Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18101 del 31/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 31/08/2020, (ud. 16/06/2020, dep. 31/08/2020), n.18101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3625-2019 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CARLO

FELICE, 63, presso lo studio dell’avvocato BARBARA SERMARINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato NADIR PLASENZOTTI;

– ricorrente –

contro

SIENA NPL 2018 SRL e per essa la JULIET SPA cessionaria dei crediti

della BANCA MONTE DI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del procuratore

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SAN VALENTINO

21, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO CARBONETTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato FEDERICO SCANFERLATO;

– controricorrente –

contro

C.E.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1824/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA

GORGONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

T.A. ricorre per la cassazione della sentenza n. 1824/2018 della Corte d’Appello di Venezia, pubblicata il 26 giugno 2018, articolando un solo motivo.

Resiste con controricorso SIENA NPL 2018 S.R.L., cessionaria in blocco dei crediti della Banca Monte di Paschi di Siena.

La ricorrente espone in fatto di essere stata convenuta in giudizio, insieme con C.E.M., dalla Banca Monte dei Paschi di Siena, perchè fosse accertata e dichiarata, ex art. 2901 c.c., l’inefficacia dei contratti stipulati il 22.5.2008 e il 15.7.2008, assunte: a) la sussistenza dell’eventus damni a fronte del depauperamento dell’asse immobiliare della debitrice e dell’impossibilità di realizzare per la creditrice il proprio credito; b) la natura di atti a titoli gratuito; c) la loro effettuazione in epoca successiva all’assunzione del debito.

Costituitasi in giudizio, la ricorrente contestava: a) la ricorrenza dell’eventus damni, deducendo la capienza del proprio patrimonio rispetto alle pretese creditorie; b) la sussistenza della scientia damni, data la consapevolezza che la fideiussione da lei prestata a garanzia delle obbligazioni della società CDM Cornici S.r.l. non sarebbe stata pregiudicata dagli atti di donazione. In aggiunta, rilevava la ricorrenza di alcuni accrediti a favore della società garantita successivi agli atti dispositivi.

Il Tribunale di Treviso, osservato che il valore della fideiussione omnibus prestata dall’odierna ricorrente era limitato al valore di Euro 360.000,00, che il valore degli immobili rimasti in sua proprietà dopo la stipula degli atti donativi risultava pari ad Euro 471.000,00, perciò pienamente capiente, escludeva la ricorrenza dell’eventus damni e non accoglieva la domanda ex art. 2901 c.c..

La Banca Monte dei Paschi impugnava la sentenza di prime cure dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia, chiedendo, in via principale, la riforma della decisione impugnata, e, in via subordinata, la compensazione delle spese di lite di primo grado, salvo che per le spese di CTU da porre a carico di T.A., nonchè la ripetizione delle somme pagate in ragione della distrazione delle spese di giustizia disposta in sentenza.

La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza qui impugnata, riteneva: a) che l’odierna ricorrente non avesse fornito prova che il suo patrimonio residuo fosse tale da non pregiudicare in modo rilevante le ragioni creditorie, non essendovi evidente discrepanza tra il valore del patrimonio residuo e il valore del debito garantito; b) che, essendo gli atti dispositivi due atti di donazione, vi fosse consapevolezza da parte della donante del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, essendo socia della società garantita e madre del suo amministratore.

Dichiarava, pertanto, inefficaci gli atti di disposizione e condannava le appellate, in solido, a rifondere le spese di lite dei due gradi di giudizio.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. La ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, anche in violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il mezzo impugnatorio pone due questioni.

Nella prima parte, l’errore attribuito alla Corte d’Appello è quello di aver applicato non correttamente l’art. 115 c.p.c., comma 2, quando aveva fondato la propria valutazione circa la capienza del suo patrimonio residuo a soddisfare le ragioni creditorie, assumendo che il prezzo di aggiudicazione dei beni staggiti è frequentemente assai inferiore al loro valore venale. La tesi è che mentre è fuori dubbio che rientri nella comune esperienza che il prezzo ricavabile dalla vendita dei beni staggiti non coincida con quello di mercato, non possa dirsi altrettanto per la percentuale media di deprezzamento: nel campo delle procedure esecutive – sia per l’incertezza che caratterizza gli esiti delle vendite giudiziarie, sia per l’incidenza di molteplici fattori sul prezzo definitivo di assegnazione – le percentuali di deprezzamento non possono essere ricondotte assertivamente nel campo di un fatto notorio, in funzione dell’automatica applicazione di una determinata misura percentuale riduttiva del valore venale del bene” (p. 8 del ricorso).

Nel caso di specie, la differenza tra il valore dell’importo garantito e il valore del patrimonio residuo era risultata pari al 30% e quindi rappresentava, secondo la sua prospettazione, un ampio presidio di salvaguardia nell’eventualità di un’azione esecutiva da parte della creditrice.

La seconda questione riguarda la ricorrenza dei presupposti per applicare l’art. 2901 c.c.: il giudice a quo non avrebbe considerato che alcuni debiti del garantito con la banca derivavano da due rapporti di anticipazione bancaria, di cui uno datato 11 agosto 2008 ed il secondo comunque successivo agli atti donativi. Di conseguenza, sarebbe stato necessario, ad avviso di parte ricorrente, verificare la ricorrenza del c.d. consilium fraudis, cioè se avesse dolosamente donato i suoi beni al fine di precludere l’attuazione coattiva del futuro credito.

La prima censura è inammissibile.

Ciò che la ricorrente pretende è la rivalutazione di un accertamento di fatto che contrasta con i caratteri morfologici ed i limiti funzionali del giudizio di cassazione, tenuto conto che la definizione di notorietà desumibile dall’art. 115 c.p.c., comma 2, si impone come criterio legale di giustificazione del giudizio di fatto, in quanto è destinata a individuare le premesse di fatto che possono assumersi per vere anche in mancanza di prova.

Tanto premesso mette conto osservare che, secondo l’orientamento di questa Corte, ove il giudice del merito abbia posto alla base della decisione un fatto qualificandolo come notorio, tale fatto e la sua qualificazione sono sì denunciabili in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2 – come ha fatto l’odierna ricorrente – e la Corte di cassazione è tenuta ad esercitare il proprio controllo ripercorrendo il medesimo processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merito (Cass. 29/11/2011, n. 25218; Cass. 09/09/2008, n. 22880).

Ciò premesso, torna utile sottolineare che delle nozioni di comune esperienza, intese come proposizioni di ordine generale tratte dalla reiterata osservazione dei fatti, il giudice ha certamente la facoltà di avvalersi come regola di giudizio destinata a governare sia la valutazione delle prove che l’argomentazione di tipo presuntivo. Ed è quanto avvenuto nel caso di specie in cui i giudici di merito, premesso che l’eventus damni ricorre anche quando vi sia un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, derivante da una minore aggredibilità dei beni del debitore o da una maggiore difficoltà o incertezza nell’esecuzione coattiva del credito, hanno tratto la conseguenza logica che il patrimonio residuo della debitrice stimato dal CTU in Euro 471.000,00, quindi di valore superiore a quello del debito garantito, ammontante ad Euro 360.000,00, non fosse per ciò solo sufficiente ad escludere la revocabilità dell’atto, perchè il valore dei beni staggiti non corrisponde al loro valore venale. Tanto premesso, e non contestato dalla ricorrente, deve ritenersi che rientrasse nell’accertamento di fatto valutare, poi, se l’entità del patrimonio residuo, tenuto conto di quanto anteposto, fosse sufficiente ad escludere l’eventus damni (da ultimo, in tal senso, cfr. Cass. 19/02/2020, n. 4212).

La seconda censura è infondata.

In linea generale, questa Corte ha chiarito che nel caso di fideiussione in relazione alle future obbligazioni del debitore principale, gli atti dispositivi del fideiussore successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art. 2901 c.c., n. 1, prima parte, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (“scientia damni”); l’acquisto della qualità di debitore del fideiussore nei confronti del creditore procedente risale al momento della nascita del credito, sicchè a tale momento occorre far riferimento per stabilire se l’atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito (Cass. 15/02/2011, n. 3676; Cass. 22/03.2013, n. 7250).

Perciò la decisione impugnata non è incorsa in errore, stante che, come accertato dal giudice a quo (p. 7) e non contestato dalla ricorrente, il credito è almeno in parte anteriore ai due atti di donazione, la condizione per sottoporre l’atto alla dichiarazione di inefficacia era, dal punto di vista soggettivo, la conoscenza del pregiudizio delle ragioni del creditore.

In una fattispecie perfettamente sovrapponibile a quella per cui è causa, è stato statuito che, una volta accertata l’avvenuta prestazione di garanzia fideiussoria, risulta erroneo l’assunto tendente a svalutare tale circostanza rilevando che i crediti vantati dalle controparti si riferivano ad affidamenti da esse concessi in epoca successiva all’atto di liberalità; invero, premesso che nella specie si tratta di azione revocatoria proposta nei confronti del fideiussore, l’acquisto della qualità del debitore nei confronti del creditore risale all’atto della nascita stessa del credito, cosicchè è a tale momento che occorre fare riferimento al fine di stabilire se l’atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito (Cass. 22/01/1999, n. 591), con la conseguenza che essendo stato l’atto di donazione posto in essere in epoca successiva alla sussistenza dell’originario credito in relazione al quale l’odierna ricorrente aveva prestato garanzia fideiussoria in favore della società CDM Cornici, ai fini dell’accoglimento dell’azione era necessario soltanto il requisito della “scientia damni”, ossia la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi dei creditori (Cass. 19/10/2006, n. 22465).

2. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.

3. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 6.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

 

 

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