Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18112 del 24/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2021, (ud. 25/03/2021, dep. 24/06/2021), n.18112

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12991/2015 R.G. proposto da:

ARS Edizioni d’Arte s.r.l. in liquidazione, in persona del

liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

Nomentana n. 91, presso lo studio dell’avv. Giovanni Beatrice,

rappresentata e difesa dall’avv. Francesco D. Pugliese giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

e nei confronti di:

Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Perugia, in persona

del direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Umbria n. 698/04/14, depositata il 17 novembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 marzo 2021

dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 698/04/14 del 17/11/2014 la Commissione tributaria regionale dell’Umbria (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposta dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Perugia (di seguito CTP) n. 186/01/13, che aveva a sua volta accolto il ricorso di ARS Edizioni d’Arte s.r.l. (di seguito Ars) nei confronti di un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2005;

1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR, l’accertamento si fonda sulla utilizzazione, da parte della società contribuente, di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse dalla TLF Edit di T.G.;

1.2. la CTR accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate evidenziando che, a fronte degli elementi indiziari forniti dall’appellate con riferimento all’inesistenza delle operazioni fatturate, Ars non aveva dimostrato l’esistenza del rapporto commerciale con la ditta T.;

2. avverso la sentenza della CTR Ars proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.;

3. l’Agenzia delle entrate resisteva in giudizio depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso Ars deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118disp. att. c.p.c., dell’art. 111 Cost., comma 6, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, evidenziando la motivazione apparente della sentenza impugnata;

2. il motivo è infondato;

2.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (così Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019);

2.2. nel caso di specie, la sentenza della CTR è pienamente idonea a far comprendere l’iter logico-giuridico seguito dai giudici di appello, i quali hanno preso atto dell’esistenza di una serie di elementi indiziari che inducono a ritenere che la ditta T. ha emesso fatture per operazioni oggettivamente inesistenti e, a fronte dell’assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere probatorio posto dalla legge a carico dello stesso, hanno evidenziato che la società contribuente non ha offerto validi elementi di prova al fine di suffragare l’esistenza delle fatture;

2.3. trattasi, in definitiva, di motivazione logicamente consequenziale e niente affatto apparente;

3. con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ribadendo il già contestato difetto di specifici motivi dell’atto di appello erroneamente escluso dalla CTR;

4. il motivo è infondato;

4.1. al di là di ogni possibile questione di autosufficienza del motivo per difetto di trascrizione dell’atto di appello, va osservato, in via generale, che “nel processo tributario la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci” (così da ultimo, Cass. n. 32954 del 20/12/2018);

4.1.1. ciò in ragione del carattere devolutivo pieno dell’appello nel processo tributario, costituente un mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. n. 32838 del 19/12/2018; Cass. n. 30525 del 23/11/2018; Cass. n. 1200 del 22/01/2016), sicchè l’onere di specificità dei motivi può ritenersi assolto anche allorquando l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado (Cass. n. 24641 del 05/10/2018);

4.1.2. del resto, “nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione” (Cass. n. 707 del 15/01/2019);

4.2. nel caso di specie, è la stessa parte ricorrente ad affermare che l’appellante ha riproposto, in contrapposizione a quanto dedotto dal giudice di prime cure, le medesime questioni già proposte in quella sede: ne consegue il rigetto del motivo;

5. con il terzo motivo di ricorso si contesta violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16, e degli artt. 2697 e 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che la CTR avrebbe erroneamente gravato la società contribuente della prova della inesistenza oggettiva delle fatture utilizzate;

5.1. in particolare, l’Ufficio avrebbe fondato il proprio accertamento unicamente sulle contestazioni mosse nei confronti di TLF Edit di T.G., soggetto diverso dal contribuente, senza offrire validi elementi indiziari in ordine alla non veridicità delle fatture e così non assolvendo all’onere probatorio sullo stesso gravante, anche sotto il profilo della buona fede di Ars;

5.2. inoltre, non sarebbe stata considerata la documentazione offerta dal contribuente (contratti scritti, schede provvigionali dell’agente, prova dei pagamenti effettuati dalla contribuente, estratti dei libri contabili), idonea a comprovare l’esistenza del rapporto di intermediazione di libri d’arte;

6. con il quarto motivo di ricorso Ars deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che gli elementi indiziari forniti dall’Agenzia delle entrate non rivestirebbero i caratteri della gravità, precisione e concordanza, sicchè non legittimerebbero l’inversione dell’onere della prova;

7. i due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono in parte infondati e in parte inammissibili;

7.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 (richiamato dal successivo art. 40, per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. c.c., e dell’art. 2697 c.c., comma 2″ (Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 9784 del 23/04/2010);

7.1.1. inoltre, con specifico riferimento all’oggetto del presente giudizio, deve osservarsi che “una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia” (Cass. n. 17619 del 05/07/2018; conf. Cass. n. 27554 del 30/10/2018; si veda anche Cass. n. 25778 del 05/12/2014);

7.2. nel caso di specie, la sentenza di appello ha puntualmente rispettato i superiori principi di diritto;

7.2.1. invero, la sentenza impugnata: a) ha valorizzato gli elementi presuntivi dedotti in sede di avviso di accertamento in ordine alla inesistenza delle operazioni contestate, così ritenendo assolto l’onere probatorio gravante sull’Amministrazione finanziaria; b) ha (implicitamente) ritenuto che, alla luce di tali elementi presuntivi, l’Amministrazione finanziaria abbia assolto all’onere probatorio gravante a sua carico, sicchè la prova della effettiva esistenza delle operazioni grava sul contribuente; c) ha escluso che l’onere probatorio sia stato da quest’ultimo assolto con la documentazione offerta;

7.2.2. la CTR ha, dunque, effettuato la sua legittima valutazione di merito, che resiste a tutte le censure di violazione di legge proposte da Ars, atteso che spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 19547 del 04/08/2017);

7.3. nè può ritenersi che le presunzioni offerte dall’Ufficio non siano gravi, precise e concordanti, inducendo univocamente per la natura di cartiera delle ditte facenti capo a T.G. e, quindi, per la oggettiva inesistenza delle fatture dalle stesse emesse, ivi comprese le sei fatture emesse nell’anno 2005 nei confronti di Ars;

7.3.1. gli indizi addotti dall’Amministrazione finanziaria ai fini dell’accertamento e correttamente valorizzati dalla CTR poggiano su dati di fatto e non su altre presunzioni, per cui non è pertinente il richiamo al c.d. divieto di presunzione su presunzione, che attiene “alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato” (Cass. n. 1023 del 18/01/2008; Cass. n. 10157 del 28/04/2010; Cass. n. 245 del 09/01/2014; Cass. n. 15003 del 16/06/2017);

7.3.2. vale, comunque, la pena di sottolineare – in via generale che il cd. divieto di praesumptio de praesunto “non è previsto dall’ordinamento” in quanto “detto principio (…) non è riconducibile nè all’evocato art. 2727 c.c., nè a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato più volte sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più adeguate presunzioni può legittimamente costituire la premessa per una inferenza presuntiva idonea – in quanto, a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto” (in termini, in motivazione, Cass. n. 18915 del 24/09/2015; in senso conf., sempre in motivazione, Cass. n. 317 del 10/01/2018; Cass. 5402 del 03/03/2017; Cass. n. 17166 del 26/08/2015; Cass. n. 9348 del 08/05/2015; Cass. n. 1289 del 26/01/2015; Cass. n. 19598 del 17/09/2014);

7.4. per il resto, i motivi proposti da Ars tendono ad ottenere una rivalutazione del merito della controversia, rivalutazione non consentita in sede di legittimità, soprattutto con la formulazione di censure di violazione di legge e nell’impossibilità di contestare la semplice insufficienza motivazionale ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014; conf. Cass. n. 21257 del 08/10/2014; Cass. n. 23828 del 20/11/2015; Cass. n. 23940 del 12/10/2017; Cass. n. 22598 del 25/09/2018);

8. in conclusione, il ricorso va rigettato e la società contribuente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo avuto conto di un valore della presente controversia compreso tra Euro 5.200,01 ed Euro 26.000,00;

8.1. poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 2.300,00, oltre alle spese di prenotazione a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2021

 

 

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