Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1813 del 20/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2022, (ud. 14/12/2021, dep. 20/01/2022), n.1813

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23651-2020 proposto da:

D.M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MICHELE MARRA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SALERNO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio

dell’avvocato PLACIDI STUDIO, rappresentato e difeso dagli avvocati

CARMINE GRUOSSO, ANIELLO DI MAURO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5/2020 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 16/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ELENA

BOGHETICH.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza n. 5 depositata il 16.1.2020, la Corte d’appello di Salerno, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda proposta, nei confronti del Comune di Salerno, da D.M.G. per accertamento del lavoro subordinato (e pagamento delle differenze retributive) svolto, in qualità di corista presso il Teatro municipale “(OMISSIS)”, dal 2007 al 2014 e per il pagamento di ulteriori differenze retributive e ricostituzione del rapporto di lavoro dall’1.1.2015;

2. nella specie, la Corte territoriale – dando preliminarmente atto della formazione di giudicato interno in relazione all’accertata decadenza, L. n. 183 del 2010, ex art. 32, dalle domande connesse all’impugnativa dei contratti a termine (stipulati dal gennaio 2015 in poi) e alla ricostituzione di un rapporto di lavoro subordinato, in assenza di motivo di appello sul punto – ha ritenuto non fondata la prospettazione del lavoratore circa la natura subordinata dei rapporti di fatto instaurati (per un numero limitato di giorni in ciascun anno, in base a contratti di prestazione d’opera) dal 2007 al 2014, in assenza degli indici tipici della subordinazione quali la continuità dell’attività, lo stabile inserimento nell’ambito datoriale, l’assenza di messa a disposizione della prestazione;

3. avverso tale statuizione D.M.G. ha proposto ricorso per cassazione deducendo tre motivi di censura, illustrati da memoria depositata tardivamente; il Comune ha resistito con controricorso;

4. veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE

1. con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione falsa applicazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti, perché la sentenza impugnata confonde il contratto d’opera con il contratto di lavoro a termine. Insussistenza della decadenza di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 avendo, la Corte territoriale, confuso contratti di lavoro autonomo a tempo determinato (come dedotti dall’originario ricorrente) e contratti di lavoro subordinato, non potendosi applicare la decadenza a contratti professionali liberi per l’esecuzione di un lavoro e/o opera, ed avendo, in ogni caso, l’originario ricorrente proposto la domanda esclusivamente con riguardo alle differenze economiche spettanti tra quanto effettivamente percepito e le singole opere”.

2. Con il secondo motivo si deduce “violazione falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione al pagamento delle differenze paga spettanti al lavoratore in applicazione del CCNL di categoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione di norme di diritto e di contrattazione collettiva nazionale”.

3. con il terzo motivo si deduce “violazione falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e della normativa in tema di collaborazione coordinata e continuativa; violazione dei minimi contrattuali del diritto ad ottenere le differenze ex art. 36 Cost. e art. 2094 c.c.”.

4. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

5. Preliminarmente, tutti i motivi vengono sviluppati sovrapponendo e confondendo questioni che attengono alla ricostruzione dei fatti oggetto di causa, ossia alla qualificazione dei rapporti di lavoro stipulati tra le parti e alle modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, e profili giuridici. Sotto tale aspetto le censure appaiono inammissibili, perché l’orientamento secondo cui un singolo motivo può essere articolato in più profili di doglianza, senza che per ciò solo se ne debba affermare l’inammissibilità (Cass. S.U. n. 9100 del 2015), trova applicazione solo qualora la formulazione permetta di cogliere con chiarezza quali censure siano riconducibili alla violazione di legge e quali, invece, all’accertamento dei fatti; nel caso di specie, al contrario, le doglianze operano una commistione fra profili di merito e questioni giuridiche, sicché finiscono per assegnare inammissibilmente al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. n. 26790 del 2018, Cass. n. 33399 del 2019).

6. Il capo della sentenza di primo grado – relativo alla intervenuta decadenza, della L. n. 183 del 2010, ex art. 32, sulla domanda di impugnazione dei contratti a tempo determinato stipulati dal gennaio 2015 e sulla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato – sul quale la Corte territoriale ha ravvisato la formazione del giudicato interno, integrava una decisione autonoma, con conseguente necessità di impugnazione in sede di appello (non dedotta né trascritta dall’attuale ricorrente); ne consegue l’inammissibilità del primo motivo di ricorso.

7. Inoltre, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se correttamente motivata, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (cfr, ex plurimis, Cass. n. 9808 del 2011, Cass. n. 9256 del 2009 e, con riferimento al rapporto di lavoro di musicisti, Cass. n. 7740 del 2003 e Cass. n. 8444 del 2020).

8. Nel caso di specie la Corte territoriale ha sviluppato il proprio iter argomentativo senza arrecare alcun vulnus ai criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto in tema di qualificazione del rapporto di lavoro: ha osservato che il D.M., artista del coro, aveva operato in favore del teatro municipale, dal 2007 al 2014, in esecuzione di contratti di prestazione d’opera intellettuale conclusi in relazione a specifici programmi, comportanti l’obbligo di partecipazione alle prove nei luoghi e secondo le modalità stabilite dalla direzione artistica (con la garanzia di retribuzione delle sole giornate lavorate), caratteristiche tipiche del lavoro artistico che assume valore e contenuto in rapporto agli altri componenti del coro e dell’orchestra né era emerso un obbligo di rimanere a disposizione fra un concerto/opera lirica e un altro.

9. In definitiva, la Corte territoriale ha ritenuto che non erano stati dedotti elementi significativi della subordinazione, qualificata dall’esistenza di un potere direttivo che consentisse al datore di lavoro di disporre pienamente della prestazione altrui, nell’ambito delle esigenze della propria organizzazione produttiva e, dunque, non erano invocabili l’art. 36 Cost. e art. 2094 c.c..

10. Si tratta di apprezzamento condotto in conformità ai principi elaborati in tema dalla Corte di legittimità – secondo cui l’elemento della subordinazione (ossia della sottoposizione al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro) costituisce una modalità d’essere del rapporto, desumibile da un insieme di circostanze che devono essere complessivamente valutate da parte del giudice del merito, in particolare nei rapporti di lavoro aventi natura professionale o intellettuale ed indipendentemente da una iniziale pattuizione scritta sulle modalità del rapporto (vedi Cass.26/8/2013 n. 19568) – ed alla stregua di argomentazioni congrue quanto alla valutazione delle circostanze ritenute in concreto idonee a far rientrare il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale. La statuizione non appare, dunque, inficiata dalle formulate censure.

11. in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

12. il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo uncato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per spese ed Euro 5.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

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