Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18149 del 05/09/2011

Cassazione civile sez. I, 05/09/2011, (ud. 14/03/2011, dep. 05/09/2011), n.18149

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.A. (C.F. (OMISSIS)), N.G. (C.F.

(OMISSIS)), A.M. (C.F. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA QUINTILIO VARO 133, presso

l’avvocato GIULIANI ANGELO, che li rappresenta e difende, giusta

procure in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

14/05/2008; nn. 52627, 52628, 52629/06 RG;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/03/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo

e rigetto del secondo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

N.A., N.G. e A.M.L., quali eredi di N.P. con distinti ricorsi alla Corte d’appello di Roma depositati il 22 maggio 2006 proponevano domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U., a causa della irragionevole durata del giudizio in materia di impiego pubblico instaurato dal loro dante causa dinanzi al T.A.R. Lazio nell’agosto 1996 ed ancora pendente al momento della proposizione della domanda.

La Corte d’appello, riuniti i distinti procedimenti, con decreto depositato il 14 maggio 2008, ritenuta la durata ragionevole di tre anni, liquidava il danno non patrimoniale per la residua durata irragionevole di quattro anni (sino alla morte del N.P.) la somma di Euro 4.800,00 da ripartirsi prò quota tra gli eredi N., con gli interessi legali dalla data del decreto e le spese del procedimento, liquidate in Euro 22,46 per spese, Euro 180,00 per diritti e Euro 450,00 per onorari, oltre accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore dei ricorrenti. Avverso tale decreto N.A., N.G. e A.M.L. hanno proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero Economia e Finanze il 30 giugno 2009, formulando due motivi. Resiste la Presidenza del Consiglio dei Ministri con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo è denunciata violazione e/o falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 1173 cod. civ.) in relazione alla attribuzione degli interessi legali sulla somma liquidata a decorrere dalla data del decreto della Corte d’appello, anzichè dalla data della domanda. Il motivo è fondato, essendosi la corte di merito discostata dal principio, consolidato nella giurisprudenza di questa corte (cfr. ex multis: Cass. n. 27193/2009; n. 1393/2007; n. 18105/2005; n. 2382/2003), secondo cui gli effetti della pronuncia che accerta l’obbligazione indennitaria scaturente dalla eccessiva durata del processo retroagiscono alla data della domanda. Il provvedimento impugnato è dunque cassato sul punto, e, decidendo nel merito, deve condannarsi la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere ai ricorrenti gli interessi legali sulla somma liquidata a decorrere dalla domanda di equa riparazione (22.5.2006).

2. Con il secondo motivo, è denunciata violazione e/o falsa applicazione di legge (artt. 90 e 91 cod. proc. civ., D.M. n. 127 del 2004, artt. 1, 4, 5 e 6) in relazione alla liquidazione degli onorari e competenze in misura inferiore a quella di legge. Deducono i ricorrenti: a)che la corte di merito, avendo riunito in sede di udienza camerale i distinti ricorsi da essi proposti, avrebbe potuto liquidare un solo onorario esclusivamente per le attività successive al provvedimento di riunione, ed avrebbe invece dovuto quantificare singolarmente gli onorar per le attività antecedenti; b)che la corte di merito non avrebbe rispettato i minimi stabiliti dalla tariffa forense. Sotto il primo profilo, la doglianza non può trovare accoglimento. Questa corte ha già avuto modo di affermare (cfr. ex plurimis Cass. n. 10634/2010) l’orientamento – che il collegio condivide – secondo cui la condotta di più soggetti i quali, non dimostrando interesse alla diversificazione delle rispettive posizioni (nella specie, tutte basate sulla qualità di eredi dell’attore nel processo presupposto), propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale (ed identico contenuto), dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione in quanto connesse per l’oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo, sanzionabile con l’eliminazione – per quanto possibile – degli effetti distorsivi che ne derivano (sotto il profilo dell’ingiustificato aumento degli oneri processuali), e quindi con la valutazione dell’onere delle spese come se il procedimento fosse stato unico, con la conseguente irrilevanza della distinzione tra attività compiute prima e dopo la riunione.

Sotto il profilo esaminato, non merita quindi censura il provvedimento impugnato.

Quanto ai minimi inderogabili di tariffa, la doglianza è fondata, atteso che la liquidazione delle spese compiuta dalla corte di merito non rispetta tali minimi in relazione alle sole attività di legge che parte attrice ha dovuto compiere: le ulteriori attività che solo nel ricorso si affermano svolte – non risultando neppure dedotto l’avvenuto deposito di nota spese in sede di merito – non possono invero essere considerate. Il provvedimento impugnato è dunque cassato anche su tale punto e, decidendo nel merito, deve condannarsi parte resistente al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate come in dispositivo nel rispetto dei minimi suddetti, con distrazione in favore del procuratore dei ricorrenti.

4.- Nei limiti esposti il ricorso è dunque accolto, con la conseguente condanna del resistente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo, con distrazione in favore del procuratore dei ricorrenti, che se ne è dichiarato antistatario.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a corrispondere ai ricorrenti gli interessi legali sulla somma di Euro 4.800,00 a decorrere dalla domanda di equa riparazione; accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il secondo motivo dì ricorso e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del procedimento di merito, in complessivi Euro 900,46 – di cui Euro 22,46 per spese, Euro 378,00 per diritti e Euro 500,00 per onorari- oltre accessori di legge, nonchè delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 300,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge; da distrarsi, le une e le altre, in favore del procuratore avv. Angelo Giuliani, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 14 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2011

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