Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18147 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/07/2017, (ud. 21/06/2017, dep.21/07/2017),  n. 18147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22223-2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante, in proprio e quale

procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI

INPS SCCI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo,

rappresentato e difeso unitamente e disgiuntamente dagli avvocati

LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, ANTONINO SGROI e CARLA D’ALOISIO;

– ricorrente –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAN TOMMASO

D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO DIERNA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CHIARA RIGOSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 126/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/06/2017 dal Consigliere Dott. DORONZO ADRIANA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. C.A. ha proposto opposizione contro l’avviso di addebito con cui l’Inps ha richiesto il pagamento dei contributi dovuti dal ricorrente, quale socio accomandatario della CADECE s.a.s., alla Gestione commercianti per il periodo 2006 – 2012;

2. il Tribunale di Bologna ha accolto l’opposizione e ha annullato l’avviso di addebito;

3. la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza pubblicata il 10/3/2015, ha rigettato l’appello dell’Inps: la Corte ha infatti condiviso il giudizio espresso dal primo giudice, che ha ritenuto non provata la partecipazione del C. al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, attraverso lo svolgimento di un’attività di lavoro ben distinta da quella di amministratore della società, per la quale è prevista l’iscrizione alla gestione separata, non oggetto di causa;

4. l’Inps propone ricorso per la cassazione di tale sentenza; resiste con controricorso il C.;

5. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;

6. il collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN FATTO

che:

1. con il ricorso in esame l’Inps deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 202, 203 e 208;

2. il ricorso è senz’altro ammissibile, sicchè deve rigettarsi la relativa eccezione sollevata nel controricorso;

2.1. la norma prevista dall’art. 348 – ter c.p.c., comma 4, (applicabile ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi di appello introdotti con ricorsi depositati dal 30^ giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge citata, ossia dall’11 settembre 2012), limita il ricorso per cassazione indicati all’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), nel caso in cui il giudizio di appello si sia concluso con una pronuncia di inammissibilità dell’impugnazione, per i casi indicati nell’art. 348 bis c.p.c.; in tal caso l’impugnazione è rivolta contro la sentenza di primo grado;

2.2. l’inammissibilità investe tuttavia solo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, e anch’esso applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012);

2.3. nel caso di specie, il motivo di ricorso dell’Inps non involge le questioni di fatto, bensì l’esatta interpretazione delle norme di legge, sicchè il motivo è stato correttamente inquadrato nell’art. 360 c.p.c., n. 3, il che colloca la fattispecie in esame fuori dall’ambito di operatività dell’art. 348 ter c.p.c.;

3. nel merito, il ricorso è inammissibile, alla luce dei principi affermati da questa Corte in fattispecie analoghe (cfr. Cass. ord., 11/2/2013, n. 3145, seguita da Cass. 6.9.2016 n. 17643, e Cass. 25.8.2016 n. 17328), che qui si richiamano per darvi continuità;

4. presupposto per l’ iscrizione alla gestione commercianti, in forza della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, che ha modificato la L. n. 160 del 1975, art. 29 e della L. n. 45 del 1986, art. 3, è lo svolgimento da parte dell’interessato di attività commerciale;

5. secondo tali disposizioni, l’iscrizione alla suddetta gestione è obbligatoria ove si realizzino congiuntamente le fattispecie previste dalla legge, e cioè: la titolarità o gestione di imprese organizzate e/o dirette in prevalenza con il lavoro proprio e dei propri familiari; la piena responsabilità ed i rischi di gestione (unica eccezione proprio per i soci di s.r.l.); la partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; il possesso, ove richiesto da norme e regolamenti per l’esercizio dell’attività propria, di licenze e qualifiche professionali (in tal senso, Cass., n. 5444/2013, cit.);

6. questa Corte – con riferimento alle società in accomandita semplice – ha affermato il principio (Cass. 26 febbraio 2016, n. 3835) secondo cui, ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, che ha modificato L. n. 160 del 1975, art. 29, e del L. n. 45 del 1986, art. 3, in tali società la qualità di socio accomandatario non è sufficiente a far sorgere l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali, essendo necessaria anche la partecipazione personale al lavoro aziendale, con carattere di abitualità e prevalenza, la cui ricorrenza deve essere provata dall’istituto;

7. la decisione è in linea con le Sezioni unite di questa Corte (Cass. n. 17076/2011), ed è stata seguita da numerose altre pronunce (Cass. 1 luglio 2015, n. 13446; Cass., 5 marzo 2013 n. 5444; v. pure Cass., ord. 27 aprile 2016, n. 8303; Cass., 26 febbraio 2016, n. 3835), le quali partendo dall’esatta premessa secondo cui sussiste l’obbligo di iscrizione e contribuzione sia alla gestione commercianti che a quella separata stante l’autonomia delle posizioni – hanno affermato la necessità che per ciascuna di esse ricorrano i presupposti previsti dalla legge, e cioè che si realizzi una “coesistenza” di attività riconducibili, rispettivamente, al commercio e all’amministrazione societaria;

8. la verifica della sussistenza di requisiti di legge per tale “coesistenza” è compito del giudice di merito, fermo restando che l’onere probatorio grava sull’ente previdenziale, tenuto a provare i fatti costitutivi dell’obbligo contributivo (cfr. ex multis Cass., 20 aprile 2002, n. 5763; Cass., 6 novembre 2009, n. 23600);

9. tale prova, nel caso in esame, secondo i giudici di merito non è stata fornita, non avendo l’Istituto ricorrente provato la partecipazione del C. al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, da tenersi distinta dall’attività di amministratore della società medesima;

10. a ciò deve aggiungersi che la società di persone che svolge un’attività volta alla locazione di immobili di sua proprietà e alla riscossione dei canoni di locazione non svolge un’attività commerciale ai fini previdenziali, a meno che essa non si inserisca in una più ampia attività di prestazione di servizi, quale l’attività di intermediazione immobiliare (Cass., ord.11/2/2013, n. 3145; Cass. 6/9/2016, n. 17643; Cass. ord.,16/12/2016, n. 25017);

11. a tal fine non rileva di per sè il contenuto dell’oggetto sociale, ma si deve considerare lo svolgimento in concreto di un’attività commerciale (Cass. n. 25017/2016, cit.);

12. l’eventuale impiego dello schema societario per attività di mero godimento, in implicito contrasto con il disposto dell’art. 2248 c.c., non può trovare una sanzione indiretta nel riconoscimento di un obbligo contributivo di cui difettino i presupposti propri, per come sopra ricostruiti;

13. dal rigetto del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo;

14. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna l’Inps al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi professionali e Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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