Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18120 del 31/08/2020

Cassazione civile sez. I, 31/08/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 31/08/2020), n.18120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24347/2015 proposto da:

F.E., elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Avezzana n.

8, presso lo studio dell’avvocato Grassi Paolo, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Cimino Aldo Maria, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare di Milano Soc. Coop. a r.l., in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

Piazza Giuseppe Mazzini n. 15, presso lo studio dell’avvocato

Gabrielli Enrico, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati De Nova Giorgio, De Nova Sara, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3063/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/07/2020 dal Cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 14 luglio 2015, la Corte d’appello di Roma ha respinto l’impugnazione proposta da F.E. contro la Banca Popolare di Milano soc. coop. a r.l. avverso la decisione di primo grado, che aveva dichiarato prescritto il diritto di risarcimento del danno per il rifiuto di eseguire l’ordine di disinvestimento/reinvestimento titoli, ed infondate nel merito le altre domande dal medesimo avanzate con riguardo al disinvestimento di titoli e reinvestimento in conflitto di interessi della banca.

Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione dal soccombente, sulla base di tre motivi, illustrati anche da memoria.

Vi resiste con controricorso la banca intimata, che ha parimenti depositato la memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente ha enunciato i seguenti “motivi” di ricorso:

1) “omissione di valutazione della natura di rapporto misto amministrazione/pegno del rapporto intercorrente tra il F. e la Banca, emersa dalle prove documentali prodotte in primo grado”: la corte territoriale avrebbe, nell’assunto, omesso di valutare i fatti decisivo consistenti nella qualifica di rapporti misto di pegno ed amministrazione titoli, intercorso tra le parti, avendo ritenuto concluso un mero contratto di pegno, onde essa ha trascurato che il F. aveva diritto di “movimentare” i titoli, quando addirittura la banca neppure aveva provato la sussistenza del pegno e l’entità dei finanziamenti concessi;

2) “omissione di fatti decisivi” per: a) “illegittimità del rifiuto della Banca di adempire alla richiesta formulata dal F. di disinvestimento dei titoli”: la corte territoriale non avrebbe dovuto respingere la domanda di risarcimento del danno, per avere la banca rifiutato di dare corso all’ordine di disinvestimento dei titoli, in quanto – contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata – era stata data piena prova dell’inadempimento della banca in forza di tale rifiuto, dato che si trattava non di un mero pegno, ma di un rapporto anche di amministrazione titoli; b) “condotta della Banca contraria all’obbligo di esecuzione del contratto secondo buona fede e con la diligenza del buon banchiere”: tale violazione è stata provata nei due gradi di merito, avendo la banca violato gli obblighi menzionati;

3) “domanda del F. di risarcimento danni conseguente alla violazione dell’art. 119 TUB da parte della Banca”: ha errato la corte del merito a ritenere non provato il danno relativo ed è caduta in contraddizione, avendo dapprima affermato che la banca rimase effettivamente inadempiente all’obbligo di consegnare la documentazione previsto dalla suddetta disposizione, e poi escluso la prova del danno.

Nelle conclusioni del ricorso, il ricorrente ha richiamato, infine, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2. – I motivi possono essere congiuntamente esaminati, in ragione dei medesimi vizi che li caratterizzano: ed invero, la stessa modalità di redazione del ricorso lo espone alla declaratoria di inammissibilità, sia quanto alla formulazione dei motivi in violazione dell’art. 366 c.p.c., sia quanto alla riproposizione di un giudizio sul fatto.

Secondo i principi consolidati enunciati da questa Corte, il ricorso per cassazione deve contenere motivi separati e specifici, che rientrino in una delle figure dell’art. 360 c.p.c., essendo il ricorso per cassazione rigidamente ancorato ad uno dei cinque vizi del provvedimento impugnato, previsti dalla disposizione richiamata, cui ciascuna doglianza deve poter essere agevolmente ricondotta.

Ogni motivo deve essere autosufficiente, ossia intellegibile da solo, senza il ricorso ad elementi esterni.

Il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass., sez. un., n. 20501/2019; Cass. n. 454/2019; Cass. n. 447/2019; Cass. n. 22478/2018; Cass. n. 20910/2017; Cass. n. 17330/2015; Cass. n. 187/2014; Cass. n. 11984/2011).

Quanto, in particolare, al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – unico dedotto nel ricorso – giova ricordare come la norma applicabile, come riformulata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, attiene al vizio relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); nè l’omesso esame di elementi istruttori integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (fra le altre, Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415; 14 giugno 2017, n. 14802; 8 settembre 2016, n. 17761).

Trattandosi di una inammissibilità che attiene alla forma-contenuto dell’atto (il ricorso per cassazione) e dipende dalla carenza degli elementi costitutivi necessari del motivo, essa ha carattere strettamente processuale, da valutare con riferimento al momento della proposizione del ricorso, nè l’inammissibilità iniziale potrebbe giammai essere sanata successivamente, con la memoria presentata ai sensi degli artt. 378/380-bis c.p.c. e segg..

Il ricorso, però, non rispetta nessuno di tali parametri.

Col primo motivo, esso lamenta, infatti, che la corte territoriale non abbia esaminato la “natura di rapporto misto amministrazione/pegno” concluso tra le parti, aggiungendo che tale natura sarebbe “emersa dalle prove documentali prodotte in primo grado”: ma la prima parte della doglianza non coglie nel segno, posto che l’intera decisione impugnata si cura di precisare di avere accertato l’esistenza di un pegno di titoli, avendo altresì esaminato proprio la dedotta disponibilità in capo a sè, che il pignorato pretendeva di affermare (p. 9-10), onde non sussiste il vizio di omesso esame; mentre la seconda palesemente si scontra con la natura del giudizio di legittimità, che non permette di ripetere il giudizio sul fatto, in tal modo rivelando il reale intento del motivo di ripetere unicamente il giudizio sul fatto.

Tale ultima osservazione si attaglia pure al secondo ed al terzo motivo, che, oltre ad essere difficilmente qualificabili come tali, palesano la completa ripetizione di argomentazioni di puro fatto, esponendosi ad una ulteriore ragione di inammissibilità.

Neppure il terzo “motivo” coglie del segno, perchè non sussiste nessuna contraddizione insanabile nel fatto di avere la corte del merito – nell’ambito della complessa fattispecie risarcitoria, composta da elemento costitutivo oggettivo e soggettivo – ritenuto sussistere l’uno (la condotta), ma non l’altro (il danno) elemento oggettivo della fattispecie, in tal modo giungendo in perfetta coerenza, al rigetto della domanda, il cui accoglimento, all’evidenza, impone l’integrazione dell’intera fattispecie normativa di responsabilità.

In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

3. – Le spese di lite seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità in favore della controricorrente, liquidate in Euro 20.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori, come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di coniglio, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

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