Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18101 del 05/09/2011

Cassazione civile sez. III, 05/09/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 05/09/2011), n.18101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11371/2009 proposto da:

C.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9, presso lo studio dell’avvocato

MITTIGA ZANDRI Patrizia, che lo rappresenta e difende giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

FONDIARIA SAI SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 718/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

Sezione Seconda Civile, emessa il 04/03/2008, depositata il

08/05/2008; R.G.N. 1508/2004.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2011 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato LUCCHETTI DINO (per delega Avvocato MITTIGA ZANDRI

PATRIZIA);

adito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.M. convenne in giudizio, dinanzi alla corte di appello di Firenze, B.R., la s.p.a. Fondiaria Assicurazioni e (ai soli fini di cui all’art. 332 c.p.c.) M.F., proponendo appello avverso la sentenza del tribunale di Pistola che – ritenuta ed affermata la responsabilità esclusiva del B. nella determinazione del sinistro avvenuto nel (OMISSIS), all’esito del quale essa appellante aveva riportato gravi danni – aveva condannato i convenuti al relativo risarcimento, quantificato in 208.076 Euro.

La corte di appello accolse il gravame limitatamente alla liquidazione del danno morale ed al computo degli interessi, rigettando i restanti motivi volti a censurare, rispettivamente, la mancata liquidazione dei danni biologici emersi successivamente alla prima CTU disposta in primo grado, la insufficiente liquidazione del danno patrimoniale, l’omesso esame della questione della mala gestio da parte della compagnia assicurativa.

La sentenza è stata impugnata da C.M. con ricorso per cassazione sorretto da 3 motivi.

Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione degli artt. 1218, 1223, 1224, 1221 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per errata applicazione di norme di diritto in materia di obbligazioni pecuniarie per danni; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per omissione di pronuncia e per difetto di motivazione in merito alla domanda di condanna al pagamento degli oneri accessori sulle maggiori somme eventualmente liquidate in sentenza di secondo grado a titolo di risarcimento del danno rispetto a quelle già liquidate in primo grado.

I motivi – dei quali la stessa ricorrente auspica un esame congiunto, attesane la intrinseca connessione logico-giuridica, si concludono con il seguente quesito di diritto:

Accerti la corte se, a fronte di una espressa richiesta in appello di liquidazione degli oneri accessori sulle maggiori somme liquidate nella sentenza di 2^ grado rispetto a quelle liquidate in 1^ grado, la corte di appello nella sentenza impugnata abbia o meno omesso, in violazione dell’art. 112 c.p.c. e artt. 1218, 1223, 1224, 1127 c.c., la pronuncia di condanna al pagamento delle stesse e, conseguentemente, la corte condanni, ex art. 384 c.p.c., la Fondiaria assicurazioni al pagamento delle somme aggiuntive a titolo di oneri accessori.

Le doglianze sono inammissibili, volta che, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, la difesa della ricorrente non indica e trascrive (quanto meno nel suo contenuto rilevante in parte qua) l’atto del giudizio di merito con il quale la richiesta oggi riformulata dinanzi a questa corte con l’auspicio di una pronuncia ex art. 384 c.p.c., sarebbe stato tempestivamente proposto e illegittimamente pretermesso dalla corte territoriale.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di legge e in particolare degli artt. 2043 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè per illogicità, contraddittorietà e insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla gestione delle risultanze probatorie e delle richieste istruttorie formulate dall’attrice ai fini di consentire lfaccertamento sulla fondatezza della domanda risarcitoria per mancato reddito e per perdita di chances.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:

Accerti la corte se vi sia falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c., nonchè illogicità contraddittorietà e insufficienza della motivazione laddove il giudice del merito da un lato immotivatamente non ha accolto le richieste istruttorie relative al danno emergente e al lucro cessante, e dall’altro ha fondato il mancato riconoscimento del relativo diritto al risarcimento dei danni sulla presunzione della mancata prova sul punto là dove, invece, la prova non è stata esperita per esclusiva scelta e decisione dei giudicanti in 1^ e 2^ grado e non per negligenza e/o omissione della parte attrice a ciò onerata. Il motivo, privo di giuridico fondamento, non vulnera il corretto impianto della sentenza della corte toscana nella parte in cui (f. 6 della decisione impugnata) essa ha argomentatamente escluso la necessità di procedere ad una nuova CTU, ritenendo, altrettanto motivatamente, del tutto esaustiva la perizia Ci. esperita in prime cure, anche con riferimento all’invocato (e legittimamente denegato) aumento della percentuale dei postumi permanenti. Il motivo, nella sua più intima sostanza, è dunque destinato ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello dianzi descritto, dacchè esso, nel suo complesso, pur lamentando formalmente una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e un decisivo difetto di motivazione, si risolve, in realtà, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. La ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, da un canto, per la mancata trascrizione, in parte qua, degli atti di causa (CTU, capitoli di prova per testi) la cui valutazione egli assume omessa o errata (con conseguente violazione del consolidato principio di autosufficienza del ricorso per cassazione), dall’altro, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Il ricorso è pertanto rigettato.

Nessun provvedimento va pronunciato in ordine alla spese del giudizio di legittimità, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2011

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