Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18144 del 10/07/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 18144 Anno 2018
Presidente: GIANCOLA MARIA CRISTINA
Relatore: CAIAZZO ROSARIO

ORDINANZA
sul ricorso n. 18295/14, proposto da:
Marcantonio Maria Rosaria, Marcantonio Nicola;
Marcantonio Camillo;

Marcantonio Lucia;

Marcantonio Simone; Marcantonio Giovanni;

Marcantonio Ireneo; tutti quali eredi di Marcantonio Camillo, elett.te domic. in
Roma, alla via Ridolfino Venuti n.42, presso l’avv. A. Di Sarno, rappres. e
difesi dall’avv. Antonio Tanza con procura speciale a margine del ricorso;
RICORRENTI
CONTRO
Banca Dell’Adriatico s.p.a., in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic.
in Roma, al largo di Torre Argentina n.11, presso l’avv. Dario Martella che la
rappres. e difende unitamente agli avv.ti Gino Cavalli e Massimiliano Bianchi,
con procura speciale a margine del controricorso;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza non definitiva n. 851/2012 emessa dalla Corte d’appello di
L’Aquila, depositata il 12.6.2012, e la sentenza definitiva emessa dalla stessa
Corte d’appello, depositata il 25.3.2014;
udita la relazione del consigliere, dott. Rosario Caiazzo, nella camera di
consiglio del 12 aprile 2018.
0/42-4,

Data pubblicazione: 10/07/2018

RI LEVATO CHE
Nicola Marcantonio, quale procuratore speciale di Camillo Marcantonio, citò
innanzi al Tribunale di Pescara, la Banca Popolare dell’Adriatico, deducendo: la
nullità delle clausole del contratto di conto corrente, con apertura di credito, di
determinazione del tasso d’interesse con rinvio agli usi su piazza,
d’applicazione dell’anatocismo e della commissione di massimo scoperto,

valuta effettivi e la condanna della banca alla restituzione delle somme
percepite in eccesso rispetto a quelle dovute, e alla rettifica di un’illegittima
segnalazione alla Centrale-Rischi.
Il Tribunale emise sentenza non definitiva dichiarando la nullità delle suddette
clausole e successiva sentenza definitiva condannando la banca al pagamento
della somma di euro 640.000,00 circa oltre interessi legali.
La Banca Popolare dell’Adriatico propose appello avverso entrambe le
sentenze; si costituì il Marcantonio il quale propose appello incidentale
chiedendo l’accertamento della nullità della commissione di massimo scoperto
per il periodo successivo al 23.2.2001 e la condanna della banca al pagamento
dell’ulteriore somma determinata dal c.t.u. e non riconosciuta dal Tribunale.
Con sentenza non definitiva la Corte d’appello rigettò l’appello incidentale e, in
parziale accoglimento del principale, dichiarò che: la prescrizione decennale
doveva essere applicata, per le rimesse ripristinatorie, dalla data di chiusura
del conto e, per quelle solutorie, dalle date dei singoli pagamenti; la
commissione di massimo scoperto era da applicare dalla data della relativa
pattuizione; gli interessi attivi erano da calcolare al tasso convenzionale e non
a quello legale, più alto.
A seguito di c.t.u. disposta con ordinanza, la Corte d’appello, in parziale
accoglimento dell’appello principale, ha condannato la banca al pagamento di
una somma ridotta, ritenendo che: il c.t.u. aveva correttamente ricostruito i
rapporti tra attore e banca considerando inapplicabile l’art. 1194 c.c. poiché
relativo ai soli saldi liquidi e non a quelli contabili del conto corrente (ovvero
che i versamenti ripristinatori della provvista per il conto affidato non
costituiscono pagamenti esigibili e dunque soggetti alla regola di cui all’art.

chiedendo che gli interessi fossero conteggiati al tasso legale, con i giorni di

1194 c.c.); era applicabile la prescrizione decennale, distinguendo tra rimesse
ripristinatorie e solutorie circa la data di decorrenza.
Gli eredi di Camillo Marcantonio, come indicati in epigrafe, hanno proposto
ricorso per cassazione affidato a due motivi. Si è costituita la banca con
controricorso, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.
Le parti hanno depositato memorie.

Con il primo motivo è stata denunziata violazione e falsa applicazione degli
artt. 1283, 1284, 2033 e 2935, 2697, 1194, c.c., nonché degli artt. 166 e
167, c.p.c., avendo la Corte d’appello ritenuto la prescrizione del credito
fondato sulle rimesse solutorie pur in mancanza di eccezione specifica.
In particolare, i ricorrenti hanno lamentato che: l’eccezione di prescrizione era
stata sollevata in maniera generica, riferita ad ogni operazione e non alle
singole operazioni (cioè distinguendo tra rimesse solutorie e ripristinatorie) con
l’indicazione della data di decorrenza del relativo termine; l’art. 1194 c.c. era
stato erroneamente applicato poiché esso riguarda soli i crediti liquidi ed
esigibili, derivanti dalla chiusura del conto corrente.
Con il secondo motivo è stata denunziata violazione e falsa applicazione degli
artt. 1284, 1321, 1325 e 1825, c.c., nonché dell’art. 112 c.p.c., non avendo la
sentenza impugnata riconosciuto gli interessi creditori al tasso legale. In
particolare, i ricorrenti hanno lamentato che la Corte d’appello: aveva violato
l’art. 1284 c.c. trascurando che prima del 23.2.2001 mancava una pattuizione
convenzionale sul tasso degli interessi passivi ed attivi; era incorsa nella
violazione dell’art. 112 c.p.c. poiché non era vero che l’attore non avesse
chiesto il pagamento degli interesse creditori al tasso legale.
Preliminarmente, è infondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso poiché il
ricorso indica con chiarezza documenti e gli atti sui quali esso è fondato.
Il primo motivo è infondato.
Occorre anzitutto rilevare che, secondo le Sezioni

Unite della Corte (n.

24418/2000), l’azione di ripetizione d’indebito proposta dal cliente di una
banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale
degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di
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CONSIDERATO CHE

credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione
decennale che decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo
funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto
di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di
estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono
stati registrati: ciò in quanto il pagamento che può dar vita ad una pretesa

prestazione da parte del solvens, con conseguente spostamento patrimoniale
in favore dell’accipiens.
La pronuncia muove dal rilievo per cui non può ipotizzarsi il decorso del
termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia
intervenuto un atto giuridico definibile come pagamento, che l’attore pretende
essere indebito, perché prima di quel momento non è configurabile alcun
diritto di ripetizione. In conseguenza, se il correntista, nel corso del rapporto,
abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto
quest’ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da
formare oggetto di ripetizione (se risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo
scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale a favore della banca, che non
si verifica quando i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il
limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti
ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a
godere.
Sulla base di tali principi, è dunque necessario distinguere i versamenti solutori
da quelli ripristinatori della provvista, poiché solo i primi possono considerarsi
pagamenti nel quadro della fattispecie di cui all’art. 2033 c.c., con la
conseguenza che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre,
per tali versamenti, dal momento in cui le singole rimesse abbiano avuto
luogo.
Ora, a fronte della comprovata esistenza di un contratto di conto corrente
assistito da apertura di credito, la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli
versamenti emerge dagli estratti-conto che il correntista, attore nell’azione di
ripetizione, ha l’onere di produrre in giudizio. La prova degli elementi utili ai fini
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restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una

dell’applicazione dell’eccepita prescrizione è dunque nella disponibilità del
giudice che deve decidere la questione. Pertanto, in un quadro processuale
definito dagli estratti-conto non compete alla banca convenuta fornire specifica
indicazione delle rimesse solutorie cui è applicabile la prescrizione; una volta
che la parte convenuta abbia formulato l’eccezione di prescrizione, compete al
giudice verificare quali rimesse, per essere ripristinatorie siano irrilevanti ai fini

considerare quali pagamenti.
Al riguardo, secondo l’orientamento di questa Corte, l’eccezione di prescrizione
è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo,
ossia l’inerzia del titolare, e manifestato la volontà di avvalersene, senza che
rilevi l’erronea individuazione del termine applicabile, ovvero del momento
iniziale o finale di esso, trattandosi di questione di diritto sulla quale il giudice
non è vincolato dalle allegazioni di parte (Cass., n. 15790/16; n. 1064/14).
Deve considerarsi in proposito che una allegazione nel senso indicato non
cessa di essere tale ove la parte interessata correli quell’inerzia anche ad atti
(nella specie, versamenti ripristinatori) che non spieghino incidenza sul diritto
(nella specie, di ripetizione) fatto valere dall’attore.
Pertanto, non ha pregio la doglianza relativa alla mancata indicazione del dies

a quo della prescrizione relativo al credito da ripetizione del correntista.
Inoltre, ai fini della valida proposizione della domanda di ripetizione
dell’indebito non si richiede che il correntista specifichi le singole rimesse
eseguite che, in quanto solutorie, si siano tradotte in pagamenti indebiti a
norma dell’art. 2033 c.c. Può osservarsi al riguardo che la giurisprudenza di
legittimità formatasi sull’azione revocatoria in tema di rimesse bancarie- con
riferimento alla disciplina anteriore alla riforma della legge fall.- era ferma nel
ritenere che non fosse affetta da nullità per indeterminatezza dell’oggetto o
della

causa petendi

la citazione contenente la domanda di revocatoria

fallimentare di pagamenti costituiti da rimesse di conto corrente bancario,
seppure mancasse l’indicazione dei singoli versamenti solutori (Cass., n.
6789/12).

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della decorrenza della prescrizione nel corso del rapporto, non potendosi

Pertanto, non sussiste alcuna ragione per cui la banca che eccepisce la
prescrizione debba essere gravata dall’onere d’indicare i detti versamenti
solutori, se si tiene conto del fatto che nemmeno l’attore in ripetizione è tenuto
a precisare i pagamenti indebiti oggetto della pretesa azionata. Ne consegue
che il carattere solutorio o ripristinatorio delle singole rimesse non incide sul
contenuto dell’eccezione che rimane lo stesso, indipendentemente dalla natura,

abbia l’onere di allegare specificamente le rimesse solutorie (Cass., n.
2026/2018; n. 4372/2018; n. 28819/17).
Nel caso concreto, in applicazione dei suddetti principi, non è censurabile la
sentenza non definitiva impugnata nella parte in cui ha ritenuto la prescrizione
della ripetizione delle rimesse solutorie pur in mancanza di specifiche
indicazioni sul punto, considerato che il giudice d’appello, attraverso la c.t.u.,
ha verificato il contenuto delle varie rimesse affluite sul conto.
La doglianza relativa all’art. 1194 c.c. è parimenti destituita di fondamento in
quanto la Corte d’appello ha correttamente argomentato che, a differenza delle
rimesse ripristinatorie della provvista, le rimesse solutorie costituiscono
pagamenti esigibili e, quindi, soggetti alla regola stabilità dall’art. 1194 c.c.,
contrariamente a quanto esposto dai ricorrenti.
Il secondo motivo è infondato.
Al riguardo, come rilevato anche nella relazione del Sostituto Procuratore
Generale, la sentenza definitiva impugnata ha escluso che il correntista avesse
chiesto il pagamento degli interessi creditori (pagg. 18-19) laddove ha
affermato che le parti non avevano sollevato questioni in tema di tassi attivi e
che il Marcantonio non aveva mai esplicitamente eccepito la nullità della
clausola relativa al tasso attivo, escludendo peraltro la possibilità di rilevare
d’ufficio la stessa nullità. I ricorrenti sostengono, invece, che l’attore originario
formulò la domanda di pagamento degli interessi, richiamando la sentenza di
primo grado (da cui si evince, però, come detto, che essa non fu proposta in
citazione, né indicata nelle memorie ex art. 184 c.p.c.).
Pertanto, deve ritenersi accertata la legittima sussistenza nel periodo anteriore
al 23.02.2001 di un accordo sul tasso infralegale degli interessi creditori.
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solutoria o ripristinatoria, dei singoli versamenti, sicché va escluso che la banca

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta i due motivi del ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 8200,00 oltre euro
200,00 per esborsi e la maggiorazione del 15%.
lquater, del d.p.r. n.115/02, dà atto della

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso principale, a norma del comma lbis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 12 aprile 2018

Ai sensi dell’art. 13, comma

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