Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18127 del 31/08/2020

Cassazione civile sez. II, 31/08/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 31/08/2020), n.18127

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10305/2016 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CORTINA

D’AMPEZZO 60, presso lo studio dell’avvocato PIETRO PAPE’,

rappresentato e difeso dall’avvocato FERDINANDO TESTONI BLASCO, e

dall’avvocato MARIA ANTONIETTA SPITALE;

– ricorrente –

contro

P.R., G.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, LARGO ORAZI E CURIAZI 3, presso lo studio dell’avvocato

VITTORIO OLIVIERI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE

SILECI;

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

BALDUINA 7 INT. 15, presso lo studio dell’avvocato CONCETTA TROVATO,

rappresentato e difeso dall’avvocato COSIMO DISTEFANO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1662/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 02/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E MOTIVI DELLA DECISIONE

F.F. ha proposto ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza n. 1662/2015 della Corte d’appello di Catania, depositata il 2 novembre 2015.

Resistono con distinti controricorsi G.G. e P.R., nonchè L.G..

La Corte d’appello di Catania ha respinto il gravame avanzato in via principale da C.A. (poi proseguito, a seguito della morte della C., dall’erede F.F.) contro la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Catania in data 20 novembre 2009, che aveva respinto le domande di demolizione delle opere realizzate, nonchè di condanna ad eliminare le cause delle infiltrazioni all’interno della proprietà C. ed al risarcimento dei danni, spiegate dalla medesima C.A. contro i convenuti G.G., P.R. e L.G..

La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c..

Il ricorrente ha depositato due memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., una a firma dell’avvocato Ferdinando Testoni Blasco, l’altra a firma dell’avvocato Maria Antonietta Spitale, costituitasi in aggiunta all’altro difensore mediante procura rilasciata con scrittura privata autenticata.

Anche i controricorrenti hanno presentato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..

I. In via pregiudiziale, avendo il ricorrente depositato due successive memorie, deve osservarsi che, poichè l’art. 380 bis.1 c.p.c., consente alle parti di depositare “le loro memorie non oltre dieci giorni prima dell’adunanza in Camera di consiglio”, non può intendersi preclusa alla medesima parte, nel rispetto dell’anzidetto termine, la presentazione di più memorie, senza, cioè, che il deposito di una prima memoria implichi consumazione del potere di difesa scritta (cfr. Cass. Sez. 3, 19/02/2008, n. 4177).

L’unico motivo del ricorso di F.F. deduce la “violazione dell’art. 112, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” e l’omesso esame “circa alcune circostanze decisive”, facendo riferimento, in particolare, alle “circostanze addotte avverso la C.T.U. acquisita in grado di appello”. Il motivo di ricorso è strutturato riportando “tutte le censure esposte nella memoria di replica depositata da parte appellante, a conclusione del giudizio di secondo grado, memoria che si riportava alle doglianze espresse dal consulente tecnico dell’appellante.. avverso la C.T.U.”. Il motivo di ricorso espone l’oggetto dell’incarico peritale, le diverse conclusioni, cui erano pervenuti il CTU ed il consulente di parte, circa le “dimensioni della veranda coperta”, circa la correlata consistenza e le conseguenze statiche dei manufatti realizzati dai convenuti, circa le cause delle macchie di umidità apparse nell’appartamento del ricorrente, ed ancora circa la trasformazione di finestre in balconi o la creazione di verande.

I.1. Il ricorso di F.F. è inammissibile.

Innanzi tutto, il ricorso è del tutto carente del requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto non consente una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa sostanziali e processuali. La parte del ricorso intitolata “FATTO” prende inizio dalla statuizione di rigetto delle “domande di demolizione” di C.A. contenuta nella sentenza del Tribunale di Catania, e così non indica, nemmeno minimamente, i fatti storici che hanno occasionato la controversia, le ragioni giuridiche sulla base delle quali tali domande erano state introdotte e le vicende processuali relative al giudizio di primo grado.

E’ del pari inammissibile la censura di violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto il vizio di omessa pronuncia ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su una domanda o eccezione di merito, e cioè su una richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto. Il ricorrente, al contrario, lamenta la mancata considerazione da parte della Corte d’appello delle “circostanze addotte avverso la C.T.U. acquisita in grado di appello”, mancata considerazione riguardo alla quale può ravvisarsi non un vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., quanto, semmai, un vizio di motivazione in ordine alle ragioni addotte nella sentenza impugnata per respingere le censure tecniche.

A proposito dell’unico motivo dell’appello principale, la Corte di Catania ha evidenziato la consistenza delle opere per cui è causa (pagina 5 e seguenti della sentenza impugnata), ha esaminato le cause delle infiltrazioni di umidità (pagine 9 e 10), ha valutato i profili relativi alla normativa antisismica (pagina 10 e seguenti) ed ha evidenziato come la CTU avesse dato risposta ai rilievi tecnici avanzati dal consulente di parte appellante (pagina 18 e seguenti). In tal senso, la sentenza della Corte di Catania contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione.

Circa il riferimento al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’interpretazione di questa Corte ha inoltre chiarito come la riformulazione di tale norma, operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, allora, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante. E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per sostenere l’inattendibilità delle conclusioni del CTU quanto alle dimensioni o alla consistenza delle opere edili per cui è causa. Il ricorso di F.F. è altrimenti volto a devolvere alla Corte di cassazione le critiche mosse alle risultanze della consulenza d’ufficio (critiche che comunque si sostanziano in semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), pur non essendosi la Corte d’appello di Catania limitata acriticamente a far proprie le conclusioni della relazione peritale, visto che nella sentenza impugnata sono spiegate le ragioni del convincimento raggiunto dai giudici e dell’adesione alle conclusioni prospettate dall’ausiliare, il quale, a sua volta, si era fatto carico di esaminare e confutare le critiche mosse dal consulente di parte. Spetta, del resto, al giudice di merito esaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo mediante la CTU, e dare conto dei motivi di consenso, come di quelli di eventuale dissenso, in ordine alla congruità dei risultati della consulenza e delle ragioni che li sorreggono. Tale valutazione è compiutamente esplicitata nella sentenza della Corte d’appello e non può essere sindacata in sede di legittimità invocando dalla Corte di cassazione, come auspica il ricorrente, un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in maniera da pervenire ad una nuova validazione e legittimazione inferenziale dell’adesione prestata dal giudice di merito ai risultati dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio.

II. Consegue l’inammissibilità del ricorso, regolandosi le spese del giudizio di cassazione secondo soccombenza in favore dei controricorrenti.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in favore di G.G. e P.R. in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge, nonchè in favore di L.G. in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

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