Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18125 del 04/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 04/08/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 04/08/2010), n.18125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

N.F., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

TARQUINIA 5/D C/AVV. FALLA TRELLA, presso lo studio degli avvocati

RIOMMI MAURIZIO e MICHELI CARLO, che la rappresentano e difendono,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 177/2006 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 27/05/2006 r.g.n. 151/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato FIORILLO per delega PESSI;

udito l’Avvocato VACIRCA per delega RIOMMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 116/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Orvieto, in accoglimento della domanda proposta da N. F. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra le parti (per “esigenze eccezionali” ex art. 8 c.c.n.l. 1994 come integrato dall’acc. az. 25-9-97, per il periodo 1-6-1999/30-10-1999) con conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e condannava la società a reintegrare la N. nel posto di lavoro ed a pagarle le retribuzioni dal 15-7-2003 (data di messa in mora) oltre accessori.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

La N. si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Perugia, con sentenza depositata il 27-5-2006 (indicando l’appellata in epigrafe come ” N.F.” e in dispositivo e nello svolgimento del processo come ” N. F.”) confermava la pronuncia di primo grado e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre motivi, corredati dai relativi quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c., applicabile nella fattispecie ratione temporis.

Si è costituita la N.F. resistendo con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primo motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, in sostanza deduce che la Corte d’Appello, disapplicando tale norma, erroneamente ha ritenuto che “per ridurre a razionalità il sistema” l’ipotesi collettiva “dovrebbe essere necessariamente correlata ad una precisa limitazione temporale”, così violando il principio della “delega in bianco” conferita dalla legge alla contrattazione collettiva.

Con il secondo motivo, la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. e vizio di motivazione, lamenta la erroneità dell’interpretazione degli accordi collettivi intercorsi, ribadendo la natura meramente ricognitiva degli accordi stessi e la insussistenza di un limite temporale alla stipulazione dei contratti a termine nella volontà delle parti collettive.

Osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo in particolare alla considerazione che l’accordo 25-9-97 “è stato a sua volta integralo da accordo di pari data con il quale è stato convenuto un termine alla facoltà di assunzione a tempo determinato in forza dell’ipotesi in questione. Dello termine è stato fissato al 31 gennaio 1998 ed è stato poi prorogato con accordi successivi fino al 30 aprile 1998. Il successivo accordo valido per il periodo 1-10-199/31-12-1998 concerne solo il contratto a tempo determinalo e parziale con riferimento all’art. 7 del c.c.n.l. del 26-11-1994. Pertanto, l’apposizione del termine nei contratti a tempo determinato, stipulati con riferimento all’ipotesi di cui alla clausola in questione in epoca successiva alla scadenza del relativo termine del 30-4-1998 … deve ritenersi nulla ed il relativo rapporto deve considerarsi a tempo indeterminato fin dalla data di decorrenza iniziale del contratto medesimo”.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere la impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de qua (stipulato “per esigenze eccezionali” in data successiva al 30-4-1998).

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862. Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. Fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha ripetutamente affermato e come va anche qui enunciato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994. e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit).

Tanto basta, quindi, per confermare la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo (stipulato per “esigenze eccezionali” ex art. 8 c.c.n.l. 1994 come integrato dall’acc. az. 25- 9-97, per il periodo 1-6-1999/30-10-1999).

Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando vizio di motivazione, in sostanza lamenta che la Corte di Appello “sostanzialmente ha omesso di motivare” in ordine alla eccezione relativa all’aliunde perceptum.

Sul punto la Corte di merito ha disatteso tale eccezione rilevando che “la prova dell’eventuale aliunde perceptum grava, invero, sul datore di lavoro che invece non ha neppure allegato alcunchè al riguardo. D’altra parte, va notato che la retribuzione è stata riconosciuta dal primo Giudice con decorrenza connessa al tentativo di conciliazione di poco anteriore alla data di deposito del ricorso introduttivo”.

Tale decisione risulta legittima e resiste alla censura della ricorrente, del tutto generica e priva di autosufficienza.

La ricorrente, infatti, non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceptum (in relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8- 2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -).

Peraltro neppure è censurabile in questa sede il mancato accoglimento della richiesta di esibizione (del libretto di lavoro e delle buste paga) avanzata dalla società.

Come questa Corte ha più volte precisato, “il rigetto da parte del giudice di merito dell’istanza di disporre l’ordine di esibizione al fine di acquisire al giudizio documenti ritenuti indispensabili dalla parte non è sindacabile in cassazione, perchè, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova del fatto non sia acquisibile aliunde e l’iniziativa non presenti finalità esplorative, la valutazione della relativa indispensabilità è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito e non necessita neppure di essere esplicitata nella motivazione, il mancato esercizio di tale potere non essendo sindacabile neppure sotto il profilo del difetto di motivazione” (v.

fra le altre Cass. 14-7-.2004 n. 12997, Cass. sez. 1^ 17-5-2005 n. 10357, Cass. sez. 2^ 2-2-2006 n. 2262). D’altra parte “l’esibizione di documenti non può essere chiesta a fini meramente esplorativi, allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e su suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio” (v. fra le altre Cass. 20-12-2007 n. 26943).

Il ricorso va pertanto respinto e la ricorrente va condannata in ragione della soccombenza al pagamento delle spese in favore della resistente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese, liquidate in Euro 35,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2010

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