Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18124 del 31/08/2020

Cassazione civile sez. II, 31/08/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 31/08/2020), n.18124

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5909/2016 proposto da:

IMMOBILIARE NUOVA SNC DI M.C. & C SNC, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEL CASALE STROZZI, 33, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE LUIGI BANDINU, rappresentata e difesa

dall’avvocato FRANCESCO CARBONI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

RONCO 90 SAS DI M.A. & C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 495/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI

SEZ. DIST. di SASSARI, depositata il 27/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/01/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie della ricorrente.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. La società Ronco 90 s.a.s. conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Tempio Pausania, la società Immobiliare Nuova S.n.c., affinchè fosse accertato l’inadempimento di quest’ultima all’obbligo assunto con il contratto preliminare di vendita del 30/09/2004 e; conseguentemente, fosse trasferita in suo favore, ex art. 2932 c.c., la proprietà dell’immobile da edificarsi su un appezzamento di terreno sito in (OMISSIS).

La società convenuta si costituiva, sostenendo che i pagamenti in nero non fossero mai avvenuti, in quanto avrebbero dovuto risultare da informali ricevute di pagamento non prodotte in giudizio, e chiedeva in via riconvenzionale l’accertamento della risoluzione del preliminare per inadempimento della promissaria acquirente.

Il Tribunale accoglieva la domanda attorea e subordinava l’effetto traslativo al pagamento del residuo prezzo di Euro 24.409,60, tenuto conto che era già stato effettuato il pagamento della somma di Euro 180.000,00 da parte della promissaria acquirente e che il risarcimento del danno subito per l’inadempimento era stato quantificato nella somma di Euro 66.090,40.

Le parti, infatti, avevano convenuto il prezzo della vendita in Euro 270.500,00 (di cui 20.000,00 per la caparra confirmatoria alla firma del preliminare, con 4 rate dell’importo di Euro 50.000,00 da corrispondere entro le date del 30/10/2004, 31/12/2004, 31/01/2005, 28/02/2005, ed infine la somma di Euro 50.500,00 da corrispondere entro il 30/04/2005, in concomitanza con il rogito notarile), ma si erano accordate per la simulazione del prezzo di vendita, in modo che dall’atto pubblico di vendita risultasse la minor somma di Euro 170.500,00.

In base all’accordo simulatorio, fino al raggiungimento del versamento della somma di Euro 170.500,00, le scritture private avrebbero dovuto essere distrutte e sostituite con scritture che recassero il minor importo risultante dai pagamenti parziali; quindi, al raggiungimento della somma simulata, avrebbero redatto una scrittura nella quale, fermo l’acconto di Euro 20.000,00 corrisposto con la stipula del preliminare, venivano indicati i pagamenti di sole due rate di Euro 50.000,00 nelle date del 31/01/2005 e 28/02/2005, e del residuo prezzo di Euro 50.500,00 in sede di rogito del contratto definitivo.

Il Tribunale, tenuto conto che l’accordo delle parti prevedeva la distruzione dei preliminari via via che venivano corrisposte le somme in nero, dalla sottoscrizione del preliminare riportante il prezzo finale di vendita di Euro 170.500,00 presumeva l’avvenuto pagamento delle somme da imputarsi al nero, pari alla differenza tra il prezzo inizialmente concordato e il prezzo finale. Questa presunzione risultava confermata dalla testimonianza dell’agente immobiliare B.A., la quale aveva riferito della prassi di distruggere il preliminare precedente quando erano effettuati i pagamenti in nero, che dichiarava essere avvenuti in sua presenza per un importo di Euro 100.000,00, nonchè dalle dichiarazioni sottoscritte dalla stessa B. e dall’agente immobiliare C.R. (riconosciute e confermate in sede di deposizione).

Accertava, quindi, l’inadempimento della promittente venditrice, in quanto alla data del 30/05/2005 l’appartamento non era stato ultimato e non poteva darsi rilievo all’allegazione della necessità di eseguire lavori extra, come giustificazione del ritardo, a causa della sua genericità.

Il Tribunale rilevava che la somma corrisposta complessivamente dalla promissaria acquirente fosse quella di Euro 184.000,00, di cui Euro 4.000,00 a titolo di IVA (Euro 20.000,00 alla firma dell’originario preliminare, Euro 100.000,00 in nero, due rate di Euro 22.000,00 fatturati e corrisposti nelle date del 29/10/2004, del 22/11/2004, altri Euro 22.000,00 versati l’11/01/2005 sempre fatturati, Euro 20.000,00 fatturati e corrisposti il 30/03/2005) e che, pertanto, il residuo prezzo dovuto fosse quello di Euro 90.500,00.

Da questa somma detraeva la spesa di Euro 1.500,00, necessaria per la prima pulizia dell’immobile, quella di Euro 1.000,00 per il conseguimento del certificato di abitabilità, nonchè la somma di Euro 63.590,40 a titolo di risarcimento del danno da mancato godimento del bene, con il risultato che il prezzo residuo era quantificato nella minor somma di Euro 24.409,60.

Proponeva appello la società Immobiliare Nuova S.n.c. con 14 motivi.

La Corte d’Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con la sentenza n. 495/2015 pubblicata il 27/11/2015, rigettava l’appello e condannava l’appellante alla refusione delle spese di lite.

Rigettava il primo motivo di appello con cui l’appellante aveva censurato l’ammissione della prova testimoniale da parte del Tribunale e, di conseguenza, la conclusione per cui, per effetto della conclusione della scrittura preliminare con l’indicazione del prezzo nella somma di Euro 170.500,00, dovesse presumersi pagata la differenza di prezzo dissimulato.

A parere della Corte, l’ammissione della testimonianza era stata motivata dal Giudice di prime cure anche avuto riguardo ai limiti posti dagli artt. 2721 e 2726 c.c.. Il motivo era infondato dal momento che la stessa appellante, nella comparsa di costituzione di primo grado, aveva spiegato in modo puntuale quanto concordato fra le parti ai fini della simulazione del prezzo e della decurtazione dei pagamenti intermedi, con un’esposizione dei fatti analoga a quella poi fatta propria dal Tribunale.

Con il secondo motivo, l’appellante denunciava l’erronea valutazione delle prove, per non aver tenuto conto della contraddittorietà della testimonianza della B. rispetto a quella del teste C.. La Corte, al contrario, rilevava che non sussisteva alcuna contraddizione tra le due testimonianze, dal momento che, da una loro lettura combinata, emergeva sia che gli agenti immobiliari non avessero conteggiato personalmente i pagamenti, ma che avessero presenziato al conteggio effettuato dal Ca., sia che la B. avesse presenziato a tutti i pagamenti in nero, ma non a quello fatturato di Euro 20.000,00.

Con il terzo e quarto motivo, l’appellante si doleva del fatto che il Tribunale non avesse attribuito rilievo ad alcune affermazioni del teste C., affermazioni che la Corte d’Appello non rinveniva nella sua deposizione, nè testualmente nè nel significato enucleabile dal testo, a causa dell’estrema genericità ed imprecisione delle affermazioni rese in merito alle ricevute scritte scambiate in occasione dei pagamenti, ed al fatto che i pagamenti dovessero essere imputati sia al bianco sia al nero (apparendo più il frutto di deduzioni personali che di un effettiva conoscenza diretta).

Con il quinto motivo, l’appellante deduceva la falsità delle dichiarazioni testimoniali e della ricostruzione della controparte in ragione del fatto che i versamenti del 22/11/2004 erano stati effettuati per un importo superiore di Euro 22.000,00 rispetto a quanto convenuto e con un mese e 9 giorni in anticipo rispetto alla scadenza prevista nel contratto. La Corte riteneva infondata anche questa censura, ben potendo essere interpretato il pagamento anticipato di una maggior somma come manifestazione dell’interesse della promissaria acquirente ad accelerare il completamento dell’opera.

Riteneva parimenti inammissibile il sesto motivo, con il quale l’appellante reiterava il quinto motivo, con delle precisazioni sull’ammontare dei pagamenti in nero quantificati in Euro 104.000,00, in quanto con la censura l’appellante prospettava una propria ricostruzione dei fatti alternativa a quella fatta propria dal Tribunale che, però, era ancorata, all’esame delle prove testimoniali.

Con il settimo, l’ottavo e il dodicesimo motivo, si faceva valere l’inefficacia dell’offerta che la promissaria acquirente aveva effettuato con l’invio di un assegno di Euro 40.000,00, riservandosi poi di pagare il saldo di Euro 46.000,00 in sede di rogito notarile. L’offerta doveva ritenersi incongrua per non aver tenuto conto dell’IVA, nonchè perchè di gran lunga inferiore rispetto al prezzo residuo dovuto, quantificato poi dal Tribunale nella somma di Euro 90.500,00. La Corte, al contrario, riteneva le censure infondate, facendo leva sul fatto che, dopo l’invio dell’assegno, con l’originario atto di citazione, la promittente venditrice aveva offerto il pagamento di Euro 86.500,00 a saldo del prezzo, importo la cui differenza rispetto a quello accertato dal Tribunale era del tutto irrisoria. Ma soprattutto, la Corte d’Appello rilevava che la società promissaria acquirente, già al tempo dell’introduzione del giudizio di primo grado, vantava pretese creditorie nei confronti della promittente venditrice, che comportavano una riduzione dell’entità del prezzo dovuto, ben al di sotto della somma offerta (tenuto conto delle spese per il frazionamento dell’immobile, per la liberazione dall’ipoteca, per il completamento di alcune opere, per ottenere il certificato di abitabilità, per la prima pulizia e del danno per mancato godimento dell’immobile).

Richiamava quindi i principi stabiliti dalla giurisprudenza, secondo i quali il mancato versamento dell’IVA non è suscettibile di costituire inadempimento rilevante ai fini dell’esperibilità dell’azione ex art. 2932 c.c., avendo genesi in un distinto e autonomo rapporto trilaterale, costituitosi ex lege in ragione della pretesa tributaria dello Stato.

Con il nono, decimo e undicesimo motivo, l’appellante deduceva la violazione dell’art. 2932 c.c., dal momento che il Tribunale non aveva valorizzato l’inadempimento della promissaria acquirente, la quale non aveva corrisposto le somme dovute nei termini incondizionati previsti nel contratto (non era stata corrisposta nei termini la rata del 28/02/2005 e alla data per cui era prevista la stipula del definitivo non risultava saldato l’importo dovuto), comportamento, secondo il Tribunale, giustificato dall’asserito ritardo nell’ultimazione dell’opera, che però l’appellante ascriveva ai lavori aggiuntivi richiesti dalla controparte.

La Corte d’Appello escludeva l’inadempimento della promissaria acquirente, ritenendo, in primo luogo, che il ritardato pagamento della rata del 28/02/2005 fosse stato sanato dall’accettazione successiva dello stesso da parte della Nuova Immobiliare S.n.c.; in secondo luogo, che il ritardo nel pagamento fosse ampiamente giustificato dall’inadempimento della promittente venditrice, che non aveva ultimato l’opera (come confermato dalla testimonianza della B. e dalla CTU).

La giustificazione dei lavori ulteriori addotta dall’appellante non avrebbe potuto assumere rilievo a causa della sua eccessiva genericità.

Con il tredicesimo motivo, l’appellante censurava la sentenza nella parte in cui aveva sanato l’insufficienza dell’offerta reale con la compensazione delle pretese creditorie della promissaria acquirente, senza che vi fosse stata un’eccezione di parte in tal senso e non tenendo conto che la compensazione giudiziale presuppone il previo accertamento giudiziale dei crediti. La Corte rigettava il motivo rilevando, in primis, che si trattava di un’ipotesi di compensazione c.d. atecnica, dal momento che le reciproche pretese di dare e avere scaturivano dal medesimo rapporto (il preliminare di vendita), ipotesi che non richiede una necessaria eccezione di compensazione.

Quindi, valorizzava anche il fatto che nell’atto di citazione di primo grado, dopo l’offerta del pagamento del prezzo residuo, era stata chiesta la decurtazione da tale somma delle spese da sostenere a causa dell’inadempimento della promittente venditrice e di quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno.

Con l’ultimo motivo, l’appellante riteneva che impedisse l’accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c., la mancata produzione in giudizio degli estremi della concessione in sanatoria, motivo che la Corte riteneva infondato dal momento che, trattandosi di immobile munito di regolare concessione e permesso di abitabilità, l’appellante non aveva dedotto alcun vizio specifico di regolarità urbanistica comportante una difformità tale rispetto alla concessione da poter giustificare il rigetto dell’azione volta all’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre.

La società Immobiliare Nuova di M.C. & C S.n.c. propone ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello sulla base di quattro motivi.

Non ha svolto difese nel presente giudizio la società Ronco 90 di M.A. & C. S.a.s.

2. In data 2 gennaio 2020 la società ricorrente ha depositato, copia dell’atto di transazione per notar P.M. di Nuoro dell’11 maggio 2016, intervenuto tra la stessa ricorrente e la società intimata, e relativo proprio all’immobile oggetto di causa, transazione per effetto della quale la società intimata ha rinunciato ai diritti sul bene scaturenti dalla sentenza gravata, a fronte della rinuncia della ricorrente alle domande proposte, dietro versamento di determinate somme, versamento che risulta avvenuto, secondo gli accordi conclusi, come da dichiarazione del 27/12/2019 sottoscritta dal legale rappresentante della Ronco 90 S.a.s., dichiarazione egualmente prodotta con le memorie.

Deve quindi dichiararsi la cessazione della materia del contendere in applicazione di quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8980 del 2018, secondo cui nel caso in cui nel corso del giudizio di legittimità le parti definiscano la controversia con un accordo convenzionale, la Corte deve dichiarare cessata la materia del contendere, con conseguente venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata, non essendo inquadrabile la situazione in una delle tipologie di decisione indicate dall’art. 382 c.p.c., comma 3, artt. 383 e 384 c.p.c. e non potendosi configurare un disinteresse sopravvenuto delle parti per la decisione sul ricorso e, quindi, una inammissibilità sopravvenuta dello stesso.

3. Nulla a disporre quanto alle spese, posto che per effetto della cessazione della materia del contendere, risultano regolati nella transazione anche i profili relativi alle spese di lite.

P.Q.M.

Dichiara cessata la materia del contendere.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

 

 

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