Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18123 del 24/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2021, (ud. 21/04/2021, dep. 24/06/2021), n.18123

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9939-2017 proposto da:

COMUNE DI PALERMO, elettivamente domiciliato in ROMA, Piazza Cavour

presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e

difeso dall’avvocato LAURA LA MONACA;

– ricorrente –

contro

B.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3632/2016 della COMM. TRIB. REG. SICILIA,

depositata il 20/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/04/2021 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Comune di Palermo propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 3632/01/1, depositata il 20/10/2016, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che ha accolto l’appello, proposto da B.P., avverso la decisione di primo grado che aveva disatteso la tesi del contribuente secondo la quale, ai fini del pagamento della TARSU, i locali adibiti a rimessa pubblica non sono idonei a produrre rifiuti in misura tale da giustificare la tariffa applicata dal Comune di Palermo, per l’anno 2011, potendo trovare applicazione la giurisprudenza che ritiene esenti da imposta i box privati, in ragione della sporadicità della presenza umana.

Il Giudice di appello, in particolare, ha rilevato che “l’autorimessa pubblica viene utilizzata solo ed esclusivamente per il parcheggio e custodia delle auto, in cui la presenza umana è sporadica durante la giornata e si protrae per pochissimo tempo”, per cui “l’attività di parcheggio ha la stessa potenzialità a produrre rifiuti in tutto analoga a quella di un “box-locale di sgombero”, donde la disapplicazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5, della “delibera di giunta che ha stabilito le tariffe”.

Il contribuente è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il Comune ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e dell’art. 118 disp. att., giacchè la sentenza impugnata è affetta da nullità per assoluta mancanza di motivazione stante la pedissequa adesione della CTR alla tesi sostenuta dal contribuente.

Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 62 e 63, giacchè la sentenza della CTR si pone in palese contrasto con la regola generale secondo cui sono soggetti passivi dell’imposta tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale e che i casi, tassativamente previsti, di non sottoposizione alla TARSU devono essere allegati e provati dal contribuente.

Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, giacchè la CTR non ha considerato che il potere di disapplicazione, da parte del giudice tributario, del regolamento tariffario adottato dall’ente impositore non consente l’applicazione alle autorimesse della diversa tariffa prevista per i box-locali di sgombero.

La prima censura è infondata in quanto la sentenza di appello non è completamente priva di esposizione delle considerazioni che hanno indotto la CTR a disattendere quelle, di segno contrario, svolte dal Comune di Palermo, visto che esplicita il percorso logico giuridico seguito per pervenire alle proprie conclusioni che è quello della ritenuta illegittimità della differenziazione, sotto il profilo tariffario, delle “autorimesse pubbliche” rispetto “ai box -locali di sgombero”, e ciò “in considerazione della dichiarata e non contestata attitudine a produrre rifiuti” delle predette tipologie di immobili.

Le restanti censure, da trattare congiuntamente in quanto logicamente connesse, sono invece fondate e meritano accoglimento.

Il presupposto impositivo della TARSU, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, è l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ed ai sensi del successivo comma 2, non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perchè risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione.

L’art. 62 pone, quindi, a carico dei possessori di immobili una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti.

Ne consegue che l’impossibilità dei locali o delle aree a produrre rifiuti per loro natura o per il particolare uso, prevista dall’art. 62, comma 2, non può essere ritenuta in modo presunto dal giudice tributario, essendo onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità, le quali devono essere “debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione” (Cass. n. 17622 del 2016, Cass. n. 6710 del 2014, Sez. 5, Sentenza n. 11351 del 2012, n. 17703 del 2004).

Il contribuente, difatti, è tenuto, in base al medesimo decreto, art. 70, a presentare al comune, entro il 20 gennaio dell’anno successivo all’inizio dell’occupazione dei locali e delle aree scoperte tassabili, ” denuncia unica” con l’indicazione dei dati prescritti, avente “effetto anche per gli anni successivi, qualora le condizioni di tassabilità siano rimaste invariate”, dovendo, in caso contrario, “denunciare, nelle medesime forme, ogni variazione” rilevante (Cass. n. 16858 del 2014, Cass. n. 14469 del 2014, Cass. n. 3772 del 2013, Cass. n. 775 del 2011).

Questa Corte ha avuto occasione di precisare che, “Con particolare riferimento agli immobili adibiti a garage Cass. n. 1711 del 2017, richiamando Cass. civ. Sez. VI-5, n. 33/15 (conf. Cass. un. n. 18022 del 2013 e Cass. n. 17634 del 2004) ha ritenuto che “in virtù del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 62 e 64, i Comuni devono istituire una apposita tassa annuale su base tariffaria, che viene a gravare su chiunque occupi o conduca i locali, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, in cui i servizi sono istituiti, compresi i garage. Tale tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio, salva l’autorizzazione dell’ente impositore allo smaltimento dei rifiuti secondo altre modalità, purchè il servizio sia istituito, e sussista la possibilità della utilizzazione”. (Cass. n. 27630 del 2020), ed ancora, che “mentre nel caso di autorimesse scoperte esterne, le stesse costituiscono pertinenza dell’abitazione e, quindi, sono automaticamente escluse dal tributo (anche dalla Tari, a mente della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 641), nell’ipotesi di garage siti all’interno di locali è applicabile la tassa sui rifiuti, siano essi autonomamente accatastati come unità immobiliari o siano essi semplici posti auto assegnati in via esclusiva ad un occupante dell’immobile. Il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 65, comma 1, come sostituito dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 68, nello stabilire che la tassa “può” essere commisurata a determinati parametri – quantità e qualità dei rifiuti prodotti, costi di smaltimento -, teorici o effettivi a seconda della popolazione comunale, consente di conformare la tariffa anche ad altri parametri, reperibili entro i limiti della logica e dell’equità contributiva, ossia della legittimità dell’atto amministrativo. Perciò non è priva di logica giuridica l’affermazione secondo cui i garage sono soggetti a tarsu “… perchè anche i garage producono rifiuti apprezzabili.”(Cass. n. 4961 del 2018, Cass. n. 11351 del 2012).

Come è stato opportunamente evidenziato dalla Corte, “L’applicazione di una determinata tariffa ai fini TARSU, infatti, è indipendente dalla destinazione d’uso dell’immobile, in quanto lo stesso legislatore, con il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 4, ha conferito agli enti locali il potere di applicare la tariffa in base all’attività economica concretamente svolta all’interno dell’immobile”. (Cass. n. 5358 del 2020).

La sentenza impugnata, nel riconoscere il diritto all’esenzione dalla TARSU dell’area coperta destinata ad “autorimessa pubblica”, in forza della sola allegazione di parte circa la equiparabilità di detta destinazione a quella dei “box-locali di sgombero”, superando attraverso il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5, l’esercizio legittimo, da parte del Comune, della discrezionalità riservata dalla legge all’ente impositore, nella fissazione delle tariffe, e comunque nel proporre per gli immobili di cui sopra un sostanzialmente identico trattamento tariffario, si è posta dunque in contrasto con i principi di diritto affermati in materia da questa Corte (Cass. n. 17622 del 2016, Cass. n. 17623 del 2016 e Cass. n. 1711 del 2017) e, quindi, va cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., decidendo nel merito, va senz’altro rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso la cartella di pagamento n. (OMISSIS) per TARSU 2011.

La natura della controversia e le circostanze che caratterizzano la vicenda processuale giustificano la compensazione delle spese del merito, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa le spese del merito e condanna l’intimato al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettarie spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2021

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