Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18139 del 15/09/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. VI, 15/09/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 15/09/2016), n.18139

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10860/2015 proposto da:

A.E., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce

al ricorso, dall’Avvocato Lamberto Michele Manca;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro

tempore,elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e

difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Lecce, depositato il 13

novembre 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

luglio 2016 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la Corte d’appello di Lecce, con decreto depositato il 13 novembre 2014, ha rigettato l’opposizione della L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, proposta da A.E. avverso il decreto emesso dal consigliere designato, con il quale era stata rigettata la sua domanda di equa riparazione per non avere ella provveduto a depositare, nel termine concesso ai sensi dell’art. 640 c.p.c., segnatamente, la certificazione della data in cui l’ordinanza, che aveva dichiarato l’interruzione del giudizio presupposto, del quale si lamentava la irragionevole durata, era divenuta definitiva;

che la Corte d’appello ha ritenuto la domanda improponibile in quanto proposta durante la pendenza del termine, previsto dall’art. 305 c.p.c., per la riassunzione del giudizio presupposto, dichiarato interrotto con ordinanza in data 28 febbraio 2013;

che, ha osservato la Corte d’appello, la ricorrente, come dalla stessa riconosciuto, aveva avuto conoscenza dell’evento interruttivo solo il 25 gennaio 2013, sicchè il termine per la riassunzione, nella specie di sei mesi, veniva a scadenza il 25 luglio 2013, mentre la domanda di equa riparazione era stata depositata il 26 giugno 2013, in contrasto con quanto stabilito dalla L. n. 89 del 2001, art. 4;

che per la cassazione di questo decreto la A. ha proposto ricorso sulla base di un motivo;

che il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che con l’unico motivo (violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, come modificato dalla L. n. 134 del 2012, in relazione all’art. 111 Cost., commi 1 e 2 e art. 117 Cost., comma 1, con riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU), la ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che la definitività del provvedimento che definisce il giudizio debba necessariamente precedere la proposizione della domanda di equa riparazione, atteso che l’art. 4 citato non esclude affatto che la domanda non possa essere proposta in pendenza di giudizio;

che la interpretazione adottata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 30 del 2014 non sarebbe condivisibile, avendo la stessa Corte affermato (sentenza n. 98 del 2014) che il possibile differimento dell’esercizio di un diritto deve essere giustificato da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia;

che, nella specie, a seguito della comunicazione dell’interruzione del giudizio di appello avente ad oggetto opposizione allo stato passivo della procedura di amministrazione straordinaria della società sua datrice di lavoro per intervenuto fallimento della società stessa, il giudizio non è stato riassunto e la relativa attestazione di cancelleria, corredata da dichiarazione a sua firma in ordine alla non intervenuta riassunzione del giudizio presupposto, è stata allegata alla domanda di equa riparazione, sicchè, prima ancora della pronuncia del decreto da parte del consigliere designato, il giudizio presupposto doveva ritenersi definito, risultando così assicurato il rispetto della ratio dell’art. 4, che è quella di evitare che la parte possa proporre in relazione al medesimo giudizio presupposto una pluralità di domande di equa riparazione;

che, osserva la ricorrente, la diversa interpretazione adottata dalla Corte d’appello contrasterebbe anche con la modulazione del giudizio di equa riparazione sulla base del procedimento monitorio, atteso che la sussistenza delle condizioni di proponibilità della domanda dovrebbe essere accertata nella fase di opposizione;

e, nella specie, in quel momento il requisito della definitività del provvedimento conclusivo del giudizio presupposto si era ormai verificato;

che, conclude la ricorrente, la stessa interpretazione lederebbe il principio di effettività della tutela imposto dalla Convenzione europea; che il ricorso è infondato;

che come questa Corte ha anche di recente affermato (Cass. n. 20463 del 2015), la sentenza del giudice della L. n. 30 del 2014 ha dichiarato “inammissibile la questione di legittimità costituzionale del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, comma 1, lett. d), (convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 1, comma 1), impugnato, in riferimento all’art. 3 Cost., art. 111 Cost., comma 2 e art. 117 Cost., comma 1 (quest’ultimo in relazione all’art. 6, par. 1, CEDU), nella parte in cui – sostituendo della L. n. 89 del 2001, art. 4 – preclude la proposizione della domanda di equa riparazione durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione della ragionevole durata si assume verificata;

che la Corte costituzionale ha rilevato che l’intervento additivo invocato dal rimettente – consistente nell’estensione della fattispecie relativa all’indennizzo conseguente al processo tardivamente concluso a quella caratterizzata dalla pendenza del giudizio – non è possibile, sia per l’inidoneità dell’eventuale estensione a garantire l’indennizzo della violazione verificatasi in assenza della pronuncia irrevocabile, sia perchè la modalità dell’indennizzo non potrebbe essere definita “a rime obbligate”, a causa della pluralità di soluzioni normative in astratto ipotizzabili a tutela del principio della ragionevole durata del processo; che, sotto il primo profilo, la L. n. 89 del 2001, condizionando l’an ed il quantum dell’indennizzo, finisce per conformare in modo peculiare il diritto risarcitorio, riconoscendolo solo all’esito del processo presupposto, prevedendo condizioni irrealizzabili con riguardo alla fattispecie di cui si vorrebbe parificare la disciplina;

che, sotto il secondo profilo, la CEDU, pur accordando allo Stato aderente ampia discrezionalità nella scelta del rimedio interno per la garanzia della ragionevole durata del processo, esige, qualora si opti per la tutela risarcitoria, che detta discrezionalità rispetti il limite dell’effettività del rimedio stesso;

che sotto tale aspetto la legislazione nazionale risulta carente e non sarebbe tollerabile, quindi, l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al riscontrato vulnus”;

che, contrariamente a quanto opina parte ricorrente, tali conclusioni non autorizzano per nulla a ritenere che il nuovo testo della L. n. 89 del 2001, art. 4, possa essere disapplicato dal giudice nazionale, ma al contrario confermano che a) detta norma permane legittima sia pure ad tempus, essendone rimessa al solo legislatore la riscrittura; e che b) la disapplicazione della norma nazionale in contrasto con quella della Convenzione EDU da parte del giudice nazionale resta esclusa nell’ordinamento italiano, essendo tale contrasto necessariamente mediato dall’incidente di costituzionalità, secondo l’indirizzo più volte espresso dalla Corte costituzionale a partire dalle note sentenze nn. 348 e 349 del 2007;

che ancor più di recente (Cass. n. 13556 del 2016), oltre a ribadirsi che la L. n. 89 del 2001, art. 4, non può essere disapplicato dal giudice in forza della sentenza costituzionale n. 30 del 2014, da questa evincendosi che la norma resta legittima, sia pure ad tempus, in attesa della riscrittura del legislatore, si è rilevato che tale adempimento legislativo deve ritenersi realizzato con la recente L. n. 208 del 2015, che ha innovato la materia prevedendo un articolato sistema di rimedi preventivi (v. art. 1-ter) alla violazione della Convenzione, il ricorso ai quali è presupposto per azionare il procedimento d’equa riparazione (art. 1-bis, comma 2);

che, si è osservato, tali rimedi, che intervengono a monte per impedire la stessa formazione d’un ritardo, hanno assolto al monito formulato dal richiamato precedente della Corte costituzionale e mutato il relativo quadro normativa di riferimento, nell’ambito di quella discrezionalità politica che il giudice delle leggi ha ritenuto esercitabile per adeguare l’istanza nazionale ai principi convenzionali così come elaborati dalla Corte EDU;

che nella citata sentenza si è anche rilevato che altra è la valutazione d’efficienza concreta (peraltro ancora tutta da verificare) di tale sistema di rimedi preventivi, che non è rimessa al giudice neppure al limitato fine dello scrutinio di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità;

che, in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;

che essendosi decisa la controversia sulla base di principi affermati da questa Corte successivamente alla proposizione del ricorso, le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate tra le parti;

che, risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al T.U. approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA