Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18137 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 05/07/2019, (ud. 05/02/2019, dep. 05/07/2019), n.18137

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 231.93-2015 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA LAGO DI

LESINA 35, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO CORATELLA, che

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE DIREZIONE INTERREGIONALE CAMPANIA E CALABRIA

UFFICIO DOGANE DI NAPOLI I in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO. STATO, che o rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 49C2/2015 della COMV.TRIB.REG. di NAPOLI,

depositata il 22/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/02/2019 dal Consigliere Dott.ssa CORRADINI GRAZIA.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 828/5/2013 del 28 giugno 2013 la Commissione Tribunale Provinciale di Napoli rigettava il ricorso proposto da C.G. contro l’avviso di rettifica prot. n. (OMISSIS), emesso dall’Agenzia delle Dogane con cui era stata contestata al C., solidalmente con altri soggetti, una falsa dichiarazione di valore mediante sottofatturazione di merci alla importazione, finalizzata alla evasione di diritti doganali nonchè illegittima applicazione del regime IVA, ai sensi del D.L. n. 331 del 1990, art. 50 bis, per l’importo di Euro 4.309,81.

Il giudice di primo grado riteneva infondate le eccezioni preliminari e di merito proposte dal ricorrente ed in particolare, per quanto ancora interessa, quelle di carenza di legittimazione passiva del contribuente e di carenza di motivazione dell’atto impugnato.

C.G., confutando la attribuita posizione di debitore doganale, presentava appello riproponendo la eccezione di carenza di legittimazione passiva, in assenza di qualsiasi prova anche presuntiva di un qualsivoglia collegamento fra il ricorrente e le società tra le quali era intercorso il rapporto di importazione della merce ed in particolare con la società Planet srl e deduceva il difetto di motivazione della sentenza di primo grado poichè non era dato comprendere sulla base di quali presupposti, in concreto, l’Agenzia delle Dogane aveva ritenuto l’appellante debitore doganale.

La Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 4902/32/2015, depositata in data 22 maggio 2015, rigettava l’appello e condannava l’appellante alle spese del grado.

La CTR riteneva, in primo luogo, che l’Ufficio Doganale avesse dato piena prova della partecipazione dell’appellante in “operazioni fittizie/alterate” con il ruolo sostanziale di deus ex machina nella gestione delle società di comodo. A seguito di un atto di polizia giudiziaria eseguito in Roma nella sede di varie società di comodo erano infatti stati rinvenuti tre raccoglitori contenenti fatture per false prestazioni e relativi pagamenti, usate per trasferire in Cina il “reale prezzo” della merce importata in Italia, intestate a varie società di comodo fra cui la Planet srl e la Asian Import Export srl. E detta documentazione – come già statuito in altre sentenze della Commissione Tributaria Regionale della Campania – unitamente alla dimostrazione dei pagamenti effettuati dal C. nell’ambito della organizzazione fraudolenta, in particolare le rimesse di denaro dall’Italia alla Cina, costituivano la prova del pieno coinvolgimento dello stesso nella predetta organizzazione dedita ad operazioni di importazione sotto fatturate o comunque in frode alla legge.

Riteneva, in conseguenza, che il C. avesse piena legittimazione passiva ai sensi dell’art. 203, comma 3, del Codice Doganale Comunitario (Regolamento CE n. 2913/92) in quanto rientrante nel novero di “coloro che hanno contribuito in qualche modo all’attività di importazione e/o esportazione della merce presa in considerazione nella specifica dichiarazione doganale”, con conseguente responsabilità in solido del suddetto per il pagamento della somma di cui all’avviso di rettifica impugnato.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso il contribuente, con atto notificato il 21.11.2015, affidato a quattro motivi.

La Agenzia delle Dogane si è costituita con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in relazione all’art. 111 Cost., art. 2909 c.c., art. 324 c.p.c. e art. 112 c.p.c., al fine di invocare nel giudizio di cassazione il giudicato esterno discendente dalla sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria n. 151/2/2013 in data 8.7.2013, confermativa della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Genova n. 1/1/2012 in data 28.10.2011, passata in giudicato, con cui il C. era stato ritenuto carente di legittimazione passiva, ovvero “non debitore doganale” per mancanza di elementi probanti del suo coinvolgimento nel sistema fraudolento esposto dalla Agenzia delle Dogane, con riguardo a ventitre avvisi di accertamento relativi ad altrettante dichiarazioni di importazione per gli anni 2005/2006 contestate dalla Agenzia delle Dogane – Ufficio delle Dogane di Genova in base agli stessi presupposti che avevano determinato la emissione degli avvisi di accertamento impugnati davanti alla Commissione Tributaria di Napoli. Ha rilevato che tutti gli avvisi di accertamento emessi dalle Agenzie delle Dogane di Genova, Roma e Napoli facevano riferimento al medesimo rapporto giuridico poichè erano collegati ad un comune procedimento penale, per cui, in virtù della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 13916 del 16 giugno 2006, la sopravvenuta formazione del giudicato esterno integrava la regola iuris alla quale il giudice aveva il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto in qualsiasi stato e grado del giudizio.

1.1. Il motivo è privo di autosufficienza poichè il ricorrente si limita a riportare un passo della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria con cui si afferma che “nel procedimento de quo il contribuente potrebbe essere ritenuto privo di legittimazione, anche perchè non emerge che il contribuente abbia posto in essere alcuna operazione doganale, sia direttamente che indirettamente, attraverso spedizionieri doganali. Non risulta ancora che il contribuente abbia intrattenuto rapporti commerciali con gli altri soggetti destinatari dell’impugnato avviso di accertamento” per desumerne che in entrambi i giudizi (il presente e quello definito con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria) vi sarebbe stata coincidenza di parti, di petitum e di causa petendi, senza però indicare da dove tale assunto sarebbe ricavabile. E’ infatti principio consolidato quello per cui il ricorrente ha l’onere di operare una chiara esposizione degli elementi rilevanti, funzionale alla piena valutazione del motivo dedotto, in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è richiesta (v. Cass. Sezioni Unite: N. 5698 del 2012 Rv. 621813 – 01; da ultimo Sez. 5 -, Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018 Rv. 651398 – 01); il che nella specie non è avvenuto poichè l’unico elemento indicato dal ricorrente, a sostegno del “medesimo rapporto giuridico” che sarebbe stato posto a base della sentenza impugnata nel presente giudizio e di quella della C.T.R. della Liguria, è stato quello della “carenza di legittimazione” del C., in assenza però di qualsiasi riferimento al contenuto dell’accertamento, agli altri soggetti coinvolti ed alla pretesa concreta della Amministrazione Doganale.

1.2. In ogni caso il motivo è infondato.

1.3. In materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno è certamente invocabile anche nel giudizio di cassazione ed è applicabile anche nel caso in cui gli atti tributari impugnati in due giudizi siano diversi, purchè sia però identico l’oggetto del giudizio medesimo, riferito al rapporto tributario sottostante. Tale efficacia trova ostacolo in relazione alle qualificazioni giuridiche, ove intese come argomentazioni avulse dalla decisione del caso concreto, poichè detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all’esegesi esercitata da altro giudice, nè è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, ferma, in ogni caso, la necessità del collegamento, tendenzialmente durevole, ad una situazione di fatto. In relazione alle imposte periodiche, poi, l’efficacia del giudicato esterno è limitata ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata sicchè è esclusa l’efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie “tendenzialmente permanenti” in quanto suscettibili di variazione annuale o in relazione a più ridotti periodi temporali (v. ex pluribus Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23723 del 21/10/2013 Rv. 628972 – 01; Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 21824 del 07/09/2018 Rv. 650505 – 01, peraltro del tutto in linea con Cass. Sez. Un. 13916 del 16/06/2006 Rv. 589696 -01, citata dalla ricorrente)

1.4. Orbene, le decisioni della Commissione Tributaria Provinciale di Genova n. 1/1/2012 in data 28.10.2011 e della Commissione Tributaria Regionale della Liguria n. 151/2/2013 in data 8.7.2013, ritualmente prodotte e contenenti l’attestazione della cancelleria di passaggio in giudicato, hanno trattato la questione della legittimazione del contribuente in relazione alle operazioni doganali oggetto di quel giudizio, ma nulla porta a ritenere che abbiano avuto ad oggetto il “medesimo rapporto giuridico”, in alcun modo illustrato dalle decisioni in questione (sia di primo che di secondo grado), non oggetto di esplicita statuizione, nè, in ogni caso, puntualmente allegato (al di là di un generico riferimento) dallo stesso ricorrente che si limita a richiamare la circostanza che le decisioni in giudicato avevano escluso la legittimazione del C. con riguardo alle dichiarazioni doganali oggetto dello specifico giudizio; il che, al contrario di quanto sostiene il ricorrente, peraltro in contrasto con l’orientamento consolidato di questa Corte, non integra i requisiti di identità soggettiva ed oggettiva richiesti per la applicazione del giudicato esterno. Occorre infatti considerare che la presente vicenda, pur inquadrata in un sistema di evasione e / o sottofatturazione, unitamente ad una errata indicazione d’origine della merce proveniente dalla Cina, posto in essere con metodi diversi fra cui l’utilizzo di società di comodo e utilizzo di falsi documenti – trasbordo merci in porti di paesi diversi e che vedeva coinvolti numerosi soggetti fra cui il C., trae origine da una specifica dichiarazione doganale ((OMISSIS) del (OMISSIS)) diversa da quella oggetto del giudizio definito dalla CTR della Liguria ((OMISSIS)) che presentava caratteri distinti per caratteristiche della merce importata, dazio applicato e contestazione formulata. Si trattava perciò di differenti operazioni di importazione di merce nel territorio UE, ciascuna delle quali si configurava in modo autonomo e, dunque, il rapporto giuridico in considerazione non ha neppure il carattere “di esecuzione prolungata”, nè si riferisce a fatti ad “efficacia permanente o pluriannuale”, ma si traduce in un evento unitario e definito, ancorato a specifici ed autonomi fatti, restando nel contempo irrilevante la loro sussunzione nella medesima operazione di polizia da cui avevano tratto origine, ma nel cui ambito ciascuna operazione restava poi distinta ed autonoma per le specifiche caratteristiche che avevano determinato distinti accertamenti che riguardavano i singoli soggetti che avevano presentato la singola dichiarazione ovvero il titolo certificativo di origine emesso in relazione a ciascuna importazione su cui era basato il rapporto giuridico sottostante.

2. E’ infondato anche il secondo motivo con cui il ricorrente lamenta violazione ed errata applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in combinazione con l’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 per motivazione meramente apparente della sentenza di appello, la quale non avrebbe risposto alla doglianza dell’appello con riguardo alla mancanza di motivazione dell’avviso di accertamento e si sarebbe limitata, con motivazione laconica, al mero rinvio a precedenti decisioni della Commissione Tributaria Regionale della Campania.

2.1. Il motivo presenta in primo luogo rilevanti profili di inammissibilità per mancanza di autosufficienza poichè non indica specificamente quali siano state le doglianze difensive proposte con l’atto di appello e su quali di esse avrebbe omesso di rispondere la sentenza impugnata. Questa Corte ha rilevato che, in tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara esposizione funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione è richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto (v. per tutte Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018 Rv. 651398 – 01). E tale principio non è stato rispettato dal ricorrente il quale ha dedotto la omessa pronuncia su motivi di appello, quale quello di difetto di motivazione dell’avviso di rettifica, non indicati nella sentenza di appello, senza neppure trascrivere il preteso motivo appello e senza indicare in quale preciso atto sarebbe stato contenuto, così da consentire la verifica della sua effettiva presentazione.

2.2. Il motivo, dedotto sotto il profilo della nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, ovvero motivazione apparente, è altresì inammissibile poichè, in tema di ricorso per cassazione, la sentenza di appello è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, invocato dal ricorrente, quando la motivazione è solo apparente, non costituisce cioè espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame; il che non si può sostenere nel caso in esame alla luce della motivazione della sentenza di appello, riportata nella parte espositiva della presente sentenza, che non si è certamente limitata a richiamare -fra l’altro con un inciso ultroneo- altre sentenze in materia emesse dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, mentre ha indicato ed esaminato le prove offerte dalla Agenzia delle Dogane in merito alla responsabilità del C. anche alla luce delle disposizioni comunitarie che tracciavano il quadro dei soggetti responsabili per i tributi di cui si tratta con riguardo ad importazioni extracomunitarie. Invece, la incompletezza della motivazione, può essere dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, alla luce della riformulazione disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, che deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830 – 01). Ma tale ultimo vizio non è stato neppure dedotto nel caso in esame e sarebbe comunque ugualmente insussistente.

2.3. La doglianza è comunque anche priva di pertinenza poichè la sentenza di appello riporta specificamente a pagina 1 e 2 i due motivi di appello presentati dal contribuente ed il secondo attiene al difetto di motivazione della sentenza di primo grado, sul quale ha dato risposta, mentre il ricorrente sostiene che il secondo motivo di appello avrebbe riguardato la carenza di motivazione dell’accertamento impugnato, ma non si fa carico della diversa indicazione contenuta in sentenza.

3. E’ infondato anche il terzo motivo con cui il ricorrente si duole della violazione ed errata applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per mancata allegazione all’accertamento dell’intero processo verbale pregresso.

3.1. In proposito il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata non si sarebbe fatta carico di tale doglianza difensiva contenuta nell’atto di appello, così incorrendo in violazione di legge poichè gli atti menzionati nell’accertamento devono essere portati legalmente a conoscenza del contribuente, onde assicurarne il diritto di difesa, a norma della L. n. 212 del 2000, art. 7.

3.2. Premesso che il principio affermato dal ricorrente è corretto, però non ha alcuna attinenza con il caso in esame in cui non risulta dalla sentenza impugnata che tale motivo di appello sia stato proposto, mentre risulta proposto il diverso motivo attinente alla mancanza di motivazione della sentenza di primo grado cui ha dato risposta la sentenza di appello. Il motivo di ricorso di cui si tratta non tiene quindi conto della ratio decidendi esplicitata dalla sentenza impugnata e ciò ne determina la pronuncia di infondatezza.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione ed errata applicazione degli artt. 201, 202 e 203 del codice doganale comunitario e dell’art. 2727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata, in primo luogo, ritenuto Il C. responsabile e quindi debitore doganale in assenza di elementi probatori sufficienti a dimostrare un suo coinvolgimento nella intera vicenda ed in particolare nella importazione oggetto del presente procedimento con riguardo alla specifica bolletta doganale di cui si discute, limitandosi invece a richiamare le altre sentenze della Commissione Tributaria regionale della Campania. Si duole inoltre del fatto che il C. sia stato ritenuto soggetto passivo della obbligazione doganale benchè non avesse contribuito in qualche modo alla attività di importazione e / o espropriazione della merce presa in considerazione nella specifica dichiarazione doganale e non rientrasse nel novero dei soggetti che avevano comunque fornito dei dati necessari alla stesura di tale dichiarazione e che nella sentenza impugnata non fosse indicato alcun elemento, neppure presuntivo, da cui dedurre che il C. fosse stato responsabile per l’importazione di cui si tratta.

4.1. Il motivo è nel complesso inammissibile poichè, sotto la veste di una violazione di legge, si deduce in realtà una carenza di motivazione della sentenza impugnata.

4.2. In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, fra l’altro sottratta al sindacato di legittimità e la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015 Rv. 638171 – 01; Sez. 1 -, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017 Rv. 645538 – 03).

4.3. Orbene, quanto al primo profilo della doglianza, per cui la sentenza impugnata avrebbe ritenuto ingiustificatamente il C. coinvolto nella complessiva vicenda ed in particolare nella emissione della bolletta oggetto del presente giudizio, il ricorrente, benchè trascriva nel ricorso la parte essenziale della motivazione della sentenza di appello, non si fa carico degli elementi probatori, riportati dalla stessa a pagina 3, sulla cui base il C. era stato ritenuto partecipante alle “operazioni fittizie/alterate” con il ruolo sostanziale di deus ex machina nella gestione delle società di comodo, in quanto, a seguito di un atto di polizia giudiziaria eseguito in Roma nella sede di varie società di comodo, erano stati rinvenuti tre raccoglitori contenenti fatture per false prestazioni e relativi pagamento, usate per trasferire in Cina il “reale prezzo” della merce importata in Italia, intestate a varie società di comodo fra cui la Planet srl e la Asian Import Export srl., e, da detta documentazione, nonchè dalla dimostrazione dei pagamenti effettuati dal C. nell’ambito della organizzazione fraudolenta, in particolare con riguardo alle rimesse di denaro dall’Italia alla Cina effettuate dallo stesso, si evinceva la prova del suo pieno coinvolgimento nella predetta organizzazione dedita ad operazioni di importazione sotto fatturate o comunque in frode alla legge. Con la conseguenza che il C. doveva essere ritenuto soggetto avente piena legittimazione passiva ai sensi dell’art. 203, comma 3, del Codice Doganale Comunitario (Regolamento CE n. 2913/92) in quanto rientrante nel novero di “coloro che hanno contribuito in qualche modo all’attività di importazione e/o esportazione della merce presa in considerazione nella specifica dichiarazione doganale”. Non è quindi vero che manchi la indicazione delle prove su cui si è basata la sentenza impugnata, mentre manca qualsiasi esame di esse da parte del ricorrente che non si confronta con tale motivazione limitandosi a sostenere che non esisterebbero prove. Inoltre il motivo di gravame, sotto tale primo profilo, non contiene alcun riferimento ad alcuna violazione di legge bensì solo a pretesi errori di motivazione con riferimento alle risultanze processuali ed alla loro valutazione da parte della sentenza impugnata, che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, in ordine alla concludenza della prova presuntiva, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione, che nella specie non è stato dedotto (Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129 – 01 e successive conformi).

4.4. Ma anche il secondo profilo del quarto motivo, con cui il ricorrente lamenta che il C. sia stato ritenuto soggetto passivo della obbligazione doganale benchè non avesse contribuito in qualche modo alla attività di importazione e / o espropriazione della merce presa in considerazione nella specifica dichiarazione doganale e che nella sentenza impugnata non fosse indicato alcun elemento, neppure presuntivo, da cui dedurre che il ricorrente fosse stato responsabile per l’importazione di cui si tratta, non si duole di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, il che avrebbe implicato necessariamente un problema interpretativo della stessa, bensì allega, viceversa, soltanto un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa deducibili sotto il profilo del vizio di motivazione, neppure, peraltro, prospettato nel caso in esame.

4.5. Il ricorrente richiama il codice doganale comunitario ed in particolare gli artt. 201, 202, 203 e 213 c.d.c. che individuano il soggetto passivo del tributo in primo luogo nel dichiarante doganale, ossia colui che presenta la dichiarazione doganale in nome proprio e che realizza l’immissione in libera pratica della merce (art. 201, comma 3, c.d.c.) e anche lo spedizioniere incaricato delle operazioni doganali che abbia agito in rappresentanza indiretta (ossia in nome proprio e per conto altrui, art. 201 c.d.c.) dell’importatore, con il quale è legato da un obbligo di solidarietà passiva, ma prevede poi l’estensione della responsabilità al pagamento dei dazi a un soggetto diverso dal dichiarante in altre ipotesi riconducibili ai casi di introduzione irregolare della merce e di sottrazione indebita al controllo doganale. Ricorrendo tali presupposti oggettivi, sono altresì responsabili, oltre al soggetto che ha materialmente compiuto l’irregolarità, anche coloro che hanno partecipato all’illecito, sapendo, o dovendo sapere, dell’irregolarità della condotta realizzata dall’importatore. L’art. 213 c.d.c. prevede, inoltre, una solidarietà passiva tra tutti coloro che sono ritenuti debitori di un’obbligazione doganale, il cui pagamento può essere richiesto a ciascuno per l’intero: tra essi rientrano coloro che hanno fornito i dati necessari alla stesura della dichiarazione, che avrebbero dovuto essere a conoscenza della loro erroneità, quando i dati da loro forniti abbiano prodotto una mancata riscossione, anche solo parziale, dei dazi dovuti.

Tale interpretazione è quella che risulta anche dalle sentenze della Corte di Giustizia (v., in particolare, sentenza 17.11.2011 nella causa C-454/2010 Oliver Jestel / Hauptzollamt Aachen e sentenza 23 settembre 2004 nella causa C 414/02; Spedition Ulustrans) che hanno ritenuto che, ai sensi del codice doganale comunitario, sono debitrici della obbligazione doganale le persone che hanno partecipato alle operazioni di introduzione irregolare delle merci nel territorio dell’Unione sapendo o dovendo sapere secondo ragione che tale introduzione era irregolare e che devono essere ritenute partecipanti alla introduzione le persone che hanno preso parte in qualsiasi modo a tale introduzione e cioè le persone coinvolte in atti collegati alla introduzione.

4.6. Partendo da tali corretti presupposti, il ricorrente non lamenta peraltro che la sentenza impugnata abbia erroneamente interpretato la norma bensì che non vi fosse la prova concreta che il C. avesse avuto un ruolo nella operazione di importazione posta in essere dalle società di comodo, sul presupposto che, se tale ruolo fosse stato dimostrato, non sarebbe stata discutibile la sua responsabilità, in quanto tutti coloro che hanno partecipato alla irregolare introduzione della merce sono, in base alla normativa, soggetti passivi di imposta.

4.7. Si deve quindi escludere la sussistenza del vizio di violazione di legge poichè la sentenza impugnata ha interpretato correttamente le disposizioni del codice doganale comunitario, peraltro in aderenza alla interpretazione che ne ha dato lo stesso ricorrente, individuando la soggettività passiva del C. sulla base di più elementi convergenti, specificamente indicati, quali quelli sopra riportati che dimostravano il suo coinvolgimento specifico anche nella operazione oggetto del presente giudizio come soggetto che aveva coscientemente partecipato all’illecito attraverso la condotta sopra descritta. Il che comporta la inammissibilità del motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con il quale è stata proposta una lettura alternativa delle risultanze di causa rispetto a quella fatta propria dal giudice di merito. Non sussisterebbe comunque neppure in vizio di motivazione della sentenza impugnata, peraltro non dedotto, poichè tale vizio sussiste quando il giudice non indichi affatto le ragioni del proprio convincimento rinviando, genericamente e “per relationem”, al quadro probatorio acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito, mentre nella specie la sentenza impugnata ha indicato, con motivazione non illogica, il percorso attraverso cui ha ritenuto sussistenza della prova della partecipazione consapevole del C. alla attività illecita contestata con l’avviso di rettifica impugnato.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo. Sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater, essendo stato il ricorso notificato il 22.6.2015.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 1.300,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito. Dà atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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