Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18137 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 21/07/2017, (ud. 21/06/2017, dep.21/07/2017),  n. 18137

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17572-2016 proposto da:

P.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PONTEFICI, 3, presso lo studio dell’avvocato NICO PANIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

80078750587, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

dall’avvocato DARIO MARINUZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3984/2016 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 29/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/06/2017 dal Consigliere Dott. GHINOY PAOLA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. questa Corte di Cassazione con la sentenza n. 3984 del 2016 rigettava il ricorso principale proposto da P.G.A. e quello incidentale dell’INPDAP avverso la sentenza della Corte d’appello di Potenza che, in parziale riforma della sentenza di primo grado (che, in accoglimento della domanda del P., già dipendente della A.S.L. (OMISSIS) di Matera collocato in aspettativa senza assegni dal 6 marzo 1995 fino al pensionamento per la nomina a direttore generale della A.S.L. (OMISSIS) di Venosa, aveva condannato l’Inpdap al pagamento in suo favore, a titolo di differenza per riliquidazione dell’indennità premio di fine servizio, della somma di Euro 83.838,40 oltre interessi), aveva condannato l’istituto al pagamento, in favore del predetto, del minore importo di Euro 41.713,41, oltre interessi, ed alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio in misura della metà, compensata la metà residua.

2. P.G.A. propone ricorso per la revocazione della sentenza, a fondamento del quale sostiene che la sentenza sarebbe frutto di un evidente errore commesso nella lettura dei documenti processuali ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Argomenta come primo motivo che questa Corte di cassazione sarebbe incorsa nel medesimo errore in cui era incorsa la Corte d’appello, laddove ha ritenuto che il massimale posto dal D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, comma 7, che per l’anno 2000 era di Lire 262.968.000, dovesse essere riferito all’importo dell’i.p.s. e non alla retribuzione imponibile (che per il ricorrente era pari a lire 190 milioni, e dunque già inferiore al suddetto massimale), per cui erroneamente dall’indennità premio di servizio, correttamente calcolata in Lire 344.533.333, ha decurtato il massimale suddetto, ottenendo la somma di Lire 81.565.356.

2.1. Come secondo motivo, sostiene che la Corte di cassazione sarebbe incorsa in violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 4, fondando l’eccepito rilievo d’ inammissibilità del ricorso principale per violazione del principio di autosufficienza posto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, su un errore di fatto risultante dagli atti e documenti di causa, in quanto la c.t.u. era ampiamente riportata, commentata e confutata nel ricorso per cassazione, questo conteneva un’esposizione dettagliata di tutte le ragioni di fatto e di diritto necessarie alla più completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia, ed era corredato dalla produzione documentale effettuata nel rispetto delle norme di rito.

3. Ha resistito l’Inps con controricorso. Il ricorrente ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. questa Corte ha ripetutamente affermato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5; esso presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio; ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico – giuridico o siano frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (v. tra le altre, da ultimo, Cass. 03/04/2017 n. 8615, ed i precedenti ivi richiamati).

1.1. Con specifico riferimento alla revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, si è poi affermato che l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto, individuandosi nell’errore meramente percettivo risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati con la conseguenza che non risulta viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di Cassazione nella quale il collegio abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso per motivi attinenti al merito delle questioni ed a valutazioni di diritto, e segnatamente alla asserita erronea applicazione di norme processuali, venendosi, in tali casi, su errori di giudizio della Corte, con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione. (v. anche, oltre all’arresto già richiamato ed ai precedenti ivi citati, Cass. S.U. n. 26022 del 2008).

1.2. In questa prospettiva è stato precisato che “ove il ricorrente deduca, sotto la veste del preteso errore revocatorio, l’errato apprezzamento da parte della Corte di un motivo di ricorso qualificando come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta con l’originario ricorso – si verte in un ambito estraneo a quello dell’errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un “fatto” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, potendo configurare l’eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un “error in procedendo” ovvero “in iudicando”, di per sè insuscettibili di denuncia ai sensi dell’art. 391-bis cod. proc. civ. (Cass. n. 5221 del 2009, ord. n. 9853 del 2012). Non può, quindi, ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della Suprema Corte della quale si censuri la valutazione del motivo d’impugnazione, in quanto espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto di impugnazione, perchè in tal caso è dedotta una errata valutazione ed interpretazione degli atti oggetto di ricorso (Cass. n. 10466 del 2011, n. 14608 del 2007); va esclusa altresì la ricorrenza di errore revocatorio, nelle pronunzie di questa Corte, nel preteso errore sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, anch’esse non integranti “fatto” nei riferiti termini (Cass. n. 11657 del 2006), nel preteso errore nell’individuazione delle questioni oggetto di motivi del ricorso (Cass. n. 5086 del 2008), nel preteso errore nell’interpretazione dei motivi (Cass. n. 9533 del 2006) o nella lettura del ricorso (Cass. n. 5076 del 2008), così come, infine, nel preteso errore sull’esistenza, o meno, di una censura (Cass. n. 24369 del 2009).

2. Occorre quindi esaminare preliminarmente il secondo motivo di ricorso, che attiene alla preliminare ed autonoma ratio decidendi adottata nella sentenza oggetto del ricorso per revocazione per rigettare i due motivi del ricorso principale proposto dal P..

In particolare, questa Corte ritenne che i motivi fossero inammissibili per violazione del principio di autosufficienza del ricorso posto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, “in difetto di trascrizione della c.t.u.”, le cui conclusioni erano state recepite dalla Corte territoriale.

2.1. In applicazione delle premesse in diritto sopra individuate, il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto gli errori in tesi imputati alla sentenza della quale è chiesta la revocazione non sono riconducibili all’ipotesi di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391 bis c.p.p..

2.2. Il decisum di questa Corte era infatti sorretto dall’interpretazione del requisito posto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nel senso che esso, laddove pone come requisito del ricorso per cassazione “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”, imponga la riproduzione diretta e integrale del contenuto del documento che sorregge la censura.

2.3. Laddove il ricorrente nel ricorso per revocazione afferma che la relazione del c.t.u. è stata “ampiamente riportata, commentata e confutata” nel ricorso per cassazione, conferma in sostanza che la c.t.u. non è stata trascritta nel testo integrale. L’errore denunciato non si concreta quindi in una falsa percezione della realtà documentale da parte del giudice di legittimità, ma – secondo la stessa prospettazione del ricorrente – nel recepimento del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione in una accezione e con un contenuto (necessità della trascrizione integrale della consulenza tecnica censurata) errati. Siffatto errore, però, alla luce della ricordata giurisprudenza di legittimità, non risponde al modello legale dell’errore revocatorio, bensì, in via di mera ipotesi, configura, secondo la prospettazione del ricorrente, un errore di valutazione giuridica, non denunciabile in questa sede, circa il contenuto delle norme processuali e circa gli obblighi di indagine che ne derivavano per il giudice (v., in tal senso, in caso analogo, Cass. 30/08/2000 n. 11408).

2.4. Nè osta alla soluzione prospettata il fatto che i motivi di ricorso proposti dal P. siano stati rigettati anche nel merito, considerato che i requisiti di ammissibilità del ricorso così come ritenuti nella sentenza gravata hanno valore preliminare e perseguono la finalità di consentire alla Corte, sulla base della sola lettura dell’atto introduttivo, di avere la cognizione piena degli estremi sostanziali cui si riferisce la censura e possa, quindi, apprezzarne immediatamente la rilevanza, a prescindere da verifiche sugli atti che la Corte abbia poi comunque compiuto per esaminare anche il merito della doglianza.

3. L’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, che non consente di revocare una delle concorrenti rationes decidendi adottate da questa Corte nella sentenza oggetto del ricorso, assorbe l’esame del primo motivo, che attinge l’altra concorrente argomentazione posta a fondamento del rigetto.

4. Il ricorso risulta quindi inammissibile ex art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1, sicchè il Collegio ritiene di confermare con ordinanza in camera di consiglio la proposta formulata dal relatore ex art. 380 bis c.p.c..

5. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza.

6. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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