Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18108 del 14/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 14/09/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 14/09/2016), n.18108

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14931/2015 proposto da:

L.G., S.M., SE.FA., R.F.,

M.A., B.A., LA.ST., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA IMPERIA 15, presso lo studio dell’avvocato

VINCENZO ASTUTO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato BARBARA LODI giuste procure in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI SAN LAZZARO DI SAVENA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA 42, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI GALOPPI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PAOLO BONETTI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21636/2014 del TRIBUNALE di BOLOGNA del

04/12/2014, depositata il 04/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO;

udito l’Avvocato FRANCESCO ORECCHIA per delega dell’avvocato VINCENZO

ASTUTO, difensore del ricorrente, che si riporta agli scritti;

udito l’Avvocato BARBARA CORBI per delega dell’avvocato GIOVANNI

GALOPPI, difensore del controricorrente, che si riporta agli scritti

e deposita nota spese.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue: Con sentenza n. 21636/2014, depositata il 4 dicembre 2014, non notificata, il Tribunale di Bologna, in accoglimento dell’appello proposto dal Comune di San Lazzaro di Savena, in riforma della decisione resa dal Giudice di Pace di Bologna, che aveva accolto la domanda degli attori in primo grado, dichiarò i medesimi ( Se.Fa., B.A., R.F., L.G., La.St., S.M. ed M.A.), obbligati al pagamento in favore del predetto Comune del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (di seguito COSAP) per gli accessi relativi alle loro autorimesse. La sentenza del Tribunale, muovendo dal presupposto dalla diversità ontologica del COSAP rispetto alla TOSAP (tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche), ritenne che nella fattispecie in esame la richiesta di pagamento del canone trovasse titolo nell’art. 4 bis, del regolamento comunale, che il Giudice di pace, diversamente da quanto da lui fatto, non avrebbe potuto disapplicare. Avverso detta pronuncia le parti private hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso il Comune. I motivi possono essere congiuntamente esaminati, in quanto tra loro strettamente connessi. Giova premettere alla loro disamina che non è controverso in fatto che gli accessi alle autorimesse costituiscano passi carrai a raso, rispetto ai quali non ricorrono opere che evidenzino una qualche sottrazione all’uso pubblico, e per i quali non risulta esservi stata richiesta dell’apposizione di cartello di divieto di sosta e la conseguente instaurazione di rapporto concessorio. Tale accertamento in fatto compiuto dal giudice di primo grado non è stato oggetto di specifica censura da parte del Comune, che aveva, invece, in sede di gravame avverso la sentenza resa dal Giudice di Pace, insistito nella legittimità della propria richiesta di pagamento con riferimento ai passi carrai in oggetto, sulla base della differente natura giuridica del canone rispetto alla tassa per l’occupazione di suolo pubblico, lamentando che la disapplicazione da parte del Giudice di Pace del regolamento comunale ritenuto illegittimo avrebbe costituito violazione del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. b) (c.d. C.P.A.). La pronuncia in questa sede impugnata ha accolto l’appello, ritenendo che la diversità della natura giuridica del canone rispetto alla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche giustificasse la richiesta di pagamento da parte del Comune e che nella fattispecie in esame il Giudice di Pace non avrebbe potuto disapplicare il regolamento comunale ritenuto illegittimo per contrasto con la normativa primaria, venendo in esame “non già un comportamento della Pubblica Amministrazione iure privatorum, bensì la legittimità, o meno dell’esercizio del potere autoritativo della stessa Pubblica Amministrazione”, giustificando tale affermazione con il richiamo alla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, n. 27366 del 24 dicembre 2009). In primo luogo deve ritenersi che sulla questione di competenza, che il Comune di San Lazzaro di Savena aveva riproposto come specifico motivo d’appello dinanzi al Tribunale di Bologna, avendo contestato in primo grado la sussistenza della competenza (per valore) del Giudice di Pace, ritenendo che la causa fosse relativa a beni immobili, per cui avrebbe dovuto essere affermata la competenza del Tribunale, ai sensi dell’art. 9 c.p.c., si è formato il giudicato interno, non essendo stata la pronuncia del Tribunale, che ha pronunciato nel merito quale giudice d’appello sul gravame del comune avverso la sentenza del Giudice di Pace, oggetto di ricorso incidentale condizionato da parte del comune contro ricorrente. I motivi addotti a sostegno del ricorso dei contribuenti sono fondati. Premesso che non è in contestazione la giurisdizione del giudice ordinario in materia, già affermata dalla pronuncia di primo grado proprio in ragione della diversa natura giuridica tra canone e tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche e ribadita più volte dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. ord. 19 agosto 2003, n. 12167; Cass. ord. 28 giugno 2006, n. 14864; Cass. 26 novembre 2008, n. 28161, a seguito di Corte cost. n. 64/2008, e, più di recente, Cass. 28 ottobre 2015, n. 21950), in ragione della natura, quanto al canone, di corrispettivo di una concessione reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), e della natura di tributo quanto alla TOSAP, nondimeno canone e tassa sono basati sul medesimo presupposto di fatto, che è dato dall’occupazione, per quanto qui rileva, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, come desumibile dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 1, ove posto a confronto con il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 38, comma 1, la cui violazione, unitamente al disposto del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 46, comma 3, e del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 44, (da ritenersi ancora in vita, secondo quanto osservato dal richiamato precedente di questa Corte, Cass. n. 18557/2003 in tema di TOSAP, “per la sua parte costitutiva o definitoria dell’accesso a filo con il manto stradale”) i ricorrenti hanno denunciato con il primo motivo. Tale identità di presupposto di fatto, secondo il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 1, fa sì che i comuni possano legittimamente richiedere il canone, esercitando in materia la potestà regolamentare prevista dalla citata norma in relazione all’art. 52 dello stesso decreto, “in sostituzione” della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche; canone che si porrà quindi come corrispettivo determinato nell’atto di concessione in base a tariffa, o determinato sul presupposto della rilevata occupazione abusiva (concessione fittizia). Questa stessa Corte ha già avuto modo di rilevare l’identità del presupposto di fatto, di modo che occorre pur sempre, ai fini della legittimità della richiesta del canone, che sia in atto da parte del singolo un’utilizzazione della superficie che ne comporti un’effettiva sottrazione all’uso pubblico (cfr. Cass. sez. 5, 6 agosto 2009, n. 18037; Cass. sez. 1, 28 aprile 2006, n. 9868). D’altronde è dato rilevare come lo stesso Comune, secondo quanto riportato in ricorso, abbia, nel negare il richiesto provvedimento di sgravio, evidenziato che il canone, pur non avendo carattere tributario, ha pur sempre come presupposto “la sottrazione di uso pubblico all’uso della collettività”, ciò che la sentenza di primo grado aveva nella fattispecie escluso con accertamento in fatto non oggetto di specifica censura da parte del Comune con l’atto di appello. A ciò consegue anche la fondatezza del secondo motivo, con il quale i ricorrenti hanno denunciato, oltre che la violazione o falsa applicazione delle norme già indicate nel primo motivo, anche quella della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E, e dell’art. 101 Cost., comma 2, e art. 113 Cost., censurando l’erroneità in diritto della pronuncia impugnata nella parte in cui ha escluso il potere del giudice ordinario di disapplicare la disposizione regolamentare comunale ritenuta illegittima per contrasto con la norma primaria di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 1. Posto che nella fattispecie in esame la controversia, appartenente alla giurisdizione del giudice ordinario, ha ad oggetto l’azione di accertamento negativo introdotta dagli attori relativamente al diritto di credito vantato dal Comune per canone per l’occupazione di aree e spazi pubblici, nell’ambito della quale espressamente gli attori assumono di aver chiesto la disapplicazione della norma regolamentare in quanto illegittima, correttamente il Giudice di Pace adito avrebbe esercitato, in via incidentale, il proprio potere di disapplicazione, L. 20 marzo 1865, n. 2248, ex art. 5, all. E, del regolamento locale ritenuto illegittimo per contrasto con la richiamata norma primaria (si veda in proposito, Cass. sez. unite 18 dicembre 2002, n. 18052, se pur con riferimento al c.d. canone ricognitorio o ricognitivo di passo carraio di cui al R.D. n. 1740 del 1933, art. 8, quanto alla disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo che si assumeva emesso in carenza di potere). La norma regolamentare, succitata, approvata con delibera del Consiglio comunale n. 8 del 22 febbraio 2011, nella parte in cui, assoggettando al canone i passi carrabili a raso nell’importo di Euro 100,00 al metro lineare, sul presupposto che sussista comunque un’occupazione parametrata alla stessa ampiezza del varco carrabile misurata sul confine della proprietà privata per la profondità di un metro convenzionale, amplia la sfera del presupposto di fatto richiesto dalla norma primaria per l’assoggettamento al canone. La decisione di questa Corte (Cass. sez. unite 24 dicembre 2009, n. 27366), richiamata dal Tribunale a sostegno della decisione assunta, appare, invero, del tutto inconferente con la fattispecie in esame, essendo stata resa in fattispecie dove la questione, che involgeva la richiesta di disapplicazione dell’atto amministrativo ritenuto illegittimo (delibera di declassamento da uso pubblico ad uso privato di strada vicinale) era inerente a materia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Tali conclusioni, di cui alla relazione depositata, resistono alle osservazioni critiche quali esposte nella memoria depositata in atti dal Comune controricorrente. L’esclusione, nella fattispecie de qua, del potere di disapplicazione da parte del giudice ordinario, è, infatti, argomentata ancora una volta dall’ente controricorrente con riferimento a pronunce di questa Corte che attengono a fattispecie relative a controversie per le quali era sussistente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (come, ad esempio, nel caso deciso da Cass. sez. unite 6 febbraio 2015, n. 2244), laddove, come si è detto, la presente controversia verte in tema di azione di accertamento negativo, appartenente alla giurisdizione del giudice ordinario (da ultimo cfr. Cass. sez. unite 7 gennaio 2016, n. 61), introdotta dagli attori relativamente al diritto di credito vantato dal Comune per canone per l’occupazione di aree e spazi pubblici. Il regolamento comunale su cui detta pretesa è fondata, del quale gli attori assumono l’illegittimità, poichè avrebbe ecceduto i limiti della sua natura di regolamento attuativo del potere così come attribuito dalla legge in materia all’ente locale, viene ugualmente a porsi come antecedente logico della pretesa creditoria del Comune (cfr., quanto all’esercizio del potere di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E, relativamente all’accertamento di situazioni giuridiche soggettive devolute alla cognizione del giudice ordinario, Cass. sez. unite 5 giugno 2014, n. 12644). Il ricorso può, dunque, essere accolto per manifesta fondatezza e la sentenza impugnata cassata con rinvio al Tribunale di Bologna in composizione monocratica, che, nell’attenersi al principio di diritto sopra affermato, verificherà anche se, come riportato dai ricorrenti in ricorso, l’istanza di disapplicazione della norma del regolamento comunale ritenuta illegittima sia stata espressamente formulata dagli attori nelle conclusioni così come esposte nell’atto introduttivo del giudizio dinanzi al Giudice di pace, ciò che è stato contestato dal Comune, che aveva lamentato il vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Bologna quale giudice d’appello in composizione monocratica, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2016

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