Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18116 del 04/08/2010

Cassazione civile sez. I, 04/08/2010, (ud. 06/07/2010, dep. 04/08/2010), n.18116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.P.S. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità di socio

accomandante della società Di Palma s.a.s. di Vicedomini Grazia

& C,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI 8, presso

l’avvocato CARBONE ANGELO, che lo rappresenta e difende, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.C. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II 229, presso l’avvocato BONFIGLIO

RAFFAELE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MAIORINO FRANCESCO, giusta procura a margine del controricorso;

FALLIMENTO DI PALMA S.A.S. DI VICEDOMINI GRAZIA & C, NONCHE’

DI

V.G. E D.P.S. IN PROPRIO (C.F.

(OMISSIS)), in persona del Curatore Avv. M.L.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso

l’avvocato MICHELE SANDULLI, rappresentato e difeso dall’avvocato

NUZZOLO EZIO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 06/08/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato STEFANO FIORELLI, con delega,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato RAFFAELE BONFIGLIO che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con istanza L. Fall., ex art. 108, depositata in data 18.2.2008, D. P.S., dichiarato fallito dal Tribunale di Napoli in estensione a seguito del fallimento della società Di Palma s.a.s. di Vicedomini Grazia & C, chiedeva al giudice delegato di impedire il perfezionamento della vendita dell’immobile, adibito ad abitazione dell’istante e della sua famiglia, deducendo che il prezzo di aggiudicazione dello stesso a R.C. era notevolmente inferiore e/o comunque non congruo rispetto a quello di mercato e che non vi erano i presupposti per l’abbattimento d’asta.

Deduceva, altresì, il D.P. che il fallimento dello stesso era stato dichiarato in data 16 marzo 2006 dal Tribunale di Napoli pur non sussistendone i presupposti, ragion per cui aveva proposto opposizione a detta sentenza, tuttora pendente.

Il giudice delegato, facendo proprie le osservazioni del curatore – che aveva espresso parere sfavorevole all’accoglimento della istanza sul rilievo che il prezzo base era stato ridotto di un quinto, che detto prezzo era sufficiente per soddisfare integralmente i creditori ammessi al passivo e che nessun pregiudizio poteva profilarsi nella specie – con provvedimento in data 7 marzo 2008, comunicato il 17 aprile 2008, respingeva l’istanza.

Detto decreto veniva impugnato dal D.P. con reclamo dinanzi al Tribunale di Napoli, che respingeva, con Decreto del 9.7.2008, depositato il 5.8.2008, l’impugnazione.

Avverso tale provvedimento D.P.S. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. Il Fallimento di Di Palma s.a.s. di Vicedomini Grazia & C, nonchè di V.G. e D. P.S. in proprio, e R.C. hanno resistito con controricorso. D.P.S. ed il menzionato Fallimento hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia nullità del provvedimento impugnato e del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, per difetto di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c. – Violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dei principi di imparzialità e terzietà della magistratura e del principio “tempus regit actum ” (art. 11 preleggi), nonchè del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 25 e del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, artt. 150 e 153.

Deduce il ricorrente che il decreto impugnato è nullo per irregolare composizione del collegio del Tribunale di Napoli, per averne fatto parte i giudice delegato, il cui provvedimento è stato sottoposto a reclamo, della qual cosa il ricorrente sarebbe venuto a conoscenza soltanto in udienza.

La partecipazione del giudice delegato, quale relatore, al collegio del tribunale fallimentare, che decide sui reclami contro provvedimenti del medesimo giudice, ancorchè di natura giurisdizionale, non potrebbe trovare la sua giustificazione nel principio di concentrazione processuale, più volte affermato dalla giurisprudenza, considerato che il giudice delegato, in sede di reclamo avverso suoi provvedimenti, risponde delle sue scelte decisorie ed è impegnato a difenderle.

Deduce, altresì, il ricorrente che il provvedimento sarebbe nullo per violazione della L. Fall., art. 25, nella formulazione attuale, quale risulta dal D.Lgs. n. 5 del 2006, come corretto anche dal successivo D.Lgs. n. 169 del 2007, il quale prevede che”il giudice delegato non può trattare i giudizi che abbia autorizzato, nè può far parte del collegio investito del reclamo proposto contro i suoi atti.”, applicabile nel caso di specie in virtù del principio “tempus regit actum.

Anche se la sentenza dichiarativa di fallimento, nel caso di specie, è stata emessa prima della riforma, la procedura successiva che ne è derivata, il reclamo, essendo del tutto autonoma e distinta dalle fasi precedenti, non potrebbe che essere disciplinata dalla norma vigente al momento della sua instaurazione (26.4.2008) secondo il citato principio tempus regit actum, considerato che ogni fase del processo deve svolgersi secondo la sua legge e lo ius superveniens deve trovare immediata applicazione.

Il ricorso è infondato.

Nonostante il fallimento in estensione del D.P. sia stato dichiarato in data 16 marzo 2006 e, quindi, prima della data del 16 luglio 2006 di entrata in vigore del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, il ricorrente invoca l’applicabilità nel caso di specie, in virtù del principio tempus regit actum, dell’ultimo comma dell’art. 25 di detto decreto, il quale dispone, tra l’altro, che il giudice delegato non può far parte del collegio investito del reclamo proposto contro suoi atti.

Il collegio ritiene che tale tesi non possa essere condivisa, atteso che contrasta con la disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 150, il quale dispone testualmente: “i ricorsi per dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell’entrata in vigore del presente decreto, nonchè le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla stessa data, sono definiti secondo la legge anteriore”.

Siccome la procedura di fallimento del D.P. era già pendente al momento dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo, non può trovare applicazione nel caso in esame la L. Fall., art. 25, nella nuova formulazione, ma la questione sottoposta dal ricorrente all’esame di questa Corte deve essere risolta alla stregua della previgente disciplina.

In applicazione della disciplina previgente questa Corte ha affermato il principio, che il collegio condivide, secondo cui la partecipazione del giudice delegato al collegio del tribunale fallimentare, che decide i reclami contro i provvedimenti del medesimo giudice, prevista dalla L. Fall., art. 25, n. 1, trova ragione nel principio di concentrazione di ogni controversia presso gli organi del fallimento e nella particolare posizione di detto giudice, garante della rapidità delle fasi processuali, per la continuità della sua conoscenza sui fatti, rapporti e situazioni della procedura concorsuale (cfr. in tal senso cass. n. 15493 del 2005 che, tra l’altro, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della relativa previsione sotto il profilo della violazione del principio del “giusto processo”, trattandosi di questione già scrutinata con esito negativo dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 363 del 1998, ed avendo il giudice delle leggi ribadito la propria linea con ordinanza n. 167 del 2001, anche in relazione al nuovo testo dell’part. 111 Cost., come modificato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2.).

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento, a favore di ciascuno dei resistenti, delle spese del giudizio di legittimità, che appare giusto liquidare per ognuno in complessivi Euro 1.500,00 (millecinquecento), di cui Euro 1.300,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, per spese giudiziali, a favore di ciascuno dei resistenti di Euro 1.500,00 (millecinquecento), di cui Euro 1.300,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2010

 

 

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