Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18151 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/07/2017, (ud. 21/06/2017, dep.21/07/2017),  n. 18151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29655-2015 proposto da:

ISTITUTO TURISTICO ITALIANO A SOCIO UNICO S.R.L., (già Istituto

Turistico Italiano S.r.l.) – P.I. (OMISSIS), in persona del suo

Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 42,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO DE PAOLIS, che la rappresenta

e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato PAOLO ERMINI;

– ricorrente –

contro

F.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA

2, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO FARANDA, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3846/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata l’11/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/06/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 11.6.2015, la Corte di appello di Roma confermava la decisione di primo grado che, in accoglimento della domanda proposta da F.R., aveva accertato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato dalla predetta con l’Istituto Turistico Italiano srl dal 1.4 al. 15.11.2010 con mansioni di governante di 2^ livello presso l’Hotel “Colonna Palace” srl e dichiarato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a partire dalla prima data, condannando la resistente alla riammissione in servizio della lavoratrice ed a corrisponderle, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32,comma 5 quattro mensilità dell’ultima retribuzione di fatto, ritenendo che, pure a volere ammettere la legittimità della ragione giustificativa del termine, era mancata la prova dell’effettiva ricorrenza delle invocate ragioni tecnico produttive a sostegno anche della disposta proroga;

che avverso tale sentenza ha proposto ricorso la società, affidato a quattro motivi, al quale ha opposto difese la F., con controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

1. che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione esemplificata;

2. che i motivi dedotti attengono: 1) alla violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 degli artt. 1418 e 1419 c.c..

2) alla violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, artt. 116,245 e 420 c.p.c. e art. 102 disp att. c.p.c. ed all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, 3) alla violazione del combinato disposto di cui all’art. 111 Cost. e art. 125 c.p.c. e 4) alla violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 6 della L. n. 604 del 1966, art. 8 ed all’omesso esame di fatto decisivo;

3. che il Collegio reputa infondato il ricorso in ordine a tutti i motivi; 4.1. che, quanto al primo motivo, questa Corte (Cass. 21 maggio 2008 n. 12985, cit. nonchè gli obiter dicta in Cass. 21 maggio 2002 n. 7468 e 26 luglio 2004n. 14011) ha avuto già modo di osservare che, anche anteriormente alla esplicita introduzione del comma “premesso” dalla L. 24 dicembre 2007 n. 247, art. 39, secondo cui “Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato”, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo pur sempre l’apposizione del termine una ipotesi derogatoria come risulta confermato dalla stessa tecnica legislativa adottata dal decreto legislativo, secondo la quale l’apposizione del termine “è consentita” solo “a fronte” di determinate specifiche ragioni derogatorie, come tali normalmente da provare in giudizio da chi le deduce a sostegno delle proprie difese;

che, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, (v. la sentenza Angelidaki, punti 120,121) deve escludersi che sussista una sostanziale fungibilità fra il contratto a termine ed il contratto a tempo indeterminato e che il lavoratore sia gravato da alcun onere probatorio o, ancora, che il contenuto dell’onere a carico del datore di lavoro si esaurisca nella dimostrazione di una ragione nè arbitraria, nè illecita, che, comunque, renda preferibile l’assunzione con contratto a termine, indipendentemente dalla puntuale specificazione di circostanze precise e concrete che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze imprenditoriali, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione di lavoro a tempo determinato (cfr., in particolare, Cass. 10033/2010, e succ. Cass. 12.1.2015 n. 208));

che la sentenza impugnata ha escluso che la ricorrente avesse adempiuto all’onere probatorio su di essa gravante, atteso che i dati statistici di cui ai prospetti prodotti, temporalmente irriferibili al periodo oggetto di controversia, che asseritamente avrebbero dovuto dimostrare l’effettività delle ragioni addotte a giustificazione del termine, provavano solo, secondo la Corte del merito, un andamento generale delle strutture recettive del Lazio e aumenti delle presenze anche in altri mesi dell’anno, essendo stata ritenuta sfornita di prova la circostanza che quelle esigenze, con nesso causale, avessero determinato la specifica necessità dell’assunzione a termine nella struttura presso cui operava la F.;

che la Corte territoriale ha, inoltre, rilevato la genericità della prova per testi non contenente alcuna specificazione circa la posizione del lavoratrice, nè della diretta incidenza dei flussi delle presenze in relazione alla stessa e nel periodo di assunzione, non essendo demandabili a testi meri giudizi. Ha, dunque, valutato sia la documentazione prodotta da ITI srl, sia il contenuto della prova testimoniale come articolata, ritenendo che la società non avesse assolto l’onere probatorio a suo carico per essersi limitata ad allegare e a chiedere di provare l’esistenza in generale di un aumento dei flussi, non consentendo l’articolazione dei mezzi istruttori di pervenire ad alcuna dimostrazione anche della necessità della permanenza della F. nella posizione lavorativa di adibizione nel periodo di durata del contratto;

che la decisione sul punto non risulta scalfita dalle generiche critiche formulate, dovendo precisarsi che è jus receptum che il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali denunciabile in sede di legittimità – peraltro, nel rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione, come definito, da ultimo da Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726 – deve riguardare specifiche circostanze oggetto della prova o del contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, sulle quali il giudice di legittimità può esercitare il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse (a/g. ex Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486);

che, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto) e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato da Corte cost. n. 210/92 e n. 283/05, all’illegittimità del termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indetetininato; 4.2. che il ricorrente con il secondo motivo, chiede, nella sostanza, una nuova valutazione del merito, preclusa nella presente sede di legittimità, in mancanza di censure idoneamente articolate e che neanche può porsi un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. che presuppone che il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione, ciò che non risulta prospettato nella specie;

4.3. che deve essere disattesa la censura relativa ai principi del giusto processo, atteso che “il giudice – in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 c.p.c. ed al disposto di cui all’art. 111 Cost., comma 1, sul “giusto processo regolato dalla legge” – deve esplicitare le ragioni per le quali reputa di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una della parti, ritiene, invece, di non farvi ricorso” e che “Il relativo provvedimento può così, essere sottoposto al sindacato di legittimità per vizio di motivazione al sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 qualora non sia sorretto da una congrua e logica spiegazione nel disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione della controversia” (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 14731 del 26/06/2006, Sez. L, Sentenza n. 29006 del 10/12/2008; Sez. L, Sentenza n. 6023 del 12/03/2009);

4.4. che, con riguardo al quarto motivo, la Corte di merito ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di determinare in 4 mensilità la indennità di cui all’art. 32 cit., individuandole nel numero dei mesi di durata del contratto e delle relative proroghe, nelle dimensioni della società che occupa stabilmente 14 dipendenti, nel comportamento della lavoratrice che ha impugnato tempestivamente il contratto a termine, con ciò facendo una corretta applicazione dei criteri di cui al citato L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 involgente, peraltro, valutazioni di merito che non possono essere sindacate in questa sede (cfr. Cass., n. 21932/2014);

che, inoltre, che il limite massimo, in presenza di accordi sindacali aventi il riportato contenuto, non possa essere superiore a sei mensilità, non esclude che l’indennità forfetizzata, a seguito della detta riduzione alla metà, possa essere quantificata in una misura corrispondente a quella liquidata in favore della F., superiore al limite minimo;

5. che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato, essendo i rilievi svolti in memoria dall’istituto ricorrente inidonei a determinare una differente valutazione delle questioni esaminate;

6. che le spese vanno regolate come da dispositivo, con attribuzione al difensore dichiaratosene antistatario;

7. che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%, con attribuzione all’avv. Riccardo Faranda.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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