Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18123 del 26/07/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 18123 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA

Appalto

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 32900/06) proposto da:
BERTOLIO Giancarla, BERTOLIO Elisa e BERTOLIO Albertina, rappresentate e difese, in
forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Stefano Giove e Francesco
Sicher ed elettivamente domiciliate presso lo studio del primo, in Roma, viale Regina
Margherita, n. 278;

– ricorrenti principali –

contro
BONOMI Mariella, BONOMI Anna e BONOMI Roberto, quali eredi legittimi di Aldeghi
Carolina, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dagli
Avv.ti Michele Sinibaldi e Giancarlo Brovelli ed elettivamente domiciliati presso lo studio del
primo, in Roma, alla v. N. Ricciotti, n. 11; – controricorrenti e
MILANO ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore,
rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in data 28 dicembre 2006 autenticata dal

1

Data pubblicazione: 26/07/2013

notaio Ciofini, dagli Avv.ti Riccardo Zacchia e Lucio Crispo ed elettivamente domiciliata
presso lo studio del primo, in Roma, alla v. Affilio Regolo, n. 121d (scala A, interno 10);
– controricorrente –

nonché
IMPRESA DI COSTRUZIONI STROLA MARIO & C. S.N.C., in persona del legale

controricorso (contenente ricorso incidentale), dagli Avv. ti Emilio Battaglia e Mauro Carlo
Bonini ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, alla v. Nizza, n. 59;
– controricorrente –

e
BROVELLI Giovanni; BROVELLI Giuseppina; SISCOM S.R.L., in persona del legale
rappresentante pro-tempore; MOREA Nicola; ROPPOLI Elena; ROPPOLI S.R.L., in
persona del legale rappresentante pro-tempore; DITTA PLASTOCE, in persona del legale
rappresentante pro-tempore; – intimati —
e
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 34047/06) proposto da:
IMPRESA DI COSTRUZIONI STROLA MARIO & C. S.N.C., in persona del legale
rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta
sul retro della prima pagina del ricorso, dagli Avv. ti Emilio Battaglia e Mauro Carlo Bonini
ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, alla v. Nizza, n. 59;
– altro ricorrente —

contro
BONOMI Mariella, BONOMI Anna e BONOMI Roberto, quali eredi legittimi di Aldeghi
Carolina, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dagli
Avv.ti Michele Sinibaldi e Giancarlo Brovelli ed elettivamente domiciliati presso lo studio del
primo, in Roma, alla v. N. Ricciotti, n. 11; – controricorrenti 2

rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al

e
MILANO ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore,
rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in data 28 dicembre 2006 autenticata dal
notaio Ciofini, dagli Avv.ti Riccardo Zacchia e Lucio Crispo ed elettivamente domiciliata
presso lo studio del primo, in Roma, alla v. Attilio Regolo, n. 121d (scala A, interno 10);

e

SISCOM S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa,
in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Mario Menghini e
Francesco Melone ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, alla v.
Mercede,

n.

52;

– controricorrente —

nonché
BERTOLIO Giancarla; BERTOLIO Elisa; BERTOLIO Albertina; BROVELLI Giovanni;
BROVELLI Giuseppina; MOREA Nicola; ROPPOLI Elena; ROPPOLI S.R.L., in persona del
legale rappresentante pro-tempore; DITTA PLASTOCE, in persona del legale
rappresentante pro-tempore; – intimati —
e

sull’ulteriore ricorso incidentale (iscritto al N.R.G. 1884/07) proposto da:
IMPRESA DI COSTRUZIONI STROLA MARIO & C. S.N.C., in persona del legale
rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta
sul retro della prima pagina del ricorso autonomo iscritto al N.R.G.34047/’06, dagli Avv. ti
Emilio Battaglia e Mauro Carlo Bonini ed elettivamente domiciliata presso lo studio del
primo, in Roma, alla v. Nizza, n. 59; – ricorrente incidentalecontro
SISCOM S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa,
in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Mario Menghini e
3

– controricorrente –

Francesco Melone ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, alla v.
Mercede, n. 52;

– controricorrente —
e

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore,
rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in data 28 dicembre 2006 autenticata dal

presso lo studio del primo, in Roma, alla v. Attilio Regolo, n. 121d (scala A, interno 10);
– controricorrente –

e
BERTOLIO Giancarla; BERTOLIO Elisa; BERTOLIO Albertina; BROVELLI Giovanni;
BROVELLI Giuseppina; MOREA Nicola; ROPPOLI Elena; ROPPOLI S.R.L., in persona del
legale rappresentante pro-tempore; DITTA PLASTOCE, in persona del legale
rappresentante pro-tempore;

– intimati —

Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 1565/2005 , depositata il 17 ottobre
2005 (e non notificata);
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2013 dal

Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito l’Avv. Michele Sinibaldi per i controricorrenti Bonomi Mariella, Bonomi Anna e

Bonomi Roberto, nonché l’Avv. Mauro Carlo Bonini per l’Impresa di Costruzioni Strola
Mario & c. s.n.c.;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Costantino Fucci, che ha concluso per il rigetto sia del ricorso principale che di entrambi i
ricorsi incidentali.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato nel febbraio 1993 i sigg. Roppoli Elena, Brovelli Giovanni e
Brovelli Giuseppina convenivano in giudizio i sigg. Bertolio Giancarla, Bertolio Albertina e
4

notaio Ciofini, dagli Avv.ti Riccardo Zacchia e Lucio Crispo ed elettivamente domiciliata

Bertolio Elisa, nonché l’Impresa di costruzione Strola Mario & c. s.n.c., riassumendo il
ricorso ex artt. 1171 e 700 c.p.c. presentato dinanzi all’allora Pretura di Arona, sulla
premessa di essere, i primi due, proprietari di un fabbricato in Arona, al corso Cavour n.
25, e la terza conduttrice di locali siti in detto immobile, adibito all’esercizio dell’attività di
pasticceria, deducevano che lo stesso immobile era stato interessato da lavori di

proprietarie sorelle Bertolio Giancarla, Elisa e Albertina, che aveva causato loro dei danni,
di cui chiedevano il risarcimento. Le convenute, costituendosi in giudizio, instavano per il
rigetto della domanda; inoltre, la convenuta Impresa Strola s..c., sul presupposto
dell’intervento nell’esecuzione dei predetti lavori della s.r.l. Siscom (che si era occupata
delle opere di consolidamento del terreno con l’utilizzo di macchinari che avevano
provocato forti vibrazioni e che avrebbero potuto costituire la causa principale dei
lamentati danni), chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa la stessa s.r.l.
Siscom, nonché la s.p.a. Milano Assicurazioni, per essere eventualmente manlevata
nell’ipotesi del riconoscimento di un suo possibile concorso nella causazione dei danni.
Autorizzata la chiamata in causa delle due menzionate società, le stesse, costituendosi in
giudizio, instavano per la reiezione delle pretese formulate nei loro confronti.
Intanto, con altro autonomo atto di citazione notificato nel maggio 1993, le suddette sorelle
Bertolio convenivano in giudizio la stessa Impresa Strola Mario & c. s.n.c., invocando, sul
presupposto della sussistenza di numerosi e rilevanti vizi e difetti nelle opere eseguite
dall’appaltatrice in modo errato e non a regola d’arte, la sua condanna al risarcimento dei
danni nella misura di £ 54.032.620, previa determinazione dell’esatto corrispettivo dovuto
alla medesima società appaltatrice. Esteso il contraddittorio relativamente alla seconda
domanda, previa autorizzazione del giudice, anche nei confronti della Siscom s.r.I., della
s.p.a. Milano Assicurazioni e della ditta Plastoce (con la sola costituzione al riguardo delle
prime due), intervenivano volontariamente in giudizio anche Aldeghi Carolina, Morea
5

escavazione e ristrutturazione effettuati dall’impresa Strola s.n.c., su incarico delle

Nicola e la s.r.l. Roppoli, i quali deducevano — a loro volta – di aver subito danni agli
immobili di loro proprietà (la prima) o loro concessi in locazione (gli altri due) in
conseguenza dell’esecuzione dei lavori dedotti in controversia. Espletata l’istruzione
probatoria, anche con ammissione di c.t.u., il Tribunale di Verbania, con sentenza del 15
marzo 2001, accoglieva le proposte domande e, sul presupposto dell’accertata

sorelle Bertolio, le condannava, in solido, al risarcimento dei danni; accertava che i lavori
nell’interrato presentavano vizi e condannava l’impresa Strola a risarcire il danno alle
proprietarie Bertolio, le quali, tuttavia, erano condannate a pagare all’appaltatrice il saldo
dei lavori; dichiarava non dovuta la garanzia da parte della soc. Siscom, per la ritenuta
tardività della denuncia dei vizi; rigettava la domanda di manleva formulata nei confronti
della s.p.a. Milano Assicurazioni e rigettava la domanda di risarcimento dei danni svolta
dal nuovo acquirente del locale destinato a pasticceria per difetto di prova.
Interposto appello da parte da parte delle sorelle Bertolio, si costituivano in giudizio le parti
appellate (ad eccezione di Roppoli Elena, Morea Nicola, della ditta Plastoce e della s.r.l.
Roppoli, dichiarate , perciò, contumaci) e l’Impresa Strola s.n.c. proponeva, a sua volta,
appello incidentale, formulando, inoltre, anche atto di appello autonomo, in ordine al quale
resistevano i germani Brovelli e le sorelle Bertolio. Previa riunione degli appelli ed accolte
le richieste di prove orali non ammesse in primo grado (e dedotte dall’impresa Strola),
all’esito, la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 1565 del 2005 (depositata il 17
ottobre 2005), rigettava integralmente entrambi i gravami, dichiarando interamente
compensate le spese di appello tra le sorelle Bertolio e l’impresa Strola, mentre
disciplinava le spese inerenti agli altri rapporti processuali instauratisi con le parti appellate
costituite in base al principio della soccombenza.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte piemontese rilevava, quanto all’appello
proposto dall’impresa Strola, che la prova orale esperita non aveva apportato esiti alla
6

responsabilità dell’impresa appaltatrice Strola s.n.c. e delle proprietarie dell’immobile

stessa favorevoli, che era rimasta non accertata la situazione di autonomia contrattuale del
rapporto intercorso tra la soc. Siscom e le sorelle Bertolio e che, sulla scorta degli atti, era
stata esclusa l’operatività della garanzia assicurativa da parte della s.p.a. Milano Ass.ni.
Con riferimento all’appello proposto dalle Bertolio veniva ravvisata l’infondatezza di tutte le
inerenti doglianze, alla stregua delle risultanze della c.t.u. e della mancata prova del

intercorso con la società Strola (la cui doglianza, peraltro, era stata fondata su
argomentazioni generiche e, quindi, inammissibili).
Avverso la suddetta sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione le
sorelle Bertolio, basato su sette motivi, nonché ricorso autonomo l’Impresa di costruzioni
Strola Mario & c., riferito a due complessivi motivi. Quest’ultima società ha inoltre,
formulato ricorso incidentale, fondato su due motivi, in ordine al ricorso principale formulato
dalla Bertolio. Si sono costituiti, altresì, in questa fase, con autonomi controricorsi, la
Siscom s.r.I., la Milano Ass.ni s.p.a. e, con unico atto, i germani Bonomi Mariella, Bonomi
Anna e Bonomi Roberto, quali eredi di Aldeghi Carolina. Tutte le altre parti sono rimaste
intimate. Dopo l’adozione di un’ordinanza interlocutoria per la rinnovazione (in relazione al
ricorso iscritto al N.R.G. 34047/06) della notificazione alla s.r.l. Roppoli (dichiarata fallita), i
ricorsi venivano rifissati per la nuova udienza di discussione dell’8 maggio 2013, in
prossimità della quale il difensore dell’Impresa Strola s.n.c. ha depositato memoria
illustrativa ex art. 378 c.p.c. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Innanzitutto, deve essere disposta la riunione dei tre ricorsi per evidente connessione
soggettiva ed oggettiva ed in quanto riferentisi alla impugnazione della stessa sentenza
(pubblicata il 17 ottobre 2005 e, quindi, anteriormente all’entrata in vigore del d. lg.s n. 40
del 2006), ai sensi dell’art. 335 c.p.c. .

7

possibile esonero della loro responsabilità in ordine allo svolgimento del rapporto di appalto

Di seguito si procederà alla distinta trattazione dei tre ricorsi, nell’ordine cronologico di
proposizione.
RIC. N. 329001’06 R.G.:
2. Con il primo motivo le ricorrenti Bertolio hanno dedotto la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., deducendo che, pur a

all’inapplicabilità dell’art. 2051 c.c. alla fattispecie concreta (dovendosi, invece, ritenersi
applicabili i principi dettati in materia di responsabilità dell’appaltatore), la Corte di appello
di Torino aveva illegittimamente ritenuto che la doglianza difettasse di idonea specificità in
relazione al disposto del citato art. 342 c.p.c. .
3. Con il secondo motivo le predette ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c., in relazione all’art.
360 n. 3 c.p.c., perché la Corte di appello, nel rilevare la ritenuta violazione dell’art. 342
c.p.c. in ordine alla censura richiamata nel primo motivo, si era, in sostanza, sottratta al
corrispondente obbligo di motivazione.
4. Con il terzo motivo le sorelle Bertolio hanno prospettato — ai sensi dell’art. 360 n. 5
c.p.c. – il vizio di omessa motivazione circa il fatto controverso e decisivo del giudizio
dedotto con la suddetta seconda censura.
5. Con il quarto motivo le indicate ricorrenti principali hanno denunciato la supposta nullità
della sentenza e/o del procedimento ex art. 360 n. 4 c.p.c., con riferimento all’art. 122
(rectius: 132) c.p.c., avuto riguardo alla circostanza che la Corte di appello aveva omesso
di pronunciare sull’espressa doglianza con cui era stata dedotta l’avvenuta violazione del
principio generale di eccezione, poiché il giudice di primo grado aveva sollevato d’ufficio
un’eccezione di merito (quella relativa alla responsabilità dell’appaltatrice per l’inidonea
realizzazione dell’opera di impermeabilizzazione del locale seminterrato) che l’impresa
Strola non aveva affatto svolto.
8

fronte della precisa censura svolta con riferimento alla sentenza di primo grado in ordine

6. Con il quinto motivo le ricorrenti Bertolio hanno dedotto l’omessa, insufficiente e/o
contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio (ai sensi
dell’art. 360 n. 5 c.p.c.) richiamato nella precedente censura.
7. Con il sesto motivo le sorelle Bertolio hanno denunciato la violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 159, 177, 2697, 2729 c.c. e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3

Carolina fornire la prova idonea in ordine alla sussistenza del regime di comunione legale
con il proprio coniuge (a suo tempo co-acquirente di una porzione immobiliare) ai sensi del
citato art. 2697 c.c., non essendo applicabile nei confronti dei terzi la presunzione
semplice di cui all’art. 2729 c.c. .
8. Con il settimo ed ultimo motivo le predetti ricorrenti principali hanno prospettato
l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.), avuto riguardo alla circostanza di cui al
sesto motivo ed assumendo che la nota di trascrizione prodotta nel giudizio di appello non
indicava la quota di proprietà e che era possibile che fossero intervenuti eventi di
separazione, scioglimento o cessazione del matrimonio ovvero relativi alla titolarità
esclusiva o ad altri eventi di scioglimento della comunione.
9. I primi tre motivi precedentemente riportati sono esaminabili congiuntamente per
evidente connessione tra gli stessi, involgendo — sotto diversi profili – la medesima
questione giuridica.
Essi sono infondati e vanno, perciò, rigettati.
In proposito, deve rilevarsi che la sentenza impugnata, sulla premessa che il giudice di
primo grado aveva escluso la deduzione e la prova (da parte delle committenti) del totale
affidamento dell’immobile alla ditta appaltatrice, ha asserito che, con l’atto di appello, non
era stata articolata alcuna specifica critica alle argomentazioni del Tribunale di Verbania,
ma erano state riportate solo alcune sentenze di questa Corte, senza, però, correlarle ad
9

c.p.c., sul presupposto che, nella fattispecie, sarebbe spettato all’intervenuta Aldeghi

una puntuale censura involgente il ragionamento logico e le affermazioni di diritto
ricollegabili alle sentenza di prime cure.
Ciò posto, si osserva, in primo luogo, che, nel censurare tale affermazioni della Corte
territoriale, le ricorrenti Bertolio hanno disatteso il principio di necessaria specificità del
ricorso per cassazione (che trova la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al

dei fascicoli di ufficio o di parte), che si applica anche in relazione ai motivi di appello
rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito, ragion per cui, ove il
ricorrente denunci la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. conseguente alla
ritenuta inammissibilità dell’atto di appello per genericità dei motivi, deve riportare nel
ricorso, nel loro impianto specifico, i predetti motivi formulati con il proposto gravame.
In ogni caso, la statuizione della Corte torinese è corretta poiché, effettivamente, dal
contenuto dell’atto di appello delle Bertolio (esaminabile anche in questa sede in virtù della
natura processuale del vizio denunciato), emerge che, con il primo motivo, le appellanti si
erano limitate a contestare la fondatezza della decisione di primo grado nella parte in cui
aveva ritenuto configurabile la loro responsabilità verso i terzi, enunciando una serie di
massime giurisprudenziali di legittimità (che si sarebbero dovute considerare contrastanti
con il “decisum” del primo giudice), senza, tuttavia, supportare la formulata censura con
una parte adeguatamente argomentativa, concretizzantesi nell’esposizione di specifiche
doglianze giuridiche tali da incrinare il fondamento della statuizione resa dal primo giudice.
Così regolandosi, la Corte piemontese si è esattamente conformata all’uniforme indirizzo
di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 9244 del 2007 e Cass. n. 1924 del 2011),
secondo cui, nel giudizio di appello (che non è un “novum iudicium”), la cognizione del
giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e
tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano
contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle
10

giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame

prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le
sorreggono. Ne consegue che, nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti
della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di
impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di
inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto

contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l’atto
di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è
altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua
interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente
grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza
impugnata.
Le riportate considerazioni comportano anche la reiezione del secondo e del terzo motivo,
dal momento che la Corte torinese ha, indubbiamente, adottato una motivazione logica e
sufficiente (oltre che rispondente ai richiamati principi giuridici recepiti dalla giurisprudenza
di legittimità), senza, peraltro, trascurare che — al di là della idoneità del percorso
argomentativo seguito dalla suddetta Corte — il vizio denunciato con il primo motivo, come
già evidenziato, ha natura processuale e, potendo questa Corte svolgere in proposito
anche accertamenti di fatto, non è configurabile, in senso proprio, la denuncia di un vizio di
motivazione. Deve, infatti, ribadirsi sul punto che,

nel giudizio di legittimità è

inammissibile il motivo di ricorso col quale si lamenti il vizio di motivazione della
sentenza con la quale il giudice di merito abbia risolto una questione di diritto
processuale (come quella, appunto, riferita all’assunta violazione dell’art. 342
c.p.c.), poiché, in tema di vizi del procedimento, l’accertamento demandato alla
Corte di cassazione deve consistere unicamente nella verifica del rispetto, da parte

11

dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e

del giudice di merito, della legge processuale, a nulla rilevando il modo in cui egli
abbia motivato la propria decisione.
10. Anche il quarto motivo formulato dalle ricorrenti Bertolio è privo di fondamento e deve,
quindi, essere respinto.
Con tale censura (come precedentemente riportata) le predette ricorrenti hanno dedotto il

condiviso l’argomento del giudice di primo grado in ordine all’insussistenza del nesso
causale tra l’esecuzione dei lavori e le infiltrazioni, verificandosi esse solo in occasione
dell’innalzamento del livello delle acque del lago Maggiore circostante, e ciò malgrado
nessuna delle parti avesse sollevato la relativa questione, ragion per cui il giudice non
avrebbe potuto esaminarla d’ufficio.
Diversamente da quanto dedotto con la doglianza in questione, l’accertamento
dell’assenza del nesso causale tra i lavori eseguiti e l’evento dannoso dedotto era
scaturito dalle conclusioni della c.t.u. espletata nel giudizio di primo nel pieno e legittimo
contraddittorio delle parti, sicché nessuna “eccezione di merito” poteva considerarsi
essere stata immessa d’ufficio nel “thema decidendum”. Piuttosto, poiché la circostanza
relativa all’accertamento del rapporto eziologico tra l’intervento edilizio realizzato e le
immissioni dannose costituiva oggetto dell’onere probatorio delle parti danneggiate,
l’assenza di detto nesso era certamente rilevabile d’ufficio quale mancanza di una
condizione per l’accoglimento della domanda. Pertanto, nessuna violazione per assunta
ultrapetizione poteva ravvisarsi nella sentenza di prima grado e, di conseguenza, alcun
interesse avrebbero avuto le appellanti a lamentarsi della eventuale omessa pronuncia
sull’inerente motivo di gravame. In ogni caso, la Corte di secondo grado ha, in effetti,
rilevato l’incongruità del formulato terzo motivo di appello delle Bertolio poiché, con esso,
anziché confutare con accorgimenti tecnici le valutazioni del c.t.u. (recepite, poi, dal
Tribunale di Verbania a fondamento della sua decisione), le appellanti si erano limitate a
12

supposto vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata nel passaggio in cui aveva

richiamare la posizione sul punto assunta dall’impersa Strola, che aveva inteso trasferire
ogni responsabilità sulla ditta Plastoce, quale esecutrice dei lavori di
impermeabilizzazione.
In virtù di quanto esposto, dunque, non sussiste alcuna omissione di pronuncia sul terzo
motivo di appello delle Bertolio né emerge una carenza del percorso motivazionale

destituito di fondamento anche la quinta censura rivolta proprio a contestare il vizio di
motivazione sul punto.
11. Il sesto e settimo motivo del ricorso delle sorelle Bertolio — analizzabili congiuntamente
in quanto all’evidenza connessi — sono anch’essi privi di pregio e vanno, perciò, rigettati.
In sostanza, con la richiamate due ultime censure, le ricorrenti si dolgono del rigetto del
motivo di appello (formulato anche dall’impresa Strola s.n.c.) relativo alla condanna al
risarcimento del danno, per l’intero, nei confronti dell’intervenuta in primo grado Aldeghi
Carolina, malgrado la stessa avesse agito come “comproprietaria” dello stabile lesionato
per effetto dell’intervento edilizio dedotto in controversia e nonostante che la nota di
trascrizione non indicasse quale fosse la quota a lei assegnata, essendo, peraltro,
possibile che fossero intervenuti successivi eventi incidenti sul rapporto coniugale tale da
comportare una modificazione del regime patrimoniale dell’immobile.
In primo luogo deve essere rilevata l’inconferenza del richiamo alla sentenza della Corte
costituzionale n. 436 del 2001 perché non pertinente alle proposte doglianze, riferendosi
alla presunzione di comunione sui beni mobili pignorati dall’esattoria nella casa coniugale.
Va, poi, osservato che la Corte di appello ha congruamente argomentato che, sulla scorta
della documentazione ritualmente acquisita (con particolare riferimento alla nota di
trascrizione), era emerso che l’Aldeghi era titolare dell’immobile in comproprietà solo con il
coniuge, ragion per cui, nella fattispecie, si versava nella ipotesi di una comunione tra
coniugi riguardante un bene acquistato durante il matrimonio, al quale si doveva applicare
13

nell’intervenuto rigetto del predetto motivo di gravame, ragion per cui deve ritenersi

l’art. 180 c.c., il quale deroga alle norme in materia di comunione ordinaria sia in tema di
rappresentanza giudiziale che in materia di amministrazione, entrambe gestibili anche da
uno solo degli aventi diritto in virtù della contitolarità sull’immobile. Così decidendo il
giudice di secondo grado si è esattamente uniformato alla giurisprudenza consolidata di
questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 16177 del 2001 e, da ultimo, Cass. n. 14093 del 2010)

ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di
un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la
partecipazione di estranei, con la precisazione che, nei rapporti con i terzi, ciascun
coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre
dell’intero bene comune, ponendosi il consenso dell’altro coniuge (richiesto dal secondo
comma dell’art. 180 c.c. per gli atti di straordinaria amministrazione) come un negozio
unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene.
In consonanza con tale indirizzo deve, quindi, essere ribadito che la rappresentanza in
giudizio per atti relativi alla amministrazione dei beni facenti parte della comunione
legale dei coniugi spetta, a norma dell’articolo 180 c.c., ad entrambi i coniugi, e
quindi ciascuno di essi è legittimato ad esperire qualsiasi azione, non solo quelle di
carattere reale o con effetti reali, diretta alla tutela della proprietà e del godimento
della cosa comune, ma anche, e a maggior ragione, quelle relative ai diritti di
obbligazione, senza che sia necessaria la partecipazione al giudizio dell’altro
coniuge (cfr. Cass. n. 75 del 2006; Cass. n. 22891 del 2007 e Cass. n. 4856 del 2009).

12. In definitiva, alla luce delle argomentazioni complessivamente esposte, il ricorso
principale proposto dalle sorelle Bertolio deve essere integralmente rigettato.
RIC. N. 340471’06 R.G.:
13. Con il primo motivo del suo ricorso autonomo l’Impresa Strola Mario & c. s.n.c. ha
dedotto (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) la violazione e/o falsa applicazione degli artt.
14

secondo la quale la comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza di quella

1901, 1362 e 1366 c.c., con riferimento all’ad .1.3 ed all’art. 2.9. delle condizioni generali
di polizza, in uno al vizio di omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un
punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.) in merito all’interpretazione delle
condizioni generali di polizza.
In particolare, con detta censura, la suddetta Impresa Strola, sul presupposto che era

Milano Ass.ni una polizza decennale a far data dal 30 ottobre 1988 al 30 ottobre 1998 per
la copertura del rischio descritto in polizza (incontestatamente ricomprendente anche
quello conseguente all’esecuzione dei lavori dedotti in controversia), ha inteso denunciare
le prospettate violazioni di legge e contestare il percorso motivazionale adottato sul punto
dalla Corte di merito sull’interpretazione della polizza assicurativa, assumendo che la
garanzia non si sarebbe potuta considerare sospesa per il mancato pagamento della parte
variabile non essendo stata essa ricorrente inviata a regolarizzare la posizione, per come
implicato dalle specifiche condizioni generali contrattuali di cui ai richiamati artt. 1.3 e
(soprattutto) 2.9.
La complessiva doglianza, così come formulata, è fondata e deve, perciò, essere accolta
per le ragioni espresse dalla giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte,
consolidatasi a seguito della emanazione della sentenza a Sezioni unite n. 4631 del 2007.
Con questa decisione è stato, infatti, statuito che la determinazione del premio nei contratti
di assicurazione contro i danni, fissata convenzionalmente in base ad elementi variabili
(cosiddetta assicurazione con clausola di regolazione del premio assicurativo), comporta
che l’adempimento dell’assicurato configura un adempimento di un’obbligazione civile
diversa dalle obbligazioni indicate nell’art. 1901 c.c., tenendo conto del comportamento di
buona fede tenuta dalle parti nell’esecuzione del contratto, del tempo in cui la prestazione
è effettuata e dell’importanza dell’inadempimento (nella specie, le Sezioni unite avevano
cassato con rinvio la sentenza impugnata, con la quale non era stato considerato il
15

rimasto pacificamente documentalmente accertato che la stessa aveva stipulato con la

carattere autonomo dell’obbligazione di pagamento del conguaglio del premio dipendente
dalla suddetta clausola, il cui inadempimento non avrebbe dovuto essere valutato alla
stregua dell’art. 1901 c.c., bensì in maniera indipendente dalla disciplina contenuta in
questa disposizione ovvero secondo le regole che presiedono alla valutazione
dell’adempimento delle obbligazioni civili, considerando il comportamento dell’obbligato

In altri termini, deve affermarsi (cfr., già, Cass. n. 3370 del 2005 e, successivamente alla
pronuncia delle Sezioni unite, Cass. n. 4661 del 2007 e, da ultimo, Cass. n. 26783 del
2011, ord.) che la c.d. clausola di “regolazione del premio” inserita in un contratto di
assicurazione si palesa, sul piano funzionale, inidonea a riprodurre “ipso facto” lo
schema dell’art. 1901 c.c. (che prevede la sospensione della garanzia assicurativa in
caso di inadempimento dell’assicurato all’obbligazione di pagamento del premio),
non rappresentandone invero un’automatica applicazione, con la conseguenza che
non può ritenersi sufficiente, ai fini della sospensione della garanzia assicurativa, la
mera omissione della comunicazione dei dati variabili entro il termine contrattuale
previsto, integrando tale condotta omissiva, piuttosto, la violazione di un diverso
obbligo pattizio, estraneo al modello prefigurato dal citato art 1901.

Alla stregua di tali principi consegue che la Corte territoriale, nel ricondurre erroneamente
la fattispecie alla disciplina di cui al citato art. 1901 c.c. e non avendo, invece, valorizzato
la possibile condotta secondo buona fede tenuta dalle parti nell’esecuzione del contratto, il
tempo in cui la prestazione era effettuata e l’importanza dell’inadempimento, oltre a non
tener debitamente conto delle specifiche condizioni generali previste dai ricordati artt. 1.3.
e 2.9, è incorsa nelle dedotte violazioni, non potendosi considerare sufficienti, di per sé, ai
fini di ritenere la sopravvenuta inoperatività della garanzia assicurativa, la mancata
comunicazione nei termini prescritti dei dati o il versamento intempestivo del pagamento
della differenza attiva dovuta (a titolo di regolazione della sola parte variabile del premio)
16

con il metro della buona fede oggettiva).

anche in difetto dell’attivazione della procedura, ad opera della società assicuratrice,
espressamente prevista dalla condizione generale contrattuale di cui al menzionato punto
2.9., finalizzata all’ottenimento della risoluzione.
14. Con il secondo motivo del predetto ricorso autonomo formulato dalla suddetta società
è stata denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 230 c.p.c.,

motivazione circa un punto decisivo della controversia con riferimento alle dichiarazioni
rese da Bertolio Giancarla ed all’omessa valutazione delle prove documentali costituite
dalla descrizione e dalla fattura Siscom.
15. Anche questa censura si appalesa fondata dal momento che la Corte territoriale non
ha fatto buon governo delle richiamate norme processuali in tema di valutazione
probatoria con riferimento al rapporto intercorso tra la stessa impresa Strola e la Siscom
s.r.l. ed è pervenuta ad un risultato valutativo finale incongruo ed illogico in relazione alla
premessa adotta nel suo percorso argomentativo.
Infatti, dalla stessa sentenza impugnata emerge che l’impresa Strola aveva dedotto
l’interrogatorio formale — ritualmente ammesso — della signora Bertolio Giancarla allo
scopo di provocarne la confessione in ordine alla prospettata circostanza relativa al
conferimento diretto, da parte della medesima, dell’incarico della prestazione dell’opera
appaltata alla Siscom s.r.l. e ciò anche al fine di ottenere la declaratoria di rigetto
dell’inerente domanda risarcitoria formulata nei riguardi dell’impresa Strola, nel mentre
avrebbe dovuto essere indirizzata nei confronti della predetta Siscom s.r.l. (quale
appaltatrice diretta). Senonché, la Corte territoriale, pur rilevando che la Bertolio Giancarla
aveva riferito circostanze dalla quali traspariva un diretto coinvolgimento della Siscom s.r.l.
(nel senso che si era instaurato un rapporto diretto tra quest’ultima ditta e i titolari della
proprietà), ha ritenuto — pervenendo in modo del tutto illogico ad una conclusione
contraddittoria — come non accertata la situazione di autonomia contrattuale del rapporto
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nonché degli artt. 2730 e 2733 c.c., unitamente all’omessa, insufficiente e/o contraddittoria

tra le stesse proprietarie Bertolio e la Siscom s.r.I., peraltro basando tale valutazione
probatorio sulla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale
dalla predetta Bertolio, sull’erroneo presupposto, oltretutto, che l’interrogatorio si sarebbe
dovuto qualificare come non ritualmente ammesso, poiché la Bertolio Giancarla non aveva
alcun interesse diretto ad indicare circostanze relative al rapporto tra l’impresa Strola e la

risposte date dalla Bertolio Giancarla (il cui interrogatorio formale era stato
preventivamente ammesso per poter essere espletato) avrebbero dovuto sortire — ove ne
fossero sussistiti i presupposti – un’efficacia di prova legale riconducibile alla confessione
giudiziale nella parte in cui esse erano state riferite all’oggetto delle domande che le
sorelle Bertolio avevano rivolto direttamente nei confronti dell’impresa deferente Strola
s.n.c. (a mezzo delle quali le stesse avevano inteso riversare ogni responsabilità
dell’evento dannoso dedotto dagli originari attori in capo alla stessa appaltatrice Strola),
mentre le altre risposte involgenti il possibile rapporto direttamente intercorso tre le
predette sorelle e la Siscom s.r.l. avrebbero potuto essere liberamente apprezzate in virtù
dell’art. 116 c.p.c. e, soprattutto, valorizzate unitariamente con le altre emergenze
probatorie (invece completamente obliterate in proposito). Infatti, se è vero che la
confessione giudiziale produce effetti nei confronti della parte che la fa e della parte
che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di
persone diverse dal confidente (in quanto costui non ha alcun potere di
disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti
soggetti del rapporto processuale), è altrettanto vero che il giudice ha, comunque, il
potere di apprezzare liberamente la dichiarazione e trarne elementi indiziari di
giudizio nei confronti delle altre parti (cfr. Cass. n. 22753 del 2004 e, di recente, Cass.

n. 4486 del 2011). Inoltre, sulla scorta dell’evidenziato erroneo ed illogico presupposto, la
Corte torinese ha del tutto omesso di valutare anche le risultanze dei documenti prodotti
18

Siscom s.r.l. . In tal modo, tuttavia, la Corte piemontese non ha considerato che le

dall’impresa Strola relativi alla descrizione e alla fattura dei lavori di palificazione che la
Siscom s.r.l. aveva intestato e indirizzato alla committenti sorelle Bertolio.
16. In conclusione, alla luce delle complessive ragioni svolte, i due riportati motivi proposti
dall’impresa Strola s.n.c. devono essere integralmente accolti.
RIC. N. 18841’07 R.G.:

& c. s.n.c. è stata denunciata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 159, 177, 2697,
2729 c.c. e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., sul presupposto che, nella
fattispecie, sarebbe spettato all’intervenuta Aldeghi fornire la prova idonea in ordine alla
sussistenza del regime di comunione legale con il proprio coniuge (a suo tempo coacquirente di una porzione immobiliare) ai sensi del citato art. 2697 c.c., non essendo
applicabile nei confronti dei terzi la presunzione semplice di cui all’art. 2729 c.c. .
18. Con il secondo motivo del suo ricorso incidentale la stessa società ha prospettato
l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo
per il giudizio (ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.), avuto riguardo alla circostanza di cui al
primo motivo.
19. Il ricorso incidentale in questione (oltretutto riferito a due motivi che richiamano gli
ultimi due proposti dalle ricorrenti principali, già ritenuti infondati) è da dichiarare
inammissibile poiché, con la proposizione del ricorso autonomo poc’anzi esaminato,
l’impresa Strola aveva già consumato il relativo potere di impugnazione, senza, peraltro,
potersi ritenersi che l’esigenza di impugnare i capi della sentenza relativi alla
legittimazione dell’Adelghi Carolina fosse sorta dal ricorso formulato dalle sorelle Bertolio.
E’ risaputo, in merito, che la proposizione del ricorso principale per cassazione
determina la consumazione del diritto di impugnazione, con la conseguenza che il
ricorrente, ricevuta la notificazione del ricorso proposto da un’altra parte non può
introdurre nuovi e diversi motivi di censura con i motivi aggiunti, né ripetere le
19

17. Con il primo motivo del ricorso incidentale avanzato dalla stessa Impresa Strola Mario

stesse censure già avanzate con il proprio originario ricorso mediante un
successivo ricorso incidentale, che, se proposto, va dichiarato inammissibile (cfr.
Cass., S.U., n. 5207 del 2005 e, da ultimo, Cass., S.U., n. 2568 del 2012).
20. Tirando le somme in via definitiva, deve concludersi per il rigetto totale del ricorso
principale avanzato dalle sorelle Bertolio e per l’integrale accoglimento dei due motivi del

l’inammissibilità del ricorso incidentale formulato da quest’ultima società. Pertanto, da
dette statuizioni, consegue la cassazione della sentenza impugnata limitatamente ai motivi
accolti del ricorso autonomo dell’Impresa Strola s.n.c. ed il rinvio, a tal fine, della causa ad
altra Sezione della Corte di appello di Torino che si conformerà ai principi di diritto
precedentemente enunciati (evidenziati in neretto) con riferimento alle due censure
dichiarate fondate (quanto alle riscontrate violazioni di legge) e rinnoverà la motivazione,
in modo logico ed adeguato, con riguardo ai profili attinenti al percorso argomentativo
seguito dedotti con le due medesime doglianze. Al giudice di rinvio è demandata anche la
disciplina complessiva delle spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale proposto nell’interesse di Bertolio
Giancarla, Bertolio Elisa e Bertolio Albertina; accoglie il ricorso autonomo (iscritto al N.R.G.
340471’06) formulato nell’interesse dell’Impresa di Costruzioni Strola Mario & c. s.n.c. e
dichiara inammissibile il ricorso incidentale (iscritto al N.R.G. 18841’07) proposto dalla
stessa Strola s.n.c. . Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia,
anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Torino.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 8 maggio 2013.

ricorso autonomo successivo proposto dall’Impresa Strola s.n.c., oltre che per

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