gravante sull’intermediario finanziario, preordinato al riequilibrio dell’asimmetria del patrimonio conoscitivo-informativo delle parti in favore dell’investitore, al fine di consentirgli una scelta realmente consapevole, scaturisce una presunzione legale di sussistenza del nesso causale fra inadempimento informativo e pregiudizio, pur suscettibile di prova contraria da parte dell’intermediario; tale prova, tuttavia, non può consistere nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell’investitore, desunta anche da scelte intrinsecamente rischiose pregresse, perchè anche l’investitore speculativamente orientato e disponibile ad assumersi rischi deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa nell’ambito di tutte le opzioni dello stesso genere offerte dal mercato, alla luce dei fattori di rischio che gli sono stati segnalati”.

Orbene, come obietta la controricorrente-ricorrente incidentale, delle due l’una: o l’operazione di acquisto dei Premi non avrebbe dovuto neppure avvenire, in quanto, laddove il G. fosse stato informato dalla banca di tutti i rischi connessi all’operazione di investimento, egli non avrebbe proceduto all’acquisto, con conseguente impossibilità della stessa sussistenza di un danno da disinvestimento, invocato espressamente dal G., o l’acquisto dei Premi Dont è stata una scelta del tutto consapevole del G. ed allora egli non avrebbe potuto vantare un danno conseguente all’operazione di acquisto, ma, al più, un danno da disinvestimento.

La sentenza non ha dato rilievo ad una serie di circostanze decisive, riportate nel ricorso incidentale, e di ammissioni dello stesso G., volte a provare che, al momento dell’acquisto dei premi dont, l’investitore era perfettamente consapevole del rischio sotteso all’investimento (in primis per la stessa ammissione dell’investitore e per la specifica esperienza acquisita per le stesse tipologie di investimento), tanto da non dolersi dell’operazione di acquisto dei titoli in sè, avendo già programmato una rivendita graduale dei premi nei giorni successivi, nella speranza di lucrare sul prezzo, prima della scadenza dell’investimento, ma della loro anticipata rivendita immediata e quindi del disinvestimento.

5. Anche il terzo motivo del ricorso incidentale merita accoglimento.

In generale, questa Corte ha da tempo chiarito che “la negoziazione in contropartita diretta costituisce uno dei servizi di investimento al cui esercizio l’intermediario è autorizzato, al pari della negoziazione per conto terzi, come si evince dalle definizioni contenute nel D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 1 essendo essa una delle modalità con le quali l’intermediario può dare corso ad un ordine di acquisto o di vendita di strumenti finanziari impartito dal cliente”, cosicchè “l’esecuzione dell’ordine in conto proprio non comporta, di per sè sola, l’annullabilità dell’atto ai sensi degli artt. 1394 o 1395 c.c.” (Cass. 28432/2011; Cass. 11876/2016; Cass. 15161/2018).

La Corte d’appello avrebbe dovuto verificare che effettivamente la banca intermediaria, sollecitando e non meramente consigliando il disinvestimento (la vendita dei Premi prima della naturale scadenza), avesse perseguito un interesse ulteriore e diverso da quello del cliente, sulla base di circostanze idonee ad evidenziarlo, non essendo a ciò sufficiente la mera differenza, fisiologica in qualsiasi contrattazione, del prezzo a cui l’investitore li aveva acquistati, a cui lo stesso li aveva rivenduti all’intermediario ed a cui quest’ultimo lì aveva rivenduti a terzi.

Peraltro, risulta che BPM abbia comunque acquistato utilizzando i previsti canali di borsa e che abbia potuto rivendere solo una parte dei Premi acquistati dal G..

6. Il quarto motivo è assorbito.

7. Le doglianze del ricorso principale sono di conseguenza assorbite.

8. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei primi tre motivi del ricorso incidentale, assorbiti il quarto motivo ed il ricorso principale, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso incidentale, assorbiti il quarto motivo ed il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

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