Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18127 del 04/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 04/08/2010, (ud. 13/07/2010, dep. 04/08/2010), n.18127

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANAPO 20,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO CARLA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MASTRANGELI FABRIZIO, giusta mandato

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI

ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, CALIULO LUIGI, giusta delega in calce

alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 111/2006 del TRIBUNALE di SPOLETO, depositata

il 21/10/2006 r.g.n. 283/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI AMOROSO;

udito l’Avvocato RIZZO CARLA;

udito l’Avvocato CALIULO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto depositato il 5.10.2005 G.V. conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Spoleto l’I.N.P.S., proponendo opposizione all’esecuzione immobiliare promossa dall’Inps con atto di pignoramento del 27.4.2004, notificato il 3.5.2004, in forza di d.i.

emesso dal Pretore di Perugia in data 14.8.1984, notificato il 2.9.1984; d.i. emesso dal Pretore di Perugia in data 1.10.1984, notificato il 25.10.1984; d.i. emesso dal Pretore di Perugia in data 23.11.1984, notificato il 20.12.1984.

Eccepiva, il ricorrente la prescrizione quinquennale in forza della L. n. 335 del 1995, art. 9, in assenza di validi atti interruttivi;

l’abbattibilità, in ogni caso, della sanzione, in forza dell’applicazione del disposto di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 18.

L’I.N.P.S. si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’opposizione, in ragione della non prescrizione dei crediti azionati e la non abbattibilità delle sanzioni applicate, trattandosi di crediti accertati al 30.9.2000.

Il tribunale di Spoleto, con sentenza del 20.10.2006, rigettava l’opposizione all’esecuzione proposta dal G.; compensa le spese per metà e condannava il G. alla rifusione, in favore dell’I.N.P.S. della residua metà.

2. Avverso questa pronuncia il G. ha proposto ricorso per cassazione con atto del 3 gennaio 2007, ritualmente notificato.

Non ha svolto difesa scritta la parte intimata, ma ha partecipato alla discussione in udienza pubblica.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va innanzi tutto rilevata l’ammissibilità del ricorso.

E’ vero che si tratta di opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) che, in quanto tale, radica un giudizio di cognizione con applicazione dell’ordinario regime delle impugnazioni e quindi con conseguente appellabilità – e non già ricorribilità diretta – della sentenza di primo grado (cfr. Cass., sez. 1, 20 settembre 2006, n. 20414, che ha ritenuto inammissibile il ricorso diretto).

Però questo regime “ordinario” è stato derogato dall’art. 616 c.p.c., come modificato dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14, che ha espressamente previsto la non impugnabilità della sentenza (al pari di quella resa a seguito di opposizione all’esecuzione: art. 618 c.p.c.) con conseguente immediata ricorribilità della stessa ex art. 111 Cost., comma 7, peraltro anche per vizio di motivazione in ragione dell’art. 360 c.p.c., ultimo comma, come novellato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, del 2006. Regime questo che poi è stato eliminato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, che ha ripristinato in questa parte la disciplina precedente: ossia appellabilità e non già immediata ricorribilità.

La sentenza impugnata è stata depositata il 21 ottobre 2006 e quindi dopo il 1^ marzo 2006, data in cui è entrato in vigore il nuovo testo dell’art. 616 c.p.c., introdotto dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14, sicchè si applica il regime intermedio, che – si ripete – prevedeva la non impugnabili della sentenza di primo grado.

Correttamente pertanto il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione e non già appello.

2. Nel merito il ricorso, articolato in tre motivi, è infondato.

3. Tale è in particolare il primo motivo con cui il ricorrente deduce la inidoneità degli atti interruttivi della prescrizione ritenuti dalla sentenza impugnata.

Ha osservato il tribunale “che le raccomandate a.r., dell’Inps prodotte in atti, 28.3.1994, ricevuta il 19.4.1994, e 9.4.2003, ricevuta il 23.5.2003, costituiscono certamente atti interruttivi della prescrizione, in quanto indicano un importo contributivo addirittura maggiore di quanto ingiunto (nel più sta il meno) relativo a periodo complessivo più ampio rispetto a quello oggetto dei d.i. posti a fondamento dell’esecuzione”.

Va subito chiarito che, trattandosi di tre decreti ingiuntivi (rispettivamente del 14 agosto, 1^ ottobre e 23 novembre 1984) divenuti esecutivi (così afferma la sentenza del tribunale, in questa parte non censurata), si è formato il giudicato e quindi la prescrizione è quella decennale ex art. 2946 c.c., cfr. Cass., sez. 3^, 31 luglio 2006, n. 17449 che ha appunto affermato che il diritto derivante dall’actio iudicandi si prescrive nell’ordinario termine decennale indicato dall’art. 2946 c.c..

Correttamente quindi il tribunale di Spoleto ha ritenuto decennale la prescrizione del credito dell’INPS ancorchè per una ragione diversa, ossia per il regime transitorio L. n. 335 del 1995, ex art. 3, che, nell’introdurre il nuovo termine quinquennale di prescrizione per le contribuzioni di previdenza ed assistenza sociale obbligatorie, ha però previsto che continua ad applicarsi il termine decennale di prescrizione già in vigore prima di tale modifica normativa nel caso di atti interruttivi già compiuti (così come nella specie).

4. Quanto poi più specificamente all’idoneità degli atti interruttivi del termine di prescrizione deve considerarsi che l’art. 2943 c.c., prevede che la prescrizione è interrotta, tra l’altro, da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore. A tal fine è sufficiente che il creditore intimi il pagamento della somma dovuta riferendola alla ragione di credito per cui furono emessi i decreti ingiuntivi, anche se non menziona espressamente questi ultimi. Correttamente pertanto il tribunale ha ritenuto che le menzionate lettere dell’INPS, in quanto recanti l’invito rivolto al ricorrente di provvedere al pagamento di contributi omessi, possono considerarsi idonei atti interruttivi della prescrizione e che la mancata indicazione nelle due lettere dei decreti ingiuntivi suddetti non priva le stesse della connotazione di atti di messa in mora.

5. Deve aggiungersi che è vero che l’importo del credito indicato nei due atti di interruzione della prescrizione non è lo stesso.

Non è precisata in sentenza nè nel ricorso – la data del passaggio in giudicato dei tre decreti ingiuntivi (del secondo semestre del 1984); ma è certo che il primo atto interruttivo (la lettera del 28 marzo 1994) si colloca all’interno del decennio, non essendo contestato che esso sia pervenuto al ricorrente prima dello scadere del decennio, e quindi correttamente il tribunale ha ritenuto interrotto il termine prescrizionale in riferimento all’importo recato da tale diffida ad adempiere (L. 45.944.454, oltre sanzioni ed accessori).

La seconda lettera, recante altra diffida a pagare i contributi omessi comprensivi di quelli di cui alla prima menzionata lettera, è del 9 aprile 2003, ossia prima dello scadere del secondo decennio (peraltro questo secondo atto interruttivo non è determinante giacchè l’atto di precetto dell’INPS è stato notificato il 5 febbraio 2004 e quindi prima della scadenza del termine decennale di prescrizione, iniziato nuovamente a decorrere dopo il primo atto interruttivo). L’importo per contributi omessi però è – nel secondo atto interruttivo – di L. 65.477.607, oltre sanzioni ed accessori. Il maggior importo della sorte si spiega – come risulta dalle stesse due lettere – perchè il periodo dell’omissione contributiva della seconda lettera è più ampio di quello della prima lettera. Ma la seconda interruzione del termine prescrizionale non può che riguardare, ai fini che interessano, lo stesso credito della prima diffida ad adempiere (in questo senso va intesa l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui il più contiene il meno), mentre per i contributi omessi relativi ad altri anni la seconda lettera costituisce il primo atto di diffida ad adempiere intervenuto a ben oltre il decennio sia dai decreti ingiuntivi che dall’insorgenza del credito; essi sono quindi fuori dall’atto di precetto opposto che – per riprendere la terminologia dell’impugnata sentenza – riguarda il “meno” (di cui al primo atto interruttivo) contenuto nel “più” (di cui al secondo atto interruttivo).

6. Infondato è poi il secondo motivo di ricorso con cui il ricorrente deduce la durata (quinquennale non decennale) del termine di prescrizione L. n. 335 del 1995, ex art. 3; disposizione questa che nella specie – come già sopra rilevato – non trova applicazione trattandosi di prescrizione di un credito consolidatosi in un giudicato tra le parti, sicchè opera la prescrizione (ordinaria:

decennale) all’actio iudicati.

7. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso concernente il regime sanzionatorio.

Il ricorrente invoca Cass., sez. lav., 9 maggio 2002, n. 6680, secondo cui in caso di mancato o ritardato pagamento dei contributi all’ente previdenziale, la nuova disciplina sanzionatoria dettata dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, si applica sia ai fatti avvenuti e contestati sotto il vigore della nuova legge, che ai casi pregressi, accertali al 30 settembre 2000, ma non esauriti;

nell’ipotesi di caso non esaurito, perchè il giudizio è ancora in corso e la sanzione civile non è stata ancora pagata, la disposizione della L. n. 388 del 2000, art. 116, va interpretata nel senso che il debitore non può essere costretto a pagare le precedenti sanzioni, per poi maturare il diritto di credito da far valere in sede di conguaglio, ma può portare a conguaglio il credito contributivo maturato con il precedente versamento.

Ma la giurisprudenza successiva – che qui si conferma – si è diversamente orientata: cfr. ex plurimis Cass., sez. lav., 1^ settembre 2008, n. 22001 che, con riferimento alle sanzioni civili per omissioni contributive, ha affermato che la L. n. 388 del 2000, in deroga al principio tempus regit actum, ha sancito la generalizzata applicazione del sistema sanzionatorio previsto dalla L. n. 662 del 1996 a tutte le omissioni contributive, in qualunque tempo poste in essere, purchè esistenti ed accertate alla data del 30 settembre 2000, contemperando la voluntas legis, da un lato, di applicare con effetto retroattivo la nuova disciplina più favorevole agli obbligati di cui all’art. 116, comma dall’8 al 17 e, dall’altro, di evitare di interferire sulle attività di cartolarizzazione e di iscrizione a ruolo, già effettuate sulla base della disciplina precedente; in tal modo sono state tenute ferme le penalità di cui alla L. n. 662 cit., e, nel contempo, è stato riconosciuto alle aziende sanzionate in modo più consistenti un credito contributivo allo scopo di alleggerirne l’impatto, con disciplina di intrinseca ragionevolezza.

8. Il ricorso va quindi nel suo complesso rigettato.

Sussistono giustificati motivi (correzione in diritto della motivazione dell’impugnata sentenza) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di Cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di questo giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2010

 

 

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