Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18129 del 31/08/2020

Cassazione civile sez. II, 31/08/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 31/08/2020), n.18129

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10309-2016 proposto da:

S.P., F.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

V. MONTELLO 10, presso lo studio dell’avvocato GERMANO GIANNELLA,

rappresentati e difesi dagli avvocati FRANCESCO PAPA, SIMONA PAPA;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA

DI RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato ARTURO BENIGNI,

rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE ROSSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3954/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/01/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E MOTIVI DELLA DECISIONE

S.P. e F.C. hanno proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 3954/2015 della Corte d’appello di Napoli, depositata il 12 ottobre 2015.

Resistono con controricorso il Condominio (OMISSIS).

La Corte d’appello di Napoli ha accolto il gravame avanzato dal Condominio (OMISSIS), contro la sentenza resa dal Tribunale di Avellino in data 10 novembre 2011, ed ha così revocato il decreto ingiuntivo per l’importo di Lire 24.496.294 intimato ai condomini S.P. e F.C. su domanda del Condominio (OMISSIS), dichiarando comunque tenuti gli opponenti al pagamento della somma di Euro 11.396,01, oltre interessi. La Corte d’appello ha evidenziato come l’intervenuto annullamento giudiziale (in forza della “sentenza n. 76/09”) della Delib. assembleare del Condominio (OMISSIS) 11 settembre 1997, che aveva approvato il bilancio consuntivo 1995-1996, quantificando in Lire 53.057.933 il debito dei condomini S. e F., non escludeva che i medesimi opponenti fossero debitori di somme inferiori. In particolare, la Corte di Napoli, individuate le causali esposte dal Condominio (OMISSIS) nel ricorso monitorio, e richiamate le emergenze della CTU contabile disposta nel giudizio di impugnazione della Delib. 11 settembre 1997 (nel senso di dover detrarre dall’importo ingiunto la somma di Lire 2.430.207 con riguardo alle causali b e c della domanda monitoria, rimanendo invece dovute le residue poste per le spese di manutenzione straordinaria di cui alla Delib. 9 dicembre 1994), ha calcolato in Lire 22.066.987 (Euro 11.396,01) l’importo residuo del debito per i contributi condominiali spettante ai signori S. e F..

La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c..

Il controricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

I. Il primo motivo di ricorso di S.P. e F.C. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 2967 c.c., non avendo l’opposto Condominio provato la sua pretesa creditoria mediante la documentazione prodotta.

Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., comma 7, artt. 132 e 156 c.p.c., poichè mancano nella sentenza impugnata le ragioni che hanno portato la Corte d’appello a disattendere gli esiti della “CTU C.” ed ad utilizzare le risultanze della “prima perizia Caterini del 30/4/2003 in luogo della seconda definitiva del 23/9/2004”, la quale ultima aveva quantificato in Lire 62.026.362, invece che in Lire 66.976.362, le spese occorse per l’esercizio 1995-1996.

Il terzo motivo di ricorso allega l’omesso esame circa un fatto decisivo, consistente nelle conclusioni della seconda CTU Caterini e della CTU C., “dalle cui risultanze non si può prescindere perchè ogni altra ipotesi non è supportata da documentazione in giudizio”.

1.1. I tre motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e si rivelano, oltre che connotati da diffusi profili di inammissibilità, comunque del tutto infondati.

Occorre dapprima ribadire che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonchè dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569). Dunque, la Delib. condominiale di approvazione dello stato di ripartizione (nella specie, quella dell’11 settembre 1997, relativa al rendiconto dell’esercizio 1995-1996 del Condominio (OMISSIS)) costituisce titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. sez. un. 18 dicembre 2009, n. 26629; Cass. 23 febbraio 2017, n. 4672). Il giudice deve, peraltro accogliere l’opposizione qualora la Delib. condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137 c.c., o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorchè non passata in giudicato, annullato la deliberazione, come qui si assume avvenuto con la “sentenza n. 76/09” (Cass. 14 novembre 2012, n. 19938; Cass. 24 marzo 2017, n. 7741). L’annullamento della Delib. di riparto, su cui era radicato il decreto ingiuntivo, non preclude tuttavia al giudice dell’opposizione di pronunciare sul merito della pretesa, emettendo una sentenza favorevole o meno, a seconda che l’amministratore dimostri che la domanda sia fondata, e cioè che il credito azionato sussiste, è esigibile e che il condominio ne è titolare ai sensi degli artt. 1123 e ss. c.c.. Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per contributi condominiali ha comunque ad oggetto l’intera situazione giuridica controversa, sicchè è al momento della decisione che occorre avere riguardo per la verifica della sussistenza delle condizioni dell’azione e dei presupposti di fatto e di diritto per l’accoglimento della domanda di condanna del debitore. Pertanto, come avvenuto nel caso in esame, la riscontrata insussistenza solo parziale della fondatezza del credito ingiunto comporta unicamente l’impossibilità di confermarne la condanna nell’importo indicato nel decreto ingiuntivo, che dunque va sempre integralmente revocato, ferma l’autonoma condanna dell’opponente condomino al pagamento, in favore dell’opposto condominio creditore, di una somma inferiore a quella oggetto di ingiunzione.

La Corte d’appello di Napoli ha appunto accertato che il credito di Lire 24.496.294, intimato al condomini S.P. e F.C. in sede monitoria, nonostante l’intervenuto annullamento della Delib. assembleare del Condominio (OMISSIS) 11 settembre 1997, che aveva approvato il bilancio consuntivo 1995-1996, fosse parzialmente dimostrato dai documenti prodotti e dalle prove acquisite, in particolare per Lire 10,938.171 imputabili al medesimo esercizio 19951996 alla stregua della CTU contabile disposta nel giudizio di impugnativa della Delib. di approvazione del rendiconto, e per Lire 11.127.916 per le spese di manutenzione straordinaria di cui alla Delib. 9 dicembre 1994.

L’infondatezza del primo motivo di ricorso discende, allora, dalla considerazione che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre; mentre la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, e solo quando il giudice di merito abbia disatteso tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, abbia valutato secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892). A sua volta, la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma.

Al contrario, il primo motivo di ricorso, come anche i restanti, adducono una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dalla Corte d’appello per pervenire al convincimento della residua parziale fondatezza della pretesa creditoria del Condominio (OMISSIS).

Quanto al secondo motivo, per aversi una ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4) occorre rinvenire una “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, oppure una “motivazione apparente”, o ancora un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

La sentenza della Corte d’Appello di Napoli contiene, al contrario, le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione adottata. Al riguardo, il secondo motivo di ricorso si esaurisce in una inammissibile prospettazione alternativa dei fatti e delle risultanze documentali, ponendo in comparazione le emergenze della consulenze tecniche ” C.” e ” Ca.”, senza peraltro adempiere al requisito di ammissibilità, imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare specificamente i punti salienti dei diversi elaborati tecnici che hanno portato ai differenti saldi, come anche le critiche rivolte all’una o all’altra perizia dinanzi al giudice di merito, onde consentire a questa Corte di valutare i rilievi svolti in termini di decisività e di rilevanza. I ricorrenti si limitano ad effettuare una mera disamina delle diverse cifre riportate negli elaborati peritali, prospettando un sindacato di merito incompatibile col giudizio di legittimità.

Quanto al terzo motivo di ricorso, e dunque con riferimento al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’interpretazione di questa Corte ha chiarito come la riformulazione di tale norma, operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, allora, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante. E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per sostenere la mancata adesione della Corte d’appello alle conclusioni della seconda CTU Ca. e della CTU C.. La Corte d’appello di Napoli non si è limitata acriticamente a far proprie le conclusioni della richiamata relazione peritale, visto che nella sentenza impugnata sono spiegate le ragioni del convincimento raggiunto dai giudici e dell’adesione alle conclusioni prospettate dall’ausiliare. La difformità della soluzioni prospettate nella diverse consulenze tecniche espletate e le eventuali critiche mosse dagli opponenti S. e F. riguardo all’una o all’altra non emergono nella sentenza impugnata, nè i ricorrenti chiariscono, sempre agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, l’avvenuta tempestiva deduzione di tali questioni dinanzi al giudice di merito, indicando il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esse risultino devolute, nonchè il “come” e il “quando” tali questioni fossero state oggetto di discussione processuale tra le parti. Spetta, del resto, al giudice di merito esaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo mediante la CTU, e dare conto dei motivi di consenso, come di quelli di eventuale dissenso, in ordine alla congruità dei risultati della consulenza e delle ragioni che li sorreggono. Tale valutazione è compiutamente esplicitata nella sentenza della Corte d’appello e non può essere sindacata in sede di legittimità invocando dalla Corte di cassazione, come auspicano i ricorrenti, un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in maniera da pervenire ad una nuova validazione e legittimazione inferenziale dell’adesione prestata dal giudice di merito ai risultati delle espletate consulenze tecniche d’ufficio.

II. Consegue il rigetto del ricorso, regolandosi le spese del giudizio di cassazione secondo soccombenza in favore del controricorrente.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

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