Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 181 del 05/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 05/01/2017, (ud. 17/11/2016, dep.05/01/2017),  n. 181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14639/2015 proposto da:

F.M., difesa dall’avv. Paola Soriano come da procura

speciale in calce al ricorso e presso di lei elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

28/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 Con decreto 28.11.2014 la Corte d’Appello di Roma ha accolto la domanda di equa riparazione proposta il 12.10.2010 da F.M. in relazione alla irragionevole durata di un giudizio civile ed ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 2.500,00.

Per giungere a tale soluzione la Corte territoriale – partendo da una durata complessiva di dodici anni e considerando equa quella di tre anni in primo grado e di due anni in appello, ha ritenuto irragionevole solo un ritardo di cinque anni verificatosi nel giudizio di primo grado (promosso il 4.1.1997 e definito l’11.2.2005), mentre non ha ravvisato ritardi nel giudizio di secondo grado promosso con atto 31.3.2005 perchè era stata depositata una transazione all’udienza 28.2.2007, quindi prima dei due anni di durata ragionevole.

Considerando quindi gli elementi relativi al giudizio presupposto (ed in particolare la minore sofferenza della parte per effetto della cessazione della materia del contendere a seguito di transazione), la Corte romana ha applicato un parametro indennitario di Euro 500,00 per ognuno dei cinque anni di irragionevole durata, ancorando il dies ad quem alla data di definizione del giudizio di primo grado.

3 Ricorre per cassazione la F. con due motivi.

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso contenente ricorso incidentale fondato su un solo motivo.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Evidenti ragioni di priorità logica rendono opportuno partire dall’esame del ricorso incidentale con cui il Ministero, denunziando ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, si duole del rigetto dell’eccezione di decadenza sollevata davanti alla Corte d’Appello. Ripropone la tesi della inapplicabilità della sospensione feriale al termine semestrale fissato dalla legge per la proposizione del ricorso.

La censura è infondata: come già affermato in precedenza da questa Corte, poichè fra i termini per i quali la L. n. 742 del 1969, art. 1, prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo (v. Sez. 6-2, Sentenza n. 5423 del 18/03/2016 Rv. 639423; Sez. 1, Sentenza n. 5895 del 11/03/2009 Rv. 607200; Sez. 1, Ordinanza n. 22242 del 2010 non massimata).

Di conseguenza, considerando come dies a quo per il calcolo del termine la data del 1.3.2010 indicata dallo stesso Ministero (corrispondente al passaggio in giudicato della decisione che ha concluso il giudizio presupposto), si rivela tempestiva la proposizione della domanda di equa riparazione con atto depositato il 12.10.2010, se si aggiungono i 46 giorni di sospensione del periodo feriale.

2.1 Venendo all’esame del ricorso principale, esso si articola in una duplice censura.

Con la prima si denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1 della CEDU, della L. n. 89 del 2001, artt. 1 e 2 e artt. 1226 e 2056 c.c.. Secondo la tesi del ricorrente anche se era intervenuta una transazione, la Corte d’Appello non avrebbe dovuto tenerne conto per ridurre l’entità dell’indennizzo e quindi non avrebbe dovuto discostarsi dai parametri compresi tra i 1.000,00 e i 1.500,00 Euro indicati dalla CEDU, non essendo rilevante l’esito del giudizio, elemento preso in esame peraltro solo dall’ultima modifica normativa.

2.2 Col secondo motivo, denunziandosi violazione degli artt. 3 e 111 Cost., la ricorrente si duole della disparità di trattamento tra chi, come lei, decide di chiudere il giudizio transattivamente e che, invece, attende l’esito naturale. Secondo la ricorrente anche in caso di intervenuta transazione il paterna è comunque uguale (almeno fino a quel momento).

Le due censure, ben suscettibili di esame congiunto, sono infondate: come già chiarito da questa Corte, in fattispecie anteriori alla novella del 2012, se è vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in motivazione (Sez. 6-2, Sentenza n. 16311 del 16/07/2014 (Rv. 632010; Cass. 18617 del 2010; Cass. 17922 del 2010).

Nel caso in esame, la Corte romana ha spiegato le ragioni che l’hanno indotta a ridurre ad Euro 500,00 il parametro annuo di quantificazione del danno e la parte non ha ritenuto di censurare la motivazione, limitandosi alla sola violazione di legge, che però, come si è visto, non sussiste.

Solo per completezza – visto che trattasi di ricorso ante 2012 e quindi regolato dalla vecchia disciplina – è il caso di osservare che oggi un indennizzo di Euro 500,00 annui è consentito espressamente dalla legge (v. L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, aggiunto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

L’esito del giudizio comporta la compensazione delle spese.

PQM

rigetta i ricorsi e dichiara compensate le spese.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2017

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