Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18122 del 31/08/2020

Cassazione civile sez. I, 31/08/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 31/08/2020), n.18122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25247-2015 r.g. proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA s.p.a., (cod. fisc. P.Iva (OMISSIS)),

rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al

ricorso, dagli Avvocati Renato Scognamiglio, e Claudio Scognamiglio,

presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, Corso

Vittorio Emanuele II n. 326.

– ricorrente –

contro

R.S., (cod. fisc. (OMISSIS)), quale erede legittimo di

V.I., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta a

margine del controricorso, dall’Avvocato Francesco Agostinelli, con

il quale elettivamente domicilia in Roma, Via Groelandia n. 5,

presso lo studio dell’Avvocato Claudia Pacini.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze, depositata in

data 16 settembre 2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/7/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Firenze ha respinto l’appello proposto da BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA s.p.a. nei confronti di R.S., quale erede legittimo di V.I., avverso la sentenza emessa in data 23 ottobre 2008 dal Tribunale di Livorno, con la quale era stata dichiarata la risoluzione del contratto di investimento mobiliare e delle singole operazioni di acquisto di bond argentini in ragione del grave inadempimento contrattuale agli obblighi di informazione e di adeguatezza degli investimenti, con consequenziale ordine alla banca di restituzione dell’importo utilizzato per l’acquisto dei titoli.

La corte del merito ha ritenuto che a) la pur non corretta affermazione contenuta nella sentenza emessa dal giudice di prime cure secondo cui la valutazione di adeguatezza dell’investimento dovesse essere eseguita dalla banca non avendo quest’ultima fornito la prova di aver richiesto ed ottenuto le dovute informazioni dalla investitrice non aveva comunque inficiato l’iter argomentativo posto a sostegno della decisione di risolvere il contratto di investimento per inadempimento imputabile alla banca, posto che la banca era comunque tenuta a compiere quella valutazione di adeguatezza dell’investimento, anche in assenza di informazioni provenienti dalla V.; b) incombeva pertanto alla banca l’onere di provare e di dimostrare di aver rispettato i dettami di legge e di aver agito con la specifica diligenza richiesta nel fornire adeguate informazioni al cliente, prova che nel caso di specie era mancata da parte dell’intermediario finanziario, stante la genericità della prova documentale offerta (documento in cui vi era la clausola generale e standardizzata di aver ricevuto da parte dell’investitore adeguata informativa da parte della banca) e considerata anche l’inammissibilità della richiesta prova testimoniale in ragione della sua genericità di formulazione; c) le prove acquisite dimostravano invece che la V. si era dimostrata, prima del contestato acquisto dei bond argentini, un’investitrice prudente, tendente alla salvaguardia del capitale investito e volta ad ottenere una rendita finanziaria normale e non già ad alto rischio; d) l’inadeguatezza dell’investimento era resa evidente anche dalla non contestata circostanza che l’acquisto dei bond argentini aveva riguardato il 92% dei risparmi della cliente che, invece, nel passato aveva sempre diversificato gli investimenti su un paniere di titoli variegato; e) stante l’evidente inadeguatezza dell’investimento, la legittimità dell’ordine di acquisto poteva considerarsi predicabile, solo se accompagnato dalla previa e reiterata richiesta per iscritto dell’investitore, secondo quanto prescritto dall’art. 29 Reg. Consob; f) doveva riconoscersi natura negoziale anche ai singoli ordini di acquisto dei titoli, alla stessa stregua della natura negoziale del contratto quadro.

2. La sentenza, pubblicata il 16 settembre 2014, è stata impugnata da BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA s.p.a. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui R.S. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e degli artt. 28 e 29 reg. Consob n. 11522-1998, in relazione ai profili di violazione da parte dell’intermediario finanziario degli obblighi di informazione e di adeguatezza degli investimenti, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso di un fatto decisivo. Si evidenzia che, ai sensi dell’art. 23 T.U.F., non è richiesta la forma scritta per la validità anche delle singole operazioni di acquisto dei titoli, ma solo per quella del contratto quadro di negoziazione e di deposito titoli, e che aveva articolato idonea ed ammissibile prova testimoniale e documentale volta a dimostrare il suo adempimento agli obblighi informativa e di adeguatezza degli investimenti, avendo previamente profilato il cliente che si era dimostrata, anche in relazione alle precedenti esperienze di investimento, una investitrice consapevole dei rischi insiti nell’acquisto di titoli di stato argentini. Osserva ancora la società ricorrente che la decisione adottata dai giudici del merito era contraria al principio di autoresponsabilità negoziale, avendo fornito un’illegittima interpretazione delle norme sopra ricordate che presupponeva l’assicurazione di una copertura risarcitoria per ogni investimento non andato a buon fine da parte degli investitori.

2. Il secondo mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione delle norme sempre in tema di adempimento degli obblighi informativi discendenti del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e dall’art. 28 Reg. Consob sopra ricordato, nonchè violazione dell’art. 2730 c.c., in materia di confessione stragiudiziale e dell’art. 244 c.p.c., in materia di prova testimoniale ed infine, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti.

3. Il terzo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. 25 luglio 1996, n. 415, art. 18 e del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, nonchè degli artt. 1711 e 1453 c.c., nonchè nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

4. Il ricorso è infondato.

4.1 Il primo motivo di censura è in realtà inammissibile.

4.1.1 Sotto un primo profilo, occorre subito evidenziare come la censura sia stata formulata sotto l’egida applicativa del vizio di violazione di legge, declinato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sul punto, non si può dimenticare che, secondo la consolidata ed incontrastata giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 16038 del 26/06/20), in materia di procedimento civile, nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. anche: Sez. L, Sentenza n. 287 del 12/01/2016; Sez. 6-5, Ordinanza n. 25419 del 01/12/2014).

Orbene, non può sfuggire come la censura articolata sotto l’egida applicativa della violazione di legge in relazione ai sopra richiamati del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e artt. 28 e 29 reg. Consob n. 11522-1998 – lungi dall’essere stata prospettata dalla parte ricorrente attraverso la corretta indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata di cui si assuma il contrasto con le norme regolatrici della fattispecie richiamate – prospetti, al contrario, una diversa ricostruzione della fattispecie concreta (attingendo, pertanto, il merito della decisione, come tale rimesso alle valutazioni dei giudici delle precedenti fasi giudiziali), e non già un’eventuale erronea prospettazione della fattispecie astratta delineata nella motivazione impugnata.

Risulta evidente, scorrendo le deduzioni difensive contenute nel motivo in esame, come la ricorrente abbia dedotto un asserito rapporto di contraddizione tra il decisum ed il materiale probatorio scrutinato ed interpretato dai giudici del merito, prospettando, pertanto, il dedotto vizio di violazione di legge non già come un vizio di impostazione giuridica della decisione, ma al contrario come l’esito finale di una errata valutazione dei fatti. E ciò con particolare riferimento sia alla questione della contestata rischiosità dei titoli obbligazionari argentini (cfr. pag. 15 del ricorso) e sia in relazione al profilo soggettivo della V. come investitrice (cfr. pag. 19, ove si dipinge quest’ultima come una investistrice avvezza alle speculazioni finanziarie ad alto rischio).

4.1.2 Giova sempre ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione avente ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione ed è, pertanto, inammissibile ove trovi applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012 (Cass., Sez. 6 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018).

Ne consegue che già sotto questo preliminare profilo di valutazione la doglianza così prospettata dalla ricorrente nel primo motivo di ricorso risulti irricevibile in questo giudizio di legittimità.

4.1.3 Senza contare che la censura neanche coglie la ratio decidendi della motivazione impugnata che si fonda, da un lato, su una valutazione di mancanza di prova da parte dell’istituto di credito intermediario dell’assolvimento degli obblighi informativi e, dall’altro, sulla valutazione della inadeguatezza dell’investimento rispetto al profilo di rischio della cliente, e ciò in ragione, per un verso, di una generica allegazione degli elementi dimostrativi estraibili dalla documentazione allegata (doc. 2 ove si faceva riferimento ad una generica e standardizzata clausola contrattuale di attestazione dell’intervenuta informativa del cliente) e per altro, di una erronea ed inammissibile prospettazione di prova testimoniale, i cui capitoli erano stati genericamente formulati.

Ebbene, tali ultimi profili sono stati, in realtà, censurati dalla ricorrente nel secondo mezzo, ma con deduzioni difensive infondate, come si dirà tra breve.

4.1.4 Ma anche l’ulteriore censura, sempre contenuta nel primo motivo, risulta inammissibile. Ed invero, la ricorrente prospetta – in rubrica – un vizio di mancato esame di un fatto decisivo, declinato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, senza tuttavia svilupparlo nel corpo delle deduzioni difensive contenute nel ricorso.

Sul punto, non può essere dimenticato che, secondo la giurisprudenza di vertice espressa da questa Corte (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Ebbene, tale prospettazione è assolutamente mancata nel caso in esame.

4.1.5 Ma se si vuole comunque ritenere che la rubrica del motivo volesse far riferimento alle doglianze relative ad un presunto errore motivazionale della sentenza impugnata, non si può fare a meno di ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. sempre Cass., n. 8053/2014, cit. supra).

E’ cioè a dirsi che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 19547 del 04/08/2017).

Ciò detto, osserva la Corte come il vizio così prospettato voglia invero sollecitare questo giudice di legittimità ad un nuovo scrutinio del compendio probatorio per avvalorare una diversa ricostruzione della questio facti, sempre al fine di far apprezzare una diversa valutazione del profilo dell’adempimento da parte dell’intermediario finanziario degli obblighi di corretta informazione del cliente e di adeguatezza dell’investimento. E ciò a fronte di una motivazione che, da un lato, ha ritenuto non adempiuto l’onere della prova incombente sulla banca proprio in relazione a quest’ultimo profilo di valutazione e, dall’altro, ha apprezzato gli elementi comunque emergenti dall’istruttoria per delineare una profilatura della investitrice che richiedeva una penetrante informativa e comunque la necessità di un ordine scritto indirizzato a far acquistare all’intermediario i titoli argentini sul mercato mobiliare internazionale, a fronte di un investimento inadeguato.

4.2 Il secondo motivo è invece infondato sia in relazione alla prospettata violazione di legge sia in riferimento al dedotto vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi sempre dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5.

4.2.1 Va in primo luogo premesso che le doglianze, declinate come violazione di legge in riferimento del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e all’art. 28 Reg. Consob, in riferimento alla violazione degli obblighi informativi dell’intermediario, devono ritenersi inammissibili, per le medesime ragioni già sopra esposte in relazione al primo motivo, perchè prospettano, cioè, valutazioni in fatto volte non già alla corretta esegesi delle norme di cui si contesta la violazione, ma al contrario ad una diversa ricostruzione della fattispecie concreta, attraverso una diversa lettura degli elementi di prova già correttamente scrutinati dai giudici del merito.

4.2.2 Sotto altro profilo, la dedotta violazione di legge, declinata in riferimento all’art. 2720 c.c., non è invece meritevole di positivo apprezzamento.

Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema d’intermediazione finanziaria, la dichiarazione resa dal cliente, su modulo predisposto dalla banca e da lui sottoscritto, in ordine alla propria consapevolezza circa le informazioni ricevute sulla rischiosità dell’investimento suggerito e sollecitato dalla banca e della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo d’investitore, non costituisce dichiarazione confessoria in quanto rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 4620 del 06/03/2015; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6142 del 19/04/2012).

Ne consegue l’infondatezza della prospettata violazione del predetto canone di valutazione probatoria del documento.

4.2.3 Ma anche l’ulteriore censura articolata – in relazione alla dedotta violazione dell’art. 244 c.p.c. e alla contestata decisione istruttoria di inammissibilità della prova testimoniale (di cui i giudici del merito avevano contestato la genericità di articolazione) – non è fondata, atteso che gli articoli di prova dedotti dalla società ricorrente (per come riproposti nel ricorso introduttivo) evidenziano una articolazione di prova su circostanza, all’evidenza, non decisive, e ciò se solo si considera che in verità, ai sensi del richiamato art. 29 Reg. Consob, occorreva che cliente esprimesse il suo consenso scritto a fronte di un investimento indiscutibilmente non adeguato detto altrimenti, qualora la banca fosse anche riuscita a dimostrare la corretta informativa svolta nei confronti del cliente, ciò non esimeva che la volontà negoziale di quest’ultimo dovesse essere calata in un ordine scritto di acquisto dei titoli, in ragione della non adeguatezza dell’investimento.

Nè i capitoli di prova articolati nel secondo motivo di censura sono in grado di evidenziare l’asserita adeguatezza dell’investimento rispetto al profilo di rischio dell’investitrice (cfr. pag. 24 ricorso), attingendo, invece (e peraltro genericamente), il diverso profilo dell’assolvimento dell’obbligo informativo della banca, e ciò peraltro a fronte di una motivazione che ha argomentativamente giustificato la valutazione di non adeguatezza dell’investimento (investimento per il 92% in bond argentini; profilo di invenstitrice prudente e non speculativa: cfr. pag. 5/6, motivazione impugnata).

4.3 Il terzo motivo è del pari infondato.

Non può essere messa in discussione la natura negoziale (e dunque anche la sanzione della risoluzione per grave inadempimento) anche degli “ordini acquisto” impartiti dal cliente sulla base del contratto quadro di investimento, la cui natura di contratto di mandato non è stata mai posta in discussione.

Sul punto, è stato anche affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di negoziazione di prodotti finanziari, che l’inadempimento di non scarsa importanza agli obblighi informativi imposti dalla legge e dai regolamenti Consob a carico dell’intermediario determina nell’investitore il diritto a richiedere la risoluzione non solo del cd. contratto quadro ma anche dei singoli ordini di investimento (Sez. 1, Ordinanza n. 3261 del 09/02/2018).

Del resto, il contratto-quadro, già previsto dalla L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 6, nonchè del D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, successivo art. 18, così qualificato in quanto destinato a costituire la regolamentazione dei servizi alla cui prestazione si obbliga l’intermediario verso il cliente, è stato ritenuto nella giurisprudenza di legittimità accostabile per alcuni aspetti al mandato, derivandone obblighi e diritti reciproci dell’intermediario e del cliente, e le successive operazioni sono state considerate quali momenti attuativi dello stesso (così le pronunce Sez. U. 19/12/2007, nn. 26724 e 26725). Per costante giurisprudenza, il D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, laddove parla di forma scritta a pena di nullità, si riferisce ai contratti-quadro e non ai singoli servizi di investimento o disinvestimento, la cui validità non è soggetta a requisiti formali, salvo la diversa previsione convenzionale nel contratto-quadro (in tal senso, si richiamano le pronunce del 9/8/2017, n. 19759; del 2/8/2016, n. 16053; del 29/2/2016, n. 3950, del 13/1/2012, n. 384 e del 22/12/2011, n. 28432).

Ne consegue che se, per un verso, la natura negoziale del contratto quadro (accostabile ad un contratto di mandato) non è dubitabile, non è discutibile che il singolo ordine di acquisto – pur rappresentando un elemento di attuazione delle obbligazioni contratte del contratto di investimento partecipi della natura negoziale di quest’ultimo, come negozio esecutivo, concretandosi attraverso esso il negozio di acquisizione – per il tramite dell’intermediario – dei titoli da destinare ad essere custoditi, secondo le clausole contenute nel contratto quadro.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la società parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

 

 

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