Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18120 del 04/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 04/08/2010, (ud. 12/05/2010, dep. 04/08/2010), n.18120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.A., C.M., R.L., G.

L.J., P.L., G.L.S., S.B.,

S.R., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE

ANGELICO 35, presso lo studio dell’avvocato D’AMATI DOMENICO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato COSTANTINI CLAUDIA

quanto al 1, 2, 3, 4, 5, 6, e 8 giusta procure autenticate dalla

Dott.ssa L.E., Vice Commissario Amministrativo Consolare

e Sociale del Consolato Generale d’Italia in New York,

rispettivamente rep. 270 reg. 57/2009 dell’11.5.2009 (1), rep. 273

reg. 57/2009 del 12.05.2009 (2), rep. 271 reg. 57/2009 del 12.5.2009

(3), rep. 274 reg. 57/2009 del 12.5.2009 (4), rep. 269 reg. 57/2009

dell’11.5.2009 (5), rep. 298 reg. n. 57/2009 del 21.5.2009 (6), rep.

272 reg. 57/2009 (8), quanto al 7 giusta procura speciale autenticata

dalla signora VILMA PESCIALLO, delegata alle funzioni notarili del

Consolato Generale d’Italia in Miami (Florida) rep. 145/2009 reg.

1.654 del 13.5.2009;

– ricorrenti –

contro

RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., società incorporante la RAI

– Radiotelevisione Italiana S.p.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GRAMSCI 20, presso lo studio dell’avvocato PERONE GIANCARLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

– RAI CORPORATION ITALIAN RADIO TV SYSTEM, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BOEZIO 14, presso lo studio dell’avvocato D’ANGELANTONIO CLAUDIO, che

la rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati MARITATO LELIO,

CALIULO LUIGI, SGROI ANTONINO, giusta delega in calce alla copia

notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 13547/2008 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 26/05/2008 R.G.N. 34082/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

uditi gli Avvocati D’AMATI DOMENICO, COSTANTINI CLAUDIA;

Udito l’Avvocato PERONE GIANCARLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per la dichiarazione di

inammissibilità del ricorso, in subordine rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’11 febbraio 1997, il Pretore del lavoro di Roma, dopo avere accertato la giurisdizione del giudice italiano e l’applicazione del diritto italiano in ordine alla controversia sottoposta al suo giudizio, aveva rigettato nel merito la domanda svolta da C.A. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe – tutti cittadini italiani residenti negli U.S.A., addetti all’ufficio di corrispondenza di New York della RAI s.p.a. alle dipendenze della RAI Corporation Italian Radio TV System, società di diritto statunitense – di declaratoria che tra essi e la RAI s.p.a.

sussiste un rapporto di lavoro subordinato, con illegittima e fittizia interposizione della RAI Corporation, con conseguente condanna della Rai a pagare loro il t.f.r. secondo le norme dell’art. 2120 c.c. e a versare all’INPS (anch’esso evocato in giudizio) i contributi previdenziali.

Su appello principale dei dipendenti e incidentale della RAI Corporation, il Tribunale di Roma aveva rigettato quello principale, con sentenza depositata il 5 novembre 2001, ritenendo l’obbligazione dedotta in giudizio di natura non contrattuale e quindi disciplinata, a norma dell’art. 25 disp. gen., comma 2, applicabile al caso in esame ratione temporis, dal diritto statunitense, che non prevede una normativa simile alla L. n. 1369 del 1960.

Il Tribunale aveva viceversa accolto l’appello incidentale della Rai Corporation, col dichiarare nulla per difetto di procura la domanda svolta dagli appellanti nei suoi confronti, pur mantenendo tale società in giudizio in ragione della sua posizione di soggetto pretesamente interposto.

Avverso tale sentenza, C.A. e gli altri lavoratori avevano proposto ricorso per cassazione con quattro motivi.

Col primo, avevano dedotto il vizio di violazione di legge rilevando che, non avendo la RAI s.p.a. impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato che per individuare il datore di lavoro dei ricorrenti avrebbe dovuto farsi riferimento ai criteri enunciati dalla L. n. 1369 del 1960, il secondo giudice avrebbe dovuto prendere in esame solo il punto concernente l’adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto, le quali non avevano, dunque, origine extracontrattuale, trovando esse origine in una fonte comunque negoziale e cioè nell’appalto di manodopera.

Col secondo motivo, avevano lamentato il mancato esame del motivo di appello che aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato che le parti avevano raggiunto un accordo per l’applicazione della legge statunitense in luogo di quella italiana, in quanto comune alle parti.

Col terzo e col quarto motivo i ricorrenti avevano censurato l’affermazione del Tribunale, secondo la quale non sarebbe stato dedotto il contrasto con l’ordine pubblico interno e la legislazione statunitense in materia e per avere quindi i giudici omesso la trattazione di questo importante profilo di erroneità della prima sentenza nonostante se ne fosse fatto oggetto di specifico motivo di appello. In particolare, con l’appello sarebbe stata infatti sottolineata l’erroneità della prima pronuncia laddove aveva escluso che la normativa interna statunitense violasse l’ordine pubblico internazionale, ritenendo che la legislazione straniera dovesse essere valutata nel suo complesso e non pro parte.

Nel costituirsi, la Rai Corporation aveva altresì proposto ricorso incidentale (sul capo relativo alla sua qualità di contraddittore necessario).

In tale giudizio, questa Corte, con sentenza a sezioni unite del 25 marzo 2005 n. 6408, aveva dichiarato la giurisdizione del giudice italiano e con sentenza della sezione lavoro del 7 dicembre 2005 n. 26976, aveva respinto ambedue i ricorsi.

In particolare, quanto al ricorso principale, questa Corte ha qualificato il comportamento dedotto in giudizio come costituente un negozio giuridico complesso, di cui erano state parti il datore interposto, il datore interponente e il lavoratore e dal quale ex lege si era determinato l’effetto giuridico della nascita dell’obbligazione datoriale a carico del soggetto interponente, la cui fonte è pertanto contrattuale.

Ciò premesso, la Corte ha richiamato l’art. 6 n. 2 della Convenzione di Roma 19 giugno 1980, resa esecutiva in Italia con la L. n. 975 del 1984, concludendo nel senso che, alla stregua di essa, il diritto applicabile sarebbe quello degli U.S.A., individuato come il “Paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro”. Conseguentemente, difettando in quell’Ordinamento una normativa simile a quella di cui alla legge italiana n. 1369 del 1960 e ritenendo ciò non incompatibile con l’ordine pubblico, questa Corte ha respinto il ricorso.

C.A. e gli altri lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., avverso la sentenza di questa Corte n. 26976 del 2005, in quanto ritenuta affetta da errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4), ricorso che questa Corte, con sentenza depositata il 26 maggio 2008 n. 13547, ha accolto per ciò che riguarda la richiesta di revoca, accertando che la sentenza impugnata, individuando il diritto nazionale sulla base della convenzione di Roma 19.6.80, applicabile unicamente ai contratti conclusi dopo la sua entrata in vigore in Italia, avvenuta solo in data 1 aprile 1991, aveva evidentemente ritenuto, con un errore di fatto, che i contratti dedotti in giudizio fossero tutti successivi a tale data, mentre era pacifico in giudizio e risultava dagli atti che si trattava di contratti antecedenti, con conseguente necessaria applicazione della precedente disciplina di diritto internazionale privato di cui all’art. 25 preleggi.

Passando alla fase rescissoria, la Corte, ferma la natura negoziale delle obbligazioni dedotte in giudizio, ha ricordato che esse sono regolate, alla stregua dell’art. 25, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale, dalla legge nazionale dei contraenti, se comune o, altrimenti, da quella del luogo in cui il contratto è stato concluso, salva diversa volontà delle parti.

Nel caso esaminato, essendo “il contratto da prendere in considerazione ai sensi dell’art. 25, comma 1, quello posto in essere tra i singoli ricorrenti e la RAI corporation – unici soggetti legati da rapporto di natura negoziale”, la Corte ha concluso nel senso che, poichè la società è di nazionalità statunitense ed i ricorrenti sono cittadini italiani e inoltre deve escludersi l’esistenza di una disciplina contrattuale diversa relativamente al diritto applicabile, questo doveva ritenersi individuato nel diritto statunitense, in quanto quello del luogo in cui il contratto era stato concluso, luogo identificato nella città di New York.

Infine la Corte ha escluso che l’applicazione di tale legge nella materia oggetto del contendere sia incompatibile con l’ordine pubblico anche ai sensi dell’art. 31 preleggi.

Avverso tale sentenza, propongono ancora una volta ricorso per cassazione C.A. e gli altri litisconsorti, chiedendone la revocazione in quanto essa sarebbe affetta da errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4.

Resistono alle domande sia la Rai s.p.a. che la Rai Corporation con autonomi controricorsi, mentre l’INPS, ritualmente intimato, ha depositato la procura ai propri difensori.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col ricorso per cassazione, proposto ex artt. 391 e ss. c.p.c., C.A. e gli altri sette litisconsorti indicati in epigrafe chiedono la revocazione della sentenza di questa Corte del 26 maggio 2008 n. 13547, in quanto l’affermazione – costituente il necessario presupposto della decisione in ordine al diritto applicabile – secondo cui gli unici soggetti legati da un rapporto di natura negoziale sono i ricorrenti e la Rai Corporation sarebbe frutto di un evidente errore di fatto, essendo stata positivamente stabilita in giudizio l’esistenza, attraverso l’interposizione vietata, di un rapporto negoziale tra i ricorrenti e la Rai- Radiotelevisione italiana s.p.a., soggetto giuridico di nazionalità italiana.

Ne consegue, secondo il ricorso, che “se la sentenza della suprema Corte n. 13547/08 avesse preso in considerazione l’esistenza di detto rapporto tra Rai Radiotelevisione Italiana s.p.a. e i ricorrenti, essa avrebbe dovuto necessariamente ritenere l’applicabilità della legge italiana per effetto della comune nazionalità delle parti”.

I ricorrenti concludono chiedendo, in conseguenza della revocazione della sentenza di questa Corte, l’esame dei quattro motivi del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza del Tribunale di Roma.

Col controricorso, la RAI Radiotelevisione Italiana s.p.a. deduce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, per due autonome ragioni: perchè ai sensi dell’art. 403 c.p.c., comma 1, “non può essere impugnata per revocazione la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione” (deduzione che viene svolta anche da RAI Corporation); e inoltre perchè difetta nel ricorso la formulazione di un quesito, necessaria ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., all’epoca vigente, anche nel caso di ricorso per revocazione.

Ambedue le società, in via subordinata sostengono l’infondatezza del ricorso del quale chiedono il rigetto.

Va preliminarmente respinta la prima deduzione di inammissibilità del ricorso per inosservanza dell’art. 366 bis c.p.c..

Trattandosi di ricorso per cassazione avverso una sentenza depositata il 26 maggio 2008, ad esso è applicabile, ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, artt. 6 e 27, comma 2, la disciplina di cui all’art. 366 bis c.p.c., introdotto nel codice di rito da tale decreto (quindi soppresso dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) e comma 5, con riguardo ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze pubblicate a partire dal 4 luglio 2009).

A norma dell’art. 366 bis c.p.c, “nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. ord. nn. 26022/08, 5075 e 5076/08, 4640/07), l’art. 366 bis c.p.c., trova applicazione anche al ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., contro le sentenze della Corte di cassazione, atteso che detta norma è da ritenere oggetto di rinvio da parte della previsione del citato art. 391 bis, comma 1, laddove la revocazione è chiesta “con ricorso ai sensi degli artt. 365 e segg.”.

Ne consegue che ove si tratti, come nel caso di specie, di far rilevare un errore di fatto in cui sarebbe incorsa la sentenza di cui si chiede la revocazione, la formulazione del relativo motivo deve risolversi nell’indicazione specifica del fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore e nell’esposizione delle ragioni per cui l’errore presenta i requisiti previsti dall’art. 395 c.p.c..

A tale onere non si sono sottratti i ricorrenti, indicando il contratto tra i lavoratori e la Rai s.p.a. come quello da prendere in considerazione ai fini dell’art. 25 preleggi, comma 1, invece di quello erroneamente considerato da questa Corte, intercorrente tra i lavoratori e la Rai Corporation nonchè le ragioni per le quali tale errore è stato decisivo ai fini del rigetto delle domande.

E’ viceversa fondata la deduzione di inammissibilità del ricorso formulata ai sensi dell’art. 403 c.p.c..

A norma di tale disposizione:

“Non può essere impugnata per revocazione la sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione.

Contro di essa sono ammessi i mezzi di impugnazione ai quali era originariamente soggetta la sentenza impugnata per revocazione “.

Secondo la difesa svolta in sede di discussione orale dai ricorrenti, la disposizione di cui all’art. 403 c.p.c., comma 1, si riferirebbe unicamente al giudizio rescindente e non anche al giudizio rescissorio, al quale sarebbe applicabile il comma 2, del citato articolo.

La deduzione difensiva è manifestamente infondata, dato che l’art. 403 c.p.c., comma 1, nella perentoria negazione della possibilità di impugnazione per revocazione della sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione, non distingue tra giudizio rescindente e giudizio rescissorio, dettando al riguardo un principio generale volto ad evitare che la definizione di una lite sia oggetto di ripetute contestazioni, che impediscano la formazione di una statuizione idonea a concludere definitivamente la controversia (cfr. Cass. S.U. 20 aprile 2004 n. 7584 e 9 marzo 2006 n. 5055; arg. altresì Cass. 19 marzo 2007 n. 6441).

A ciò consegue nel caso in esame l’inammissibilità del ricorso per revocazione avverso la sentenza pronunciata a seguito di giudizio di revocazione di una decisione di questa Corte.

In ogni caso si rileva che la questione proposta col ricorso in esame non sembra configurare un errore di fatto, il quale consiste in un errore di percezione o in una svista materiale che abbia indotto il giudice ad affermare l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, la cui insussistenza (o sussistenza) risulti invece in maniera incontrovertibile dagli atti, così che l’errore sia rilevabile sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e documenti del giudizio, sempre che dalla stessa decisione non risulti che quello stesso fatto denunciato come erroneamente percepito sia stato oggetto di giudizio.

Orbene, nel caso di specie, l’errore denunciato sarebbe caduto sulla individuazione del contratto da cui originerebbero le obbligazioni dedotte in giudizio, ritenuto dalla Corte intercorrente tra i ricorrenti e la società statunitense interposta e non invece, come sarebbe stato accertato in causa tra i ricorrenti e la società italiana interponente.

Ma a parte la considerazione che l’esistenza di una intermediazione vietata non è stata mai accertata nel giudizio, costituendo viceversa la situazione da accertare secondo la prospettazione degli originari ricorrenti, siffatto errore (allora alla stregua della prospettazione affermata o negata dalle parti), ove pure esistente, avrebbe infatti natura di errore di qualificazione giuridica del contratto all’origine del rapporto dedotto in giudizio, esplicitamente operata nel contraddittorio delle parti dalla sentenza impugnata e non invece la consistenza di errore di fatto sull’esistenza stessa di tale contratto.

In sintesi, dopo aver richiamato la qualificazione – operata dalla Corte di cassazione con la sentenza del 7 dicembre 2005 n. 26976 – del comportamento dedotto in giudizio come costituente un negozio giuridico complesso, di cui erano state parti il datore interposto, il datore interponente e il lavoratore, la sentenza qui impugnata ha ritenuto che il contratto da prendere in considerazione ai sensi dell’art. 25, comma 1, dovesse essere quello posto in essere tra i singoli ricorrenti e la RAI corporation, indicati come unici soggetti legati da rapporto di natura negoziale, con ciò isolando all’interno della fattispecie complessa rappresentata dai ricorrenti a sostegno delle loro domande l’unico contratto di fatto esistente, valutato come quello rilevante ai fini dell’accertamento del diritto applicabile.

Se pertanto errore vi è stato da parte della Corte, trattasi esclusivamente di errore non di fatto, ma di qualificazione giuridica della causa petendi delle domande, la quale comunque, anche alla stregua della qualificazione giuridica richiamata nella sentenza qui impugnata che attingeva alla esistenza di un rapporto contrattuale trilatero, condurrebbe al medesimo risultato, in considerazione della nazionalità statunitense di uno dei tre contraenti.

Concludendo, in base alle considerazioni svolte, il ricorso va dichiarato inammissibile, con la condanna dei soccombenti a rimborsare alle contro ricorrenti le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

Nulla per le spese dell’INPS, che non ha svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti a rimborsare a ciascuna delle controricorrenti le spese di questo giudizio, liquidate per ognuna in Euro 30,00 per spese ed Euro 2.500,00 per onorari, oltre accessori come per legge. Nulla per le spese dell’INPS. Così deciso in Roma, il 12 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2010

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