Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18104 del 31/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 31/08/2020, (ud. 16/06/2020, dep. 31/08/2020), n.18104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15831-2019 proposto da:

T.N., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 109,

presso lo studio dell’avvocato DONATO MONDELLI, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati SANDRA ANTICO, NICOLA CERA;

– ricorrente –

contro

ALLEANZA ASSICURAZIONI SPA, in persona del Procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI 36,

presso lo studio dell’avvocato SILVIA TRITTO, rappresentata e difesa

dagli avvocati SILVIA CLEMENZI, GIULIA SALAMI;

– controricorrente –

contro

M.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3172/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 21/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA

GORGONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

T.N. ricorre per la cassazione della sentenza n. 3172/2018 della Corte d’Appello di Venezia, pubblicata il 21 novembre 2018, articolando tre motivi, corredati da memoria.

Resiste con controricorso Alleanza Assicurazioni S.p.a..

La ricorrente espone in fatto di aver convenuto in giudizio Alleanza Toro S.p.A. e la sua agenzia di San Giovanni Lupatoto (VR) al fine di sentirle condannare anche in solido, ai sensi dell’art. 2049 c.c. al pagamento della somma di Euro 23.000,00 – somma che avrebbe dovuto essere investita in strumenti finanziari con rendimento garantito del 4,88% su Euro 14.500,00 e del 4,83% annuo su Euro 5.500,00 oltre ad Euro 3.000,00 con rendimento trimestrale pari ad Euro 90,00 – al netto di rivalutazione ed interessi, oltre che al pagamento delle spese di lite.

La ricorrente assume di essere stata cliente di Alleanza Assicurazioni, già Alleanza Toro S.p.A., sin dal 1996 e, in particolare, di avere intrattenuto rapporti contrattuali con M.G., che aveva sempre svolto per conto di Alleanza funzioni di agente, dipendente, consulente e collaboratore, recandosi presso la sua abitazione, al fine di verificare l’andamento delle polizze, proporle adeguamenti e nuovi prodotti, riscuotere premi.

Dalla fine del 2002 al luglio 2008, la ricorrente acquistava prodotti finanziari di Alleanza Assicurazioni, sottoscrivendo moduli riportanti l’intestazione e il marchio di Alleanza Assicurazione e versando, in contanti, nelle mani di M.G., la somma complessiva di Euro 23.000,00.

Nell’agosto del 2009 C.A., ispettore di Alleanza Assicurazioni, si recava presso la sua abitazione al fine di verificare i rapporti seguiti da M.G., rappresentandole che si erano verificate talune irregolarità.

La ricorrente apprendeva, in seguito, dall’Agenzia di San Giovanni Lupatoto che gli investimenti convenuti con M.G. non risultavano eseguiti.

Fallito ogni tentativo di composizione stragiudiziale, la ricorrente citava in giudizio Alleanza Assicurazioni, dinanzi al Tribunale di Verona.

La convenuta contestava le richieste attoree e chiamava in giudizio M.G. che restava contumace.

Il Tribunale di Verona, con sentenza n. 1882/2014, rigettava la domanda di T.N., compensava le spese di lite, dichiarava assorbita la domanda di manleva.

La Corte d’Appello di Venezia, investita del gravame dall’odierna ricorrente, con la sentenza qui impugnata, confermava integralmente la decisione di prime cure e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del secondo grado di giudizio.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce “Vizio ex art. 360 c.p.c., n. 4: nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in merito alla errata ritenuta natura contrattuale della causa instaurata”.

L’errore imputato alla sentenza gravata è quello di aver qualificato come contrattuale il titolo di responsabilità della convenuta, nonostante sin dall’atto di citazione, allegato al ricorso al punto n. 15, e in tutti gli atti di primo e di secondo grado (allegato n. 16, punto 1, pp. 3-11 atto di citazione in appello) fosse sempre stata invocata l’applicazione dell’art. 2049 c.c..

2. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza gravata per “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3): erronea mancata applicazione della norma di cui all’art. 2049 c.c.; sulla sussistenza di tutti i presupposti per l’accertamento della responsabilità di Alleanza e per la condanna della stessa al risarcimento dei danni a favore dell’attrice”.

La tesi della ricorrente è che la Corte abbia erroneamente fondato la propria decisione sulla mancata prova dell’esistenza di un contratto, del tutto irrilevante ai fini della responsabilità ex art. 2049 c.c..

3. Con il terzo motivo la ricorrente chiede a questa Corte di decidere nel merito o proseguire il giudizio con rinvio, stante il riconoscimento da parte di M.G. di averle sottratto Euro 23.000,00, come emerge dalla sentenza del Tribunale di Verona, sezione penale, n. 2306/2015, allegata al ricorso.

4. Il ricorso è inammissibile.

La ricorrente non ha impugnato la parte della sentenza che ha reputato mancante la prova del versamento del capitale in contanti a M.G..

Tale statuizione è passata in giudicato e rende del tutto inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente oggetto della doglianza, in quanto, stante l’intervenuta definitività delle altre, anche il loro eventuale accoglimento non potrebbe in alcun modo condurre alla cassazione della sentenza impegnata.

La stessa ricorrente riconosce, del resto, che il comportamento integrante la responsabilità ex art. 2049 c.c., pur prescindendo dall’esistenza della stipula di un valido contratto di assicurazione, avrebbe richiesto che il soggetto presentatosi come collaboratore della preponente, avendone speso il nome, facendo sottoscrivere moduli di pagamento, provvedesse ad incassare i premi e non girasse questi ultimi alla Compagnia, trattenendoseli (p. 12 del ricorso).

Va ricordato che il cliente, al fine di ottenere la condanna della società preponente per il fatto illecito posto in essere dal preposto, consistito nell’appropriazione di somme consegnategli dal primo, è tenuto a dimostrare di avere effettivamente affidato il proprio denaro per l’effettuazione di attività rientranti anche apparentemente, secondo un criterio di normale affidamento in buona fede, nel campo di operatività del rapporto tra preponente e preposto (Cass. 26/06/2019, n. 17060; Cass. 25/01/2011, n. 1741; Cass. 24/03/2011, n. 6829).

Nel caso di specie, assume carattere assorbente, al fine di mandare esente da responsabilità la società preponente, la ritenuta carenza di prova circa l’effettivo affidamento da parte della ricorrente delle somme reclamate per la stipulazione da parte del procacciatore dei contratti di investimento convenuti.

Una volta negata la dimostrazione dell’affidamento incolpevole di somme da parte dell’investitrice a M.G. è superfluo tanto verificare se vi fossero i presupposti per ritenere responsabile la resistente ai sensi dell’art. 2049 c.c. quanto accertare se essa, con il proprio comportamento colpevole, avesse ingenerato nella cliente investitrice il legittimo affidamento circa il fatto che M.G. avesse agito nell’interesse della ricorrente.

Con la memoria depositata in vista dell’odierna Camera di Consiglio la ricorrente contesta tale conclusione, insistendo sul fatto che la Corte d’Appello non avrebbe ritenuto sprovvisto di prova il versamento di denaro contante a M.G., ma avrebbe reputato non provato il quantum. Tale argomento si fonda su quanto la pronuncia afferma a p. 5, “non è possibile misconoscere che non vi è prova (…) dei singoli versamenti in contanti per la concorrenza di Euro 23.000 che avrebbero dovuto costituirne la provvista in conto capitale”. La ricorrente omette di considerare, però, quanto statuito a p. 6 e precisamente che, nel confermare la sentenza di prime cure, la Corte d’Appello ha giudicato definitivamente mancante “la prova del versamento del capitale al procacciatore”. Nè può assumere rilievo contrario l’aver sostenuto che le somme fossero state “verosimilmente intascate dal M.”, perchè il significato di tale affermazione è da mettere in relazione con il giudizio negativo e definitivo circa il fatto che la ricorrente non avesse provato di aver consegnato a M.G. le somme, complessivamente Euro 23.000,00, che questi avrebbe dovuto investire secondo quanto convenuto.

In aggiunta, va chiarito che la sentenza penale del Tribunale di Verona, n. 2306/2015 del 22 ottobre 2015 dalla quale si sarebbe dovuto evincere che M.G. aveva riconosciuto di avere sottratto delle somme anche alla odierna ricorrente non spiega nella controversia per cui è causa l’effetto preteso, non precludendo al giudice civile di procedere ad un autonomo accertamento con una diversa ricostruzione dell’episodio, trattandosi di una sentenza di primo grado verosimilmente ancora soggetta agli ordinari mezzi di impugnazione.

5.Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

 

 

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