Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18129 del 24/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2021, (ud. 26/04/2021, dep. 24/06/2021), n.18129

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30816/2018 R.G. proposto da:

RITIM S.p.a., in persona del legale rapp.te p.t., elett.te

domiciliato in Roma, alla via Medaglie d’Oro n. 157, presso lo

studio dell’avv. Francesco Saulle, unitamente agli avv.ti Giovanni

Toffali e Alessandro Benussi, da cui è rapp.to e difeso come da

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Chiari, in persona del legale rapp.te p.t., elett.te

domiciliato in Roma, alla via Germanico n. 172, presso lo studio

dell’avv. Sergio Galleano, unitamente all’avv. Elisa Bonzani da cui

è rapp.to e difeso come da procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1144/26/18 della CTR della Lombardia, sez.

distaccata di Brescia, depositata il 19/3/2018, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26 aprile 2021 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. con sentenza n. 1144/26/18, depositata il 19 marzo 2018, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sez. distaccata di Brescia, accoglieva l’appello proposto dal Comune di Chiari, avverso la sentenza n. 249/15/15 della Commissione Tributaria Provinciale di Brescia, con condanna al pagamento delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione del diniego di rimborso dell’ICI versata in eccesso per gli anni dal 1992 al 2005, in relazione ad un immobile riconosciuto di interesse storico artistico, agli effetti del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 10, comma 3, lett. a), artt. 13 e 14, con provvedimento della Sovraintendenza di Brescia notificato in data (OMISSIS);

3. la CTP aveva accolto il ricorso, ritenendo che l’immobile in questione fosse inserito tra gli immobili vincolati già nel PRG del Comune di Chiari risalente al 1979; la CTR, in riforma della sentenza impugnata, dopo aver distinto la natura del vincolo diretto da quella del vincolo indiretto previsto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 45, aveva accolto il gravame del Comune sul presupposto che in tema di agevolazione ai fini ICI assumesse rilevanza il solo vincolo diretto di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 10, che risultava apposto solo a decorrere dal 2010;

4. avverso la sentenza di appello, la società contribuente proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 19 ottobre 2018, affidato a due motivi, e depositava memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.; il Comune resisteva con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso la società contribuente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e art. 62, comma 1, dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, censurando l’impugnata sentenza per aver mancato di rilevare l’inammissibilità dell’appello nonostante la evidente violazione del requisito di specificità dei motivi;

2. con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, e art. 62, comma 1, dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dell’art. 156 c.p.c., comma 2, dell’art. 118disp. att. c.p.c., e dell’art. 111 Cost, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in presenza di una sentenza viziata da una motivazione apparente, fondata su argomenti inconferenti rispetto ai fatti di causa ed alle questioni poste dalle parti, quali la distinzione tra vincolo diretto e indiretto, da cui non era possibile evincere le ragioni dell’accoglimento.

Osserva che:

1. Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento.

1.1 Sul tema, costituisce ius receptum di questa Corte che ” In tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benchè formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni. (Vedi Cass. n. 20379 del 2017)

Si è quindi precisato che ” Nel processo tributario la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci. (Vedi Cass. n. 32954 del 2018).

Rileva ancora che “Nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione” (Vedi Cass. n. 707 del 2019).

1.2 In applicazione di tali principi, va ritenuto ammissibile l’appello del Comune di Chiari con cui è stata impugnata la decisione nel merito insistendo sulla necessità dell’apposizione di un vincolo di interesse storico-artistico da parte della Sovrintendenza, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione in materia di ICI, e sulla irrilevanza della mera situazione di fatto nonchè delle previsioni del piano regolatore generale del Comune.

2. Infondato anche il secondo motivo.

2.1 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1, 18 giugno 2018 n. 16057; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).

Si è così precisato che “Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Vedi Cass. n. 9105 del 2017; n. 20921 del 2019) ed ancora che “La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6″ (Vedi Cass. 13248 del 2020).

2.2 Si è anche chiarito a che “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” (Vedi Cass. n. 22598 del 2018).

2.3 Tale vizio, pur correttamente dedotto, non ricorre nel caso in esame, laddove la C.T.R., all’esito di una ricostruzione normativa generale sulle diverse tipologie di vincoli, ha ritenuto che, ai fini del riconoscimento dell’agevolazione in tema di ICI ed IMU, fosse indispensabile l’apposizione di un vincolo diretto sull’immobile e che, risultando tale vincolo apposto solo dal 2010, non sussistesse il diritto alla riduzione della tassazione anche per il periodo antecedente.

Si tratta di una motivazione che non può assolutamente considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita in modo perfettamente intellegibile e chiara le ragioni della decisione, nei termini innanzi descritti.

3. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va integralmente rigettato.

3.1 Segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

3.2 Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna la società ricorrente a pagare al Comune le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 4.100,00 per compensi professionali, oltre esborsi per Euro 200,00, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 26 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2021

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