Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18103 del 04/08/2010

Cassazione civile sez. I, 04/08/2010, (ud. 23/02/2010, dep. 04/08/2010), n.18103

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.R. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE BASTIONI DI MICHELANGELO 5/A, presso

l’avvocato DIURNI VINCENZO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato PIACENTINO GIORGIO, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO TORINO CALCIO S.P.A. IN LIQUIDAZIONE (C.F. (OMISSIS)),

in persona del Curatore Prof. C.P.A., elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BISSOLATI 76, presso l’avvocato GIOVANNETTI

ALESSANDRA, rappresentato e difeso dall’avvocato LATINI SERENA,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

TORINO CALCIO S.P.A., C.G.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 587/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 12/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato GIOVANNETTI ALESSANDRA,

per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con citazione del 12 gennaio 1995, la s.p.a. Torino Calcio convenne dinanzi al Tribunale dì Torino il notaio G.R., esponendo, tra l’altro, che il convenuto – il quale aveva rivestito la carica di presidente del consiglio di amministrazione della Società nel periodo dal 3 marzo 1993 all’11 aprile 1994 -: a) si era reso responsabile di gravi e continui episodi di mala gestio e di vari reati (bancarotta fraudolenta, false comunicazioni sociali ed illegale ripartizione di utili e di acconti sui dividendi, appropriazione indebita aggravata e continuata, evasione fiscale), per i quali era stato condannato, con sentenza emessa per applicazione della pena su richiesta, alla pena della reclusione di un anno e sette mesi; b) aveva omesso di promuovere l’azione di responsabilità nei confronti del precedente amministratore, ing. B.G. – resosi a sua volta responsabile di vari illeciti in danno della Società -, e di esercitare adeguata vigilanza sull’amministratore delegato, R.G..

Tanto esposto, la Società chiese, tra l’altro, che il convenuto fosse condannato al risarcimento dei danni cagionati all’attrice.

Costituitosi, il G., nel resistere alla domanda ed in particolare alla dedotta responsabilità per le violazioni fiscali addebitategli, chiamò in garanzia il presidente del consiglio di amministrazione in carica, C.G.M., il quale, costituitosi, resistette alla domanda di manleva.

Il Tribunale adito, disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio di natura contabile, con la sentenza n. 2485/02 del 18 marzo 2002, condannò il G. al risarcimento dei danni, liquidandoli in Euro 2.197.333,86, oltre interessi legali, e respinse la domanda di manleva proposta nei confronti del C.G.M..

2. – A seguito di appello principale del G. ed incidentale della Società Torino Calcio, la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 587/05 del 12 aprile 2005, respinse l’appello principale, accolse in parte l’appello incidentale e, in parziale riforma della sentenza impugnata – che per il resto confermò -, condannò il G. all’ulteriore risarcimento di Euro 7.147,59, comprensiva di rivalutazione ed interessi, ®a titolo di risarcimento danni per le violazioni fiscali riguardanti la dichiarazione sostituti d’imposta esercizio 1993, oltre interessi legali dal 12/3/2002 al saldo”.

Per quanto in questa sede ancora rileva, La Corte ha motivato come segue, A) Quanto alla cosiddetta “vicenda M.”, i Giudici a quibus hanno innanzitutto richiamato la sentenza di primo grado, con la quale era stato accertato che: – il G., in occasione della vendita del calciatore M. dal Torino alla Lazio, aveva riscosso dalla società acquirente la somma di L. 2.400.000.000 “in nero”; – a tale somma, costituente credito della Società Torino Calcio, non potevano essere opposte in compensazione le somme versate dal G. nelle casse sociali – pari a L. 1.921.000.000, di cui:

L. 921.000.000, già versate entro il 30 giugno 1993, e due versamenti di L. 500.000.000 ciascuno nelle date del 30 luglio e 2 agosto 1993 -, sia perchè lo stesso G. aveva dichiarato che detti versamenti erano stati effettuati “in conto aumento capitale”, e quindi non restituibili, sia perchè il G. medesimo, in sede di trattative per la cessione del suo pacchetto di partecipazione di maggioranza alla Società Torino Calcio, aveva fatto espressa rinuncia a detti crediti.

Ciò richiamato, i Giudici a quibus hanno dichiarato inammissibile, per genericità, il primo motivo d’appello formulato dal G., perchè questi: 1) non aveva specificamente censurato la ratio decidendi della sentenza di primo grado, laddove aveva ritenuto che la prova dell’avvenuto risarcimento del danno non poteva essere desunta de plano dalla su ricordata sentenza penale di “patteggiamento”, con la quale era stata riconosciuta al G. la circostanza attenuante comune di cui all’art. 62 c.p., n. 6; 2) non aveva fornito alcuna prova del versamento nelle casse sociali della somma di L. 921.000.000, non essendo peraltro d’ausilio, al riguardo, la consulenza tecnica contabile; 3) non aveva specificamente contestato che la somma di L. 1.000.000.000 (di cui ai due predetti versamenti di L. 500.000.000 cadauno) aveva natura di “erogazione infruttifera in conto aumento capitale”, ed inoltre non aveva specificamente censurato la ratio decidendi della sentenza di primo grado, con la quale era stato affermato che il G. non aveva riproposto, in sede di precisazione delle conclusioni definitive, il capitolo di prova orale volto a collegare il predetto duplice versamento alla prima rata di versamento in conto aumento capitale per oltre L. 6.000.000.000 richieste dalla F.I.G.C. per consentire l’iscrizione del Torino al campionato di serie A; 4) non aveva specificamente censurato l’autonoma ratio decidendi del Tribunale, per la quale il G., in sede di trattative con i Fallimenti di due Società del Gruppo Bersano, aveva rinunciato al dedotto credito di L. 1.921.000.000, senza alcun riferimento al controcredito societario di L. 2.400.000.000 concernente l’appropriazione della corrispondente somma dallo stesso incassata in occasione della vendita del calciatore M..

B) Quanto al secondo motivo d’appello – con il quale si lamentava la liquidazione d’ufficio, anzichè ad istanza di parte, di rivalutazione ed interessi compensativi -, i Giudici a quibus hanno ritenuto infondato tale motivo, sia perchè la Società, nel chiedere la condanna del convenuto al risarcimento dei danni in misura specificamente indicata, aveva aggiunto “oltre ai danni ulteriori da determinarsi, se del caso, in via d’equità”, sia perchè, trattandosi di debito di valore, rivalutazione monetaria ed interessi potevano essere riconosciuti anche d’ufficio, quali componenti del petitum della domanda risarcitoria.

C) Quanto al terzo motivo d’appello – con il quale il G. aveva censurato la decisione di primo grado, nella parte in cui aveva dichiarato la responsabilità dello stesso per le violazioni di natura fiscale, senza la previa instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’amministratore delegato della Società, R. G., cui dette violazioni erano imputabili -, i Giudici a quibus hanno preliminarmente osservato che il motivo, come formulato, non costituisce vera e propria censura, ed hanno ritenuto che, comunque, l’amministratore delegato, in quanto soggetto all’obbligatoria vigilanza del presidente del consiglio di amministrazione, deve considerarsi obbligato in solido con questo, con conseguente inapplicabilità della disciplina del litisconsorzio necessario, senza considerare che, in ogni caso, il G., ove interessato, avrebbe potuto chiamare in causa detto amministratore delegato.

D) Quanto all’appello incidentale della Società Torino Calcio, i Giudici a quibus hanno accolto in parte soltanto il quarto motivo, con il quale si deduceva l’omessa pronuncia in ordine alle “irregolarità compiute dall’appellante in relazione alla dichiarazione sostituti d’imposta esercizio 1993 evidenziate dal CTU”: al riguardo, hanno richiamato la relazione del consulente tecnico d’ufficio, da cui risulta che i Giudici di primo grado avevano omesso di includere nell’elenco degli importi addebitati al G. “quello relativo alle imposte e sanzioni per complessive L. 12.611.000″ riferite alla dichiarazione dei sostituti d’imposta esercizio 1993: e ciò nonostante la sicura addebitabilità al G. accertata dal CTU …”.

E) Quanto al regolamento delle spese del grado, i Giudici a quibus hanno affermato: “Attesa l’infondatezza dell’appello e l’esito finale della lite, il soccombente G. va condannato, in applicazione del principio di cui all’art. 91 c.p.c. alla rifusione per intero, a favore sia della s.p.a. Torino Calcio che del C.G.M., anche delle spese del presente grado …”.

3. – Avverso tale sentenza G.R. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo sette motivi di censura.

Resiste, con controricorso illustrato da memoria, il Fallimento della s.p.a. Torino Calcio in liquidazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – In via preliminare, il Fallimento controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso in limine, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè il ricorrente non ha richiamato alcuna disposizione normativa a sostegno dei diversi motivi di impugnazione che, anche per tale ragione, risultano difficilmente intellegibili.

2. – Con il primo (con cui deduce: “Con il primo motivo si evidenzia la violazione di legge processuale – gratuità assoluta della motivazione in contrasto con le risultanze processuali su un punto preliminare e a più effetti essenziale per la risoluzione della controversia nella parte determinativa dell’entità del danno risarcendo – assunto di mancata prova in ordine al versamento nelle casse sociali di L. 921.000.000: cfr. pag. 12 sentenza Corte d’Appello”), con il secondo (con cui deduce: “Come secondo motivo di ricorso si deduce la violazione di legge errata interpretazione della legge palese ed oggettivo contrasto della motivazione con le risultanze processuali e consequenziale omessa e/o insufficiente motivazione su un punto essenziale della controversia correlativo alla asserita insussistenza del diritto del G. a ripetere le somme versate in conto aumento capitale con consequenziale irrilevanza della rinuncia a conseguirne la restituzione in quanto non spettante”) e con il terzo motivo (con cui deduce: “Come terzo motivo di ricorso si evidenzia la violazione di legge sostanziale – processuale, omessa e/o insufficiente e parte contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in tema di entità della somma che il G. doveva/deve essere condannato a restituire”) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro connessione -, il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello: a) hanno immotivatamente ritenuto insussistente la prova del versamento nella casse sociali della somma di L. 921.000.000, versamento che, invece, risulterebbe dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio nominato nel giudizio di primo grado; b) hanno affermato la non restituibilità della somma di L. 1.921.000.000, imputando il corrispondente versamento a futuro aumento di capitale, senza considerare la decisiva circostanza che egli, a seguito del sequestro del pacchetto azionario di maggioranza da lui posseduto, non ha potuto chiedere al giudice la fissazione di un termine per la restituzione; c) hanno omesso di considerare che il capo di pronuncia di primo grado effettivamente impugnato concerneva non già l’entità della somma da restituire alla Società (L. 2.400.000.000), bensì l’inefficacia della rinuncia alla restituzione, da parte della Società, della somma di L. 1.921.000.000.

Il Fallimento controricorrente eccepisce l’inammissibilità di tutti tali motivi: il primo, perchè investe una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità; il secondo, sia perchè il ricorrente non ha impugnato la sentenza d’appello, nella parte in cui, analogamente alla sentenza dì primo grado, ha affermato che i versamenti in conto futuro aumento di capitale non possono formare oggetto di restituzione da parte della società in favore del socio, sia perchè l’oggetto del motivo investe una quaestio facti e deve comunque considerarsi “nuovo”, non avendo il ricorrente indicato se, quando e dove esso è stato dedotto; il terzo, perchè dedotto in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non potendosi dal suo contenuto ricostruire compiutamente la vicenda processuale.

Con il quarto motivo (con cui deduce: “Come quarto motivo si denunzia il vizio di violazione di legge e/o errata e/o insufficiente motivazione correlativa alla applicazione – riconoscimento d’ufficio sia della rivalutazione che, soprattutto, degli interessi compensativi”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello avrebbero erroneamente interpretato l’espressione danni ulteriori, come emergerebbe dal contenuto degli scritti difensivi di ambedue le parti depositati in entrambi i gradi del giudizio, comprendendo altresì in detta espressione anche gli interessi compensativi.

Il Fallimento controricorrente eccepisce l’inammissibilità anche di tale motivo, in quanto l’interpretazione della domanda operata dal giudice del merito, se sorretta da adeguata motivazione – come nella specie -, si sottrae al sindacato di legittimità.

Con il quinto motivo (con cui deduce: “Come quinto motivo di ricorso si evidenzia la violazione di legge anche processuale ed insufficiente motivazione in cui è incorso il giudice drappello escludendo che l’evocazione in giudizio del G. quale amministratore della società per violazione di natura fiscale …

potesse intervenire solo nel contesto di litisconsorzio necessario con gli altri membri del consiglio d’amministrazione e soprattutto dell’amministratore delegato”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che, seguendo la decisione impugnata, al G. sarebbe imputata una responsabilità Soggettiva”, mentre delle violazioni di natura fiscale dovrebbe rispondere collegialmente tutto il consiglio di amministrazione. Il ricorrente aggiunge: “Mero dovere di difesa hanno imposto la deduzione di questo motivo di doglianza, cui si accompagna la omessa proposizione di ricorso avverso la reiezione della domanda di manleva parziale formulata nei confronti del C.G.”.

Con il sesto motivo (con cui deduce: “In tema di appello incidentale accolto su un solo punto dalla Corte d’Appello”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che l’affermata responsabilità del G. per la violazione fiscale de qua è priva di motivazione.

Con il settimo motivo (con cui deduce: “Come ultimo motivo di ricorso si evidenzia l’assoluta incongruenza anche per violazione di legge della condanna del G. all’integrale ristoro delle spese del giudizio d’appello”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che i Giudici dell’appello lo avrebbero arbitrariamente condannato al rimborso integrale delle spese del grado anche in favore della Società Torino Calcio, senza considerare che questa era rimasta quasi totalmente soccombente a seguito della reiezione di tre -e, parzialmente, anche del quarto – dei quattro motivi di appello incidentale.

3. – Il ricorso non merita accoglimento.

3.1. – L’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso – sollevata dal Fallimento controricorrente ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo il ricorrente richiamato alcuna disposizione normativa a sostegno dei diversi motivi di impugnazione che, anche per tale ragione, risultano difficilmente intellegibili – è infondata, sia perchè il ricorso, nella parte concernente “Fatto e vicende processuali”, contiene una sufficiente descrizione sia della fattispecie sia dello svolgimento del processo, alla luce della quale i motivi di censura risultano agevolmente comprensibili, sia perchè la mera omissione dell'”indicazione delle norme di diritto su cui si fondano” tali motivi non costituisce, di per se sola, ragione di inammissibilità del ricorso, allorchè, come nella specie, le ragioni giuridiche della doglianza e le relative norme di riferimento siano desumibili dall’insieme degli argomenti addotti dal ricorrente (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 1606 del 2005 e 526 del 2006).

3.2. – I primi tre motivi del ricorso sono inammissibili, perchè con essi il ricorrente non censura specificamente la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Infatti, con riferimento alla cosiddetta “vicenda M.” ed alla relativa decisione di primo grado, i Giudici a quibus hanno dichiarato inammissibile, per genericità, il primo motivo d’appello formulato dal G., perchè questi: 2) non aveva specificamente censurato la ratio decidendi della sentenza di primo grado, laddove aveva ritenuto che la prova dell’avvenuto risarcimento del danno non poteva essere desunta de plano dalla su ricordata sentenza penale di “patteggiamento”, con la quale era stata riconosciuta al G. la circostanza attenuante comune di cui all’art. 62 c.p., n. 6; 2) non aveva fornito alcuna prova del versamento nelle casse sociali della somma di L. 921.000.000, non essendo peraltro d’ausilio, al riguardo, la consulenza tecnica contabile; 3) non aveva specificamente contestato che la somma di L. 1.000.000.000 (di cui ai due predetti versamenti di L. 500.000.000 cadauno) aveva natura di “erogazione infruttifera in conto aumento capitale”, ed inoltre non aveva specificamente censurato la ratio decidendi della sentenza di primo grado, con la quale era stato affermato che il G. non aveva riproposto, in sede di precisazione delle conclusioni definitive, il capitolo di prova orale volto a collegare il duplice versamento alla prima rata di versamento in conto aumento capitale per oltre 1,6.000.000.000 richieste dalla F.I.G.C. per consentire l’iscrizione del Torino al campionato di serie A; 4) non aveva specificamente censurato l’autonoma ratio decidendi del Tribunale, per la quale il G., in sede di trattative con i Fallimenti di due Società del Gruppo Bersano, aveva rinunciato al dedotto credito di L. 1.921.000.000, senza alcun riferimento al controcredito societario di L. 2.400.000.000 concernente l’appropriazione della corrispondente somma dallo stesso incassata in occasione della vendita del calciatore M..

Orbene, a fronte di tale specifica ratio decidendi di inammissibilità del primo motivo d’appello – supportata da motivazioni chiare, precise e minuziose -, il ricorrente non censura tale ratio.

In particolare infatti, con la censura dianzi riassunta al n. 2, sub a), il ricorrente – limitandosi a dedurre che i Giudici a quibus hanno ritenuto, senza motivare al riguardo, insussistente la prova del versamento nelle casse sociali della somma di L. 921.000.000 (versamento risultante, invece, dalla relazione del consulente tecnico d’ufficio nominato nel giudizio di primo grado) -, da un lato, non considera che la Corte torinese ha specificamente affermato che per la prova del versamento nelle casse sociali della somma di L. 921.000.000 non era “d’ausilio … la consulenza tecnica contabile” e, dall’altro, introduce comunque una critica che mira ad una nuova e diversa valutazione di elementi probatori già effettuata dalla Corte d’appello, valutazione inammissibile in questa sede.

Con la censura dianzi riassunta al n. 2, sub b), poi, il ricorrente – limitandosi a dedurre che i Giudici a quibus hanno affermato la non restituibilità della somma di L. 1.921.000.000 ed hanno imputato il corrispondente versamento a futuro aumento di capitale, senza considerare la decisiva circostanza che egli, a seguito del sequestro del pacchetto azionario di maggioranza da lui posseduto, non ha potuto chiedere al giudice la fissazione di un termine per la restituzione – non critica l’affermazione della Corte torinese circa la non restituibilità del versamento a futuro aumento di capitale, ed anzi introduce una “nuova” deduzione che tale restituibilità, invece, presuppone.

Con la censura dianzi riassunta al n. 2, sub c), infine, il ricorrente – dolendosi che i Giudici a quibus hanno omesso di considerare che il capo di pronuncia di primo grado effettivamente impugnato concerneva non già l’entità della somma da restituire alla Società (L. 2.400.000.000), bensì l’inefficacia della propria rinuncia alla restituzione della somma di L. 1.921.000.000 – formula una critica estremamente generica, perchè non precisa, riportandole testualmente, le deduzioni formulate in primo grado e nel giudizio d’appello, idonee ad evidenziare il denunciato “fraintendimento” della Corte torinese.

3.3. – Il quarto motivo del ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Con esso, il ricorrente sostiene che i Giudici dell’appello avrebbero erroneamente interpretato l’espressione “danni ulteriori”, come emergerebbe dal contenuto degli scritti difensivi di ambedue le parti depositati in entrambi i gradi del giudizio, comprendendo altresì in detta espressione anche gli interessi compensativi.

La Corte torinese ha rilevato che la Società, nel chiedere la condanna del convenuto al risarcimento dei danni in una misura specificamente indicata, aveva aggiunto “oltre ai danni ulteriori da determinarsi, se del caso, in via d’equità”, ha interpretato tale domanda ed ha comunque ritenuto che, trattandosi di debito di valore, rivalutazione monetaria ed interessi potevano essere riconosciuti anche d’ufficio, quali componenti del petitum della domanda risarcitoria.

Orbene, il motivo in esame è inammissibile, nella misura in cui censura l’interpretazione e la qualificazione della domanda effettuata dai Giudici a quibus con motivazione adeguata, e comunque infondato sulla base del costante orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, secondo cui la rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell’obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d’ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell’originario petitum della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 20943 del 2009).

3.4. – Il quinto motivo del ricorso è inammissibile, sia perchè non censura tutte le autonome rationes decidendi argomentate dai Giudici a quibus, sia perchè formula espressamente tale motivo, affermando che “Mero dovere di difesa ha imposto la deduzione di questo motivo di doglianza, cui si accompagna la omessa proposizione di ricorso avverso la reiezione della domanda di manleva parziale formulata nei confronti del C.G.M.”, così mostrando la carenza sostanziale di interesse all’impugnazione, la quale, peraltro, risulta anche argomentata in modo perplesso.

Quanto alla prima ragione di inammissibilità, in particolare, esaminando il motivo d’appello – con il quale il G. aveva censurato la decisione di primo grado, nella parte in cui aveva dichiarato la responsabilità dello stesso per le violazioni di natura fiscale, senza la previa instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’amministratore delegato della Società, R. G., cui dette violazioni erano imputabili -, la Corte torinese:

1) ha preliminarmente osservato che il motivo, come formulato, non costituisce vera e propria censura; 2) ha ritenuto che, comunque, l’amministratore delegato, in quanto soggetto all’obbligatoria vigilanza del presidente del consiglio di amministrazione, deve considerarsi obbligato in solido con questo, con conseguente inapplicabilità della disciplina del litisconsorzio necessario; 3) ha affermato che, in ogni caso, il G., ove interessato, avrebbe potuto chiamare in causa detto amministratore delegato.

Orbene, a fronte di tale articolata motivazione, il ricorrente sostiene in definitiva che, seguendo la decisione impugnata, al G. sarebbe imputata una responsabilità per fatto altrui, mentre delle violazioni di natura fiscale dovrebbe rispondere collegialmente tutto il consiglio di amministrazione.

E’, dunque, evidente l’inammissibilità del motivo per tutte le ragioni dianzi esposte.

3.5. – Il sesto motivo del ricorso è infondato.

I Giudici a quibus hanno accolto soltanto in parte il quarto motivo dell’appello incidentale proposto dalla s.p.a. Torino Calcio – con il quale si deduceva l’omessa pronuncia dei Giudici di primo grado in ordine alle “irregolarità compiute dall’appellante in relazione alla dichiarazione sostituti d’imposta esercizio 1993 evidenziate dal CTU” – richiamando al riguardo la relazione del consulente tecnico d’ufficio, da cui risulta che i Giudici di primo grado avevano omesso di includere nell’elenco degli importi addebitati al G. “quello relativo alle imposte e sanzioni per complessive L. 12.611.000″ riferite alla dichiarazione dei sostituti d’imposta esercizio 1993: e ciò nonostante la sicura addebitabilità al G. accertata dal CTU …”.

Il ricorrente critica tale decisione, sostenendo in definitiva che l’affermata responsabilità del G. per la violazione fiscale de qua è priva di motivazione.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte torinese motiva ampiamente e specificamente detto parziale accoglimento del motivo di appello incidentale, non limitandosi al mero richiamo delle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, mentre il motivo di ricorso in esame si risolve, in sostanza, in una critica di tali conclusioni, senza peraltro riprodurre tutti i passaggi argomentativi della relazione di consulenza sul punto e senza confrontarli specificamente con le argomentazioni svolte al riguardo dai Giudici dell’appello.

3.6. – Anche il settimo motivo del ricorso concernente la condanna alle spese del giudizio d’appello – è privo di fondamento. Al riguardo, è sufficiente ribadire il costante orientamento di questa Corte, secondo cui il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, e secondo cui il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 406 del 2008, 25270 e 17145 del 2009). E, nella specie, la Corte torinese ha applicato puntualmente tali principi.

4. – Le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese nei confronti del Fallimento della s.p.a. Torino Calcio in liquidazione, che liquida in complessivi Euro 12.200,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2010

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