Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18128 del 15/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 15/09/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 15/09/2016), n.18128

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26131/2013 proposto da:

C.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

CORSO TRIESTE 87, presso lo studio dell’avvocato ARTURO ANTONUCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO SAITTA, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

UFFICIO SCOLASTICO PROVINCIALE MESSINA, UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE

SICILIA, MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA C.F. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1169/2013 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 16/07/2073, P.G. N. 667/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito l’Avvocato NAZARENO PERGOLIZZI per delega ANTONIO SAITTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 – La Corte di Appello di Messina ha accolto l’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca avverso la sentenza del locale Tribunale che, accogliendo il ricorso di C.M., aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente dal Direttore Generale Regionale per la Sicilia con nota del 17 giugno 2011 ed aveva condannato il Ministero a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro in precedenza occupato ed a corrispondere allo stesso le retribuzioni medio tempore maturate.

2- La Corte territoriale ha premesso che:

a) C.M., tratto in arresto per il reato di rapina il 14 luglio 2006, era stato sospeso dal servizio con provvedimento del 1 agosto 2006 ed il procedimento disciplinare era stato, poi, avviato con la contestazione del 23.3.2009, formulata dopo il passaggio in giudicato della sentenza che aveva accertato la penale responsabilità dell’imputato;

b) all’esito del procedimento, in data 11.6.2009, il dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale aveva intimato il licenziamento, ma detto provvedimento era stato impugnato e dichiarato nullo per vizio di forma dal Tribunale di Messina, con sentenza n. 1724 del 25.3.2011, passata in giudicato;

c) la amministrazione aveva, quindi, provveduto a rinnovare la contestazione con atto del 27.4.2011 ed aveva nuovamente intimato il licenziamento con nota del 17.6.2011.

3- In punto di diritto la Corte ha osservato che il licenziamento nullo per vizio di forma può essere rinnovato in base agli stessi motivi sostanziali che avevano determinato il precedente recesso, purchè venga rispettato il requisito della tempestività “da riferirsi al riscontro della insussistenza di un comportamento del datore di lavoro incompatibile con la volontà di risolvere il rapporto”. Ha ritenuto che nella specie l’Amministrazione avesse tempestivamente agito, perchè il primo procedimento era stato avviato nel termine di 90 giorni dalla notizia della condanna penale definitiva e la rinnovazione era intervenuta nel rispetto del medesimo termine, da computarsi a far tempo dalla data della sentenza del Tribunale di Messina, che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento.

Ha escluso che assumesse rilievo la data in cui il Ministero aveva avuto conoscenza dell’arresto, poichè la amministrazione aveva agito nel rispetto dei termini imposti dalla L. n. 97 del 2001, art. 5, richiamato anche dall’art. 96, comma 4, del CCNL per il Comparto della scuola.

Infine il giudice di appello ha rilevato che i fatti erano incontestati e di gravità tale da giustificare la sanzione espulsiva, attesa la pericolosità del soggetto che, per procurarsi il denaro necessario per l’acquisto di stupefacenti, dei quali faceva uso abituale, aveva commesso più rapine a mano armata e con il volto coperto ai danni di rivendite di tabacchi.

4 – Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.M. sulla base di tre motivi. Il Ministero della Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ritualmente intimato, non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo di ricorso è denunciata, ex art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro in relazione agli artt. 93 e 96 CCNL Comparto Scuola, L. n. 97 del 2001, art. 5, comma 4, ed artt. 24, 97 e 98 Cost.”. Sostiene il ricorrente che la contestazione doveva essere effettuata nel termine previsto dalla contrattazione collettiva vigente all’epoca della prima acquisizione della notizia del fatto di reato, ossia entro i venti giorni stabiliti dall’art. 93 del richiamato CCNL. Erano pertanto tardive sia la contestazione del 23 marzo 2009, sia quella del 27 aprile 2011, pervenuta al dipendente una volta che erano decorsi più di cinque anni dalla commissione degli illeciti.

Aggiunge il C. che la amministrazione aveva comunque violato i termini imposti dalla L. n. 97 del 2001, art. 5, poichè il procedimento disciplinare doveva essere definito entro 270 giorni dalla notizia del passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna e, quindi, il relativo potere si era consumato in via definitiva nel dicembre del 2009.

1.2 – Il secondo motivo censura la sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per violazione dei principi della immediatezza della contestazione e del ne bis in idem nonchè per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Assume il ricorrente che la pendenza di un giudizio avente ad oggetto la legittimità sotto il profilo formale del licenziamento intimato non esime la amministrazione, che intenda sanare i vizi del procedimento, dal rispetto dei termini previsti dalla normativa vigente, sicchè la rinnovazione sarà possibile solo qualora la procedura possa essere ripetuta entro i termini decorrenti dalla acquisizione della notizia dell’illecito. La Corte territoriale, pertanto, aveva errato nel ritenere che il dies a quo dovesse essere individuato nella data della sentenza che aveva dichiarato la nullità del primo licenziamento.

Aggiunge che è inibito al datore di lavoro, una volta esercitato il potere disciplinare, avviare una nuova iniziativa nei confronti del dipendente in relazione ai medesimi fatti, rispetto ai quali il potere medesimo è ormai consumato.

1.3. – Il terzo motivo censura la sentenza impugnata per “violazione e mancata applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, in relazione agli artt. 92, 95 e 96 del CCNL Comparto Scuola, all’art. 32 quinques c.p., agli artt. 3, 4, 27 e 32 Cost.” nonchè per “omessa ed insufficiente motivazione in relazione alla congruità ed alla proporzionalità della sanzione disciplinare irrogata”. Si sostiene, in sintesi, che l’episodio in relazione al quale il procedimento disciplinare era stato avviato, per quanto deprecabile, era rimasto del tutto isolato perchè in precedenza il ricorrente, incensurato, non aveva commesso alcuna infrazione disciplinare. Si aggiunge che la scelta della sanzione da infliggere doveva essere effettuata tenendo conto della personalità del lavoratore, profondamente mutata a distanza di anni dalla consumazione del reato, delle finalità rieducative della pena e del ruolo rivestito nella organizzazione scolastica, tale da non implicare il contatto diretto con gli alunni.

2 – I primi due motivi di ricorso, che per la loro stretta connessione devono essere congiuntamente trattati, sono fondati nella parte in cui censurano il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto rispettati i termini del procedimento disciplinare, muovendo dal presupposto che il dies a quo dovesse essere individuato nella data di comunicazione della sentenza del Tribunale di Messina che aveva annullato, per vizio di forma, il precedente licenziamento, intimato l’11 giugno 2009.

La Corte territoriale ha in tal modo esteso all’impiego pubblico contrattualizzato i medesimi principi affermati da questa Corte in relazione al potere del datore di lavoro privato di intimare nuovamente il licenziamento per i medesimi fatti, nell’ipotesi in cui la sanzione risulti viziata solo per motivi formali.

Detto orientamento (si rimanda, fra le più recenti, a Cass. 18.11.2014 n. 24525; Cass. 30.6.2014 n. 14763; Cass. 19.3.2013 n. 6773) ritiene ammissibile la rinnovazione del licenziamento nullo per vizio di forma (purchè siano adottate le modalità prescritte, omesse nella precedente intimazione) in quanto tale rinnovazione, risolvendosi nel compimento di un negozio diverso dal precedente, esula dallo schema dell’art. 1423 c.c., che è norma diretta solo ad impedire la sanatoria di un negozio nullo con effetto ex tunc e non a comprimere la libertà delle parti di reiterare la manifestazione della propria autonomia negoziale.

Nelle pronunce di questa Corte che hanno affrontato, sempre con riferimento all’impiego privato, anche la questione della tempestività della seconda contestazione, si è sottolineato che nei casi di rinnovazione “la tempestività della prima contestazione (in assenza di un’autonoma tempestività della seconda) conserva la sua efficacia, poichè la violazione del principio dell’immediatezza non va valutata in astratto e con esclusivo riferimento al tempo trascorso dal fatto, ma riscontrata in concreto in relazione al determinarsi, in ragione del tempo trascorso, di un comportamento del datore di lavoro incompatibile con la volontà di risolvere il rapporto” (Cass. 12.4.2012 n. 5798).

2.1 – Il ricorso, pur non censurando il capo della sentenza che ritiene ammissibile anche nell’impiego pubblico contrattualizzato la rinnovazione del procedimento, sottolinea che il potere di rinnovazione può essere esercitato solo nel rispetto dei termini perentori imposti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, che sono quelli del procedimento originario e che, pertanto, non possono decorrere dalla data della sentenza dichiarativa della nullità del primo recesso.

La doglianza chiama, quindi, la Corte a pronunciare sulla estensibilità all’impiego pubblico contrattualizzato del principio secondo cui il secondo licenziamento, intervenuto dopo la dichiarata nullità del primo recesso, non può essere ritenuto tardivo, perchè, ai fini della tempestività della contestazione, conserva ancora efficacia l’atto di avvio del primo procedimento.

Ritiene il Collegio che al quesito debba darsi risposta negativa, poichè occorre considerare la normativa specifica del procedimento disciplinare dettata per l’impiego pubblico contrattualizzato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, nelle diverse versioni succedutesi nel tempo, dalla contrattazione collettiva, applicabile alla fattispecie ratione temporis, dalla L. n. 97 del 2001, sui rapporti fra processo penale e procedimento disciplinare.

2.2 – Come è noto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, affermata la applicabilità anche all’impiego pubblico contrattualizzato della L. n. 300 del 1970, art. 7, commi 1, 5 e 8, nonchè del principio della previa contestazione tempestiva degli addebiti, demandava alla contrattazione collettiva la individuazione degli illeciti disciplinari, delle relative sanzioni, dei termini del procedimento.

Il CCNL 29.11.2007 per il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario del comparto scuola per il quadriennio normativo 2006/2009, che qui viene in rilievo, applicando i medesimi principi previsti per il comparto ministeri, prevedeva, all’art. 93, comma 2, l’obbligo per l’amministrazione di avviare il procedimento “entro 20 giorni da quando il soggetto competente per la contestazione… è venuto a conoscenza del fatto” ed aggiungeva, al comma 6, che lo stesso doveva concludersi, a pena di estinzione, entro 120 giorni dalla contestazione dell’addebito (6. Il procedimento disciplinare deve concludersi entro 120 giorni dalla data di contestazione di addebito. Qualora non sia stato portato a termine entro tale data, il procedimento si estingue), affermando, poi, la natura perentoria di tutti i termini previsti dalla disposizione (9. I termini di cui al presente articolo devono intendersi come perentori).

Quanto ai rapporti fra processo penale e procedimento disciplinare l’art. 96, dopo avere previsto la necessaria sospensione di quest’ultimo sino alla sentenza definitiva sulla responsabilità penale del dipendente, stabiliva che ” per i casi previsti dalla L. n. 97 del 2001, art. 5, comma 4, il procedimento disciplinare precedentemente sospeso è riattivato entro 90 giorni da quando l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza definitiva e deve concludersi entro i successivi 120 giorni dalla sua riattivazione”.

A sua volta l’art. 5 della legge sopra richiamata, che nel testo originario faceva salvi i diversi termini stabiliti dalla contrattazione collettiva, precisa che nel caso di pronuncia di sentenza irrevocabile di condanna, ancorchè a pena condizionalmente sospesa, “il procedimento disciplinare deve avere inizio o, in caso di intervenuta sospensione, proseguire entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione o all’ente competente per il procedimento disciplinare. Il procedimento disciplinare deve concludersi (salvi termini diversi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro) entro centottanta giorni decorrenti dal termine di inizio o di proseguimento, fermo quanto disposto dall’art. 653 c.p.p.”.

Il D.Lgs. n. 150 del 2009, nel ridurre gli spazi di autonomia della contrattazione collettiva, affermando la inderogabilità della nuova disciplina del procedimento, come delineata dal legislatore, ha previsto all’art. 55 bis termini perentori per la contestazione degli addebiti e per la conclusione del procedimento, stabilendo, per entrambi, ai commi 2 e 4, che la violazione “comporta per l’amministrazione la decadenza dall’azione disciplinare…”. Il legislatore delegato ha, poi, disciplinato all’art. 55 ter, i rapporti fra processo penale e procedimento disciplinare, prevedendo che quest’ultimo debba normalmente proseguire anche in relazione ai fatti per i quali procede l’autorità giudiziaria e che, nei casi eccezionali nei quali è consentita la sospensione, il procedimento debba essere riattivato, mediante il rinnovo della contestazione dell’addebito, entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza penale e debba essere concluso nei successivi centottanta giorni, decorrenti dalla data della riapertura.

Il recente D.Lgs. n. 116 del 2016, pubblicato sulla G.U. del 28 giugno 2016, non ancora in vigore alla data della presente pronuncia, nel modificare del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater, prevedendo termini più contenuti per l’ipotesi dell’illecito disciplinare consistente nella falsa attestazione della presenza in servizio, stabilisce che “la violazione dei suddetti termini, fatta salva l’eventuale responsabilità del dipendente cui essa sia imputabile, non determina la decadenza dall’azione disciplinare nè l’invalidità della sanzione irrogata, purchè non risulti irrimediabilmente compromesso il diritto di difesa del dipendente e non sia superato il termine per la conclusione del procedimento di cui all’art. 55-bis, comma 4”.

2.3 – Tutte le disposizioni normative e contrattuali sopra citate perseguono il fine evidente di prevedere termini certi finalizzati a garantire la tempestività dell’azione disciplinare, che nell’impiego pubblico deve essere immediata nel suo inizio e rapida nella conclusione, posto che la tempestività è finalizzata non solo a tutelare la effettività del diritto di difesa dell’incolpato, ma anche il buon andamento e la imparzialità della Pubblica Amministrazione.

Ciò spiega la ragione del carattere perentorio dei termini del procedimento, affermato dapprima dalle parti collettive, che hanno sempre qualificato tale il termine finale e, a partire dalla tornata negoziale 2002-2005, anche quello iniziale per la contestazione. Successivamente detta qualificazione è stata fatta propria dal legislatore che al mancato rispetto dei termini ha fatto conseguire “la decadenza dall’azione disciplinare”, decadenza che il recente decreto legislativo ha escluso solo in relazione ai termini più brevi inseriti dallo stesso decreto, ma a condizione che risulti comunque rispettato il termine finale previsto dal comma 4 del richiamato art. 55 bis.

2.4 – La giurisprudenza di questa Corte, poi, pur a fronte di una mancata espressa qualificazione in tal senso, non ha mai dubitato della tassatività dei termini previsti dalla normativa, succedutasi nel tempo, che ha disciplinato i rapporti fra processo penale e procedimento disciplinare. Il carattere perentorio, infatti, è stato affermato, sia con riferimento alla disciplina dettata dalla L. n. 19 del 1990, con la sola eccezione della sentenza di patteggiamento (sul punto si rimanda a Cass. 10.7.2009 n. 16213 e a Cass. 25.5.2010 n. 12848), sia in relazione alla normativa, che qui viene in rilievo, dettata dalla L. 27 marzo 2001, n. 97 (si rimanda a Cass. 3.3.2014 n. 4917).

2.5 – E’ poi significativo osservare che la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciare sulla legittimità della L. n. 19 del 1990, nella parte in cui imponeva un termine entro il quale il provvedimento doveva essere adottato, ha evidenziato che detto termine, ragionevole in quanto presuppone che i fatti siano stati accertati in sede penale, non contrasta con l’art. 97 Cost. (la lesione era stata prospettata dalla Adunanza Plenaria e dal Tar Liguria anche sul rilievo che la norma “potrebbe addirittura sottrarre più agevolmente i soggetti inquisiti alle sanzioni disciplinari, vista l’esiguità dei tempi”) “giacchè non è dalla norma, di per sè considerata, che discendono gli inconvenienti messi in luce dai Collegi rimettenti, ma da comportamenti omissivi delle singole amministrazioni che, essi sì, potrebbero risultare in altra sede censurabili. Ciò induce a concludere che le doglianze su questo punto attengono non tanto al meccanismo normativo introdotto dall’art. 9, comma 2, ma a sue abnormi modalità di applicazione (cfr. sentenza n. 11 del 1998 e ordinanza n. 396 del 1997)” (Corte Cost. 24.5.1999 n. 197).

2.6 – Va poi aggiunto che tutte le disposizioni sopra citate, normative e contrattuali, individuano con precisione il dies a quo di decorrenza dei termini perentori, che, ove non venga in rilievo il processo penale, decorrono, per la contestazione, dalla data di conoscenza del fatto da parte dell’ufficio competente, e per la conclusione dal momento di avvio del procedimento; ove, invece, quest’ultimo sia stato sospeso in attesa della sentenza penale, dalla comunicazione di questa all’amministrazione e, dopo la ripresa del procedimento, dalla riattivazione dello stesso.

2.6 – Così individuati il quadro normativo di riferimento e la ratio delle disposizioni, contrattuali e legali, che, succedutesi nel tempo, hanno sempre imposto termini perentori, quantomeno per la definizione del procedimento disciplinare (si ricorda che la prima tornata contrattuale, che peraltro non viene qui in rilievo, non prevedeva la perentorietà del termine iniziale), ritiene il Collegio che proprio detta perentorietà escluda che possano essere estesi all’impiego pubblico contrattualizzato i principi affermati da questa Corte in relazione alla tempestività della seconda iniziativa disciplinare, poichè la precisa individuazione del dies a quo, operata dalle parti collettive e successivamente dal legislatore, è incompatibile con il concetto della “relatività” del requisito della tempestività, da accertare non in astratto ma in concreto e con ragionevole elasticità, che, invece, ispira il procedimento disciplinare nell’ambito dei rapporti di lavoro alle dipendenze di privati.

Si è detto che il CCNL 29.11.2007 per il comparto della scuola, il cui contenuto sul punto non è dissimile dalle disposizioni contrattuali previste per gli altri comparti, fonda propria sulla perentorietà dei termini la estinzione del procedimento ed il D.Lgs. n. 165 del 2001, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2009, fa discendere dal mancato rispetto dei termini iniziale e finale la “decadenza dall’azione disciplinare”, sicchè dette previsioni sarebbero all’evidenza eluse ove si consentisse alla Pubblica Amministrazione di avviare un nuovo procedimento per i medesimi fatti, assumendo quale dies a quo per il computo del termine non la data di conoscenza del fatto (ove non venga in rilievo il rapporto con il processo penale) nè quella di comunicazione della sentenza penale definitiva, bensì quella dell’accertamento della nullità, per motivi di forma, della prima sanzione irrogata, ossia un momento temporale necessariamente successivo a quello previsto dalla legge e dalle parti collettive, in assenza di una espressa disposizione che a ciò autorizzi.

2.7 – Nel caso sottoposto alla attenzione della Corte è incontestato che il procedimento disciplinare per i fatti commessi il 14 luglio 2006, sospeso in attesa della definizione dell’azione penale, veniva riattivato con la contestazione del 23 marzo 2009 e, quindi, nella vigenza del testo originario del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, del CCNL per il Comparto Scuola 29.11.2007, della L. n. 97 del 2001, art. 5 (nel testo antecedente alla modifica dettata dal D.Lgs. n. 150 del 2009) richiamato anche dalle parti collettive.

La Corte territoriale avrebbe dovuto valutare la tempestività della seconda iniziativa disciplinare, avviata con atto del 27.4.2011, tenendo conto dei termini e del dies a quo individuati dalle disposizioni sopra richiamate, che non prevedono una diversa decorrenza per i casi in cui la sanzione già inflitta per gli stessi fatti venga annullata per vizio di forma, sicchè, non contestabile il potere dell’Amministrazione di ritirare l’atto 11.06.2009 (ove motu proprio ne avesse ravvisata l’illegittimità cagionata da incompetenza), certamente la rinnovazione della potestà disciplinare sarebbe dovuta intervenire nel termine di 120 giorni decorrente dalla contestazione del 23.3.2009.

2.8 – Il giudice di merito ha, pertanto, errato nell’attribuire rilievo alla data della pronuncia della sentenza del Tribunale di Messina che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento, sicchè la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte territoriale indicata nel dispositivo, che procederà ad un nuovo esame della controversia, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità, attenendosi a quanto evidenziato nei punti da 2.2 a 2.6 ed al principio di diritto che di seguito si enuncia: “nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, disciplinato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, la natura perentoria dei termini del procedimento disciplinare, stabiliti dalla contrattazione collettiva e, per i procedimenti avviati successivamente alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2009, del richiamato D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55 bis e segg., impedisce la rinnovazione del procedimento disciplinare, conclusosi con sanzione poi annullata per vizio di forma, nei casi in cui la nuova iniziativa disciplinare venga intrapresa per i medesimi fatti una volta che i termini perentori siano spirati”.

2.9 – I primi due motivi di ricorso vanno dichiarati inammissibili nella parte in cui sostengono la tardività anche della prima contestazione, posto che il passaggio in giudicato della sentenza che aveva annullato il licenziamento dell’11.6.2009 priva la doglianza del necessario interesse alla pronuncia.

Resta assorbito il terzo motivo di ricorso, con il quale la sentenza impugnata è stata censurata quanto alla valutazione sulla gravità dei fatti contestati ed al giudizio di proporzionalità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei termini indicati in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Messina in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2016

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