Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18130 del 15/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 15/09/2016, (ud. 13/07/2016, dep. 15/09/2016), n.18130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5495/2014 proposto da:

P.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DARDANELLI 37, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CAMPANELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO CIACCIA, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA SAN SATURNINO 5, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA

NAPPI, che la rappresenta o difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 244/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE SEZ.

DIST. DI TARANTO, depositata il 21/08/2013 R.G.N. 749/2012;

udita la causa svolta nella pubblica udienza del (Ndr: testo

originale non comprensibile) dal Consigliere Dott. NICOLA DE

MARINIS;

udito l’Avvocato CAFFIO STEFANO per delega Avvocato CIACCIA PAOLO;

udito l’Avvocato NARDOIANNI RAFFAELE per delega vorbale NAPPI

FRANCESCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per inammissibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21 agosto 2013, la Corte d’Appello di Lecce, confermava la decisione resa dal Tribunale di Taranto e rigettava la domanda proposta da P.C. nei confronti di Poste Italiane S.p.A. avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli a motivo delle gravissime irregolarità emergenti a carico del P. dalla sentenza di condanna per il reato di estorsione, divenuta irrevocabile successivamente alla ripresa del servizio dello stesso presso la Società conseguente alla conciliazione della controversia circa dell’apposizione del termine al contratto di lavoro in precedenza concluso tra le parti e del mendacio dichiarato dal P. nell’atto di riammissione in servizio circa l’assenza di carichi penali pendenti.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto irrilevante la mancata audizione a difesa del P. da parte della Società in considerazione dell’atteggiamento ampiamente tollerante da questa tenuto a fronte dell’evidente strumentalità dei rinvii a riguardo richiesti dal P., sussistente, in relazione alla plausibilità della richiesta dichiarazione stante il lungo lasso di tempo decorso dall’originaria costituzione del rapporto e tenuto conto degli obblighi di correttezza e buona fede alla cui osservanza il dipendente era comunque tenuto, il mendacio dichiarato, infondata l’eccezione di violazione del divieto di indagini in relazione alla modalità casuale in base alla quale la Società è venuta a conoscenza del fatto ed alla pertinenza dell’informazione al ruolo professionale del dipendente.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il P., affidando l’impugnazione a cinque motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste, con controricorso, la Società.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, nonchè dell’art. 57, commi 1 e 3, del CCNL per i dipendenti di Poste Italiane, lamenta l’erroneità della pronunzia della Corte territoriale, dichiarativa della legittimità del licenziamento disciplinare intimatogli dalla Società datrice, deducendo che la stessa aveva omesso di considerare la violazione del diritto di difesa conseguente alla mancata audizione personale, finalizzata a rendere le proprie giustificazioni relativamente agli addebiti mossigli, cui la Società non aveva più dato corso, sebbene la mancata adesione agli inviti in tal senso, pur ripetutamente rivolti al ricorrente, non fosse ascrivibile a sua colpa, per essere stati tutti giustificati con la presentazione di certificati medici, proseguendo nel procedimento disciplinare a suo carico fino all’irrogazione della massima sanzione in violazione degli obblighi di correttezza e buona fede.

Con il secondo motivo si imputa alla Corte territoriale la violazione e falsa applicazione dell’art. 56, 6, lett. J del CCNL per i dipendenti di Poste Italiane, avendo erroneamente ravvisato la ricorrenza nella specie della condotta illecita ivi astrattamente contemplata e sanzionata con il licenziamento, consistente nell’acquisizione del posto sulla base di false attestazioni, motivando il rilievo in relazione all’essere l’autocertificazione in ordine ai carichi pendenti non prevista nè dalle norme contrattuali nè dalla legge relativa.

Il terzo motivo, con il quale il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 3 Cost., della L. n. 300 del 1970, art. 7, dell’art. 1175 c.c. e dell’art. 2119 c.c., è volto a censurare la pronunzia resa dalla Corte territoriale sotto il profilo della corretta applicazione del principio legale di proporzionalità tra la condotta contestata e la sanzione irrogata.

Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 8, con riferimento al capo della sentenza che esclude la violazione del divieto di indagini su vicende riguardanti il lavoratore estranee al rapporto lavorativo in relazione all’acquisizione da parte della Società di informazioni in ordine all’intervenuta sentenza penale di condanna a suo carico.

Il quinto motivo imputa alla Corte territoriale la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, in ordine al rigetto dell’eccezione di tardività della contestazione.

Venendo all’esame degli esposti motivi, deve rilevarsi come il primo di essi meriti accoglimento, dovendo ritenersi la non conformità a diritto e l’incongruità logica delle ragioni in base alle quali la Corte territoriale ha ritenuto nella specie non in contrasto con la previsione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, la mancata audizione a difesa del ricorrente, ragioni sostanzialmente riconducibili all’assunto per cui l’esonero dal relativo obbligo in favore della Società datrice si legittimerebbe nella specie in relazione all’ampia disponibilità manifestata dalla Società medesima ed attestata dalle ripetute convocazioni a ciò finalizzate, cui avrebbe fatto riscontro da parte del ricorrente un insistito atteggiamento dilatorio di natura chiaramente strumentale. Tale assunto, infatti, risulta palesemente smentito alla luce delle certificazioni mediche che hanno sempre accompagnato le richieste di rinvio da parte del ricorrente in relazione alla cui autenticità la Società non ha mai avanzato contestazione alcuna, restando così illegittimamente conculcato il diritto di difesa garantito dalla L. n. 300 del 1970, art. 7.

Il motivo riveste evidentemente carattere assorbente rispetto agli altri motivi, conseguendone l’accoglimento del ricorso e la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, che si pronunzierà in conformità, provvedendo altresì per l’attribuzione delle spese relatiive al presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2016

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