Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18095 del 14/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 14/09/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 14/09/2016), n.18095

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24432/2013 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ITALO CARLO FALBO 22, presso lo studio dell’avvocato ANGELO COLUCCI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO

MONALDI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1153/2012 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 14/11/2012 R.G.N. 179/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato MARIANI DANIELE per delega orale Avvocato PESSI

ROBERTO;

udito l’Avvocato COLUCCI ANGELO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Fermo I.P. – premesso di essere stata assunta da Poste Italiane con contratto a tempo determinato presso l’ufficio postale di (OMISSIS) e di avere ottenuto in via giudiziaria l’accertamento della esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, giusta sentenza del 21.2.2005 dello stesso Tribunale, lamentava di essere stata trasferita con provvedimento dell’1 aprile 2005 dall’ufficio di (OMISSIS) alla sede di (OMISSIS). Chiedeva dichiararsi la illegittimità del trasferimento e condannarsi Poste Italiane alla riammissione in servizio presso l’ufficio postale di provenienza.

Il Giudice del lavoro – con sentenza del 25.2.2008 (nr. 80/2008) – accoglieva la domanda. La Corte d’appello di Ancona – con sentenza dell’8.11-14.11.2012 (nr. 1153/2012) rigettava l’appello di Poste Italiane.

Il giudice dell’appello premetteva che era onere del datore di lavoro provare la correttezza della riammissione in servizio della dipendente reintegrata anche sotto il profilo del carattere sostanziale di trasferimento della assegnazione ad una sede diversa. Poste Italiane si era limitata a fornire prova testimoniale; sul punto il teste era poco attendibile trattandosi dello stesso dipendente responsabile della assegnazione alla nuova sede della lavoratrice.

Inoltre non erano stati allegati i criteri seguiti per la assegnazione della sede di lavoro, limitandosi la società ad affermare che, giunto il turno della appellata, non vi erano altri posti disponibili senza neppure spiegare come si erano determinate le posizioni e le precedenze.

In ogni caso, la lavoratrice aveva esposto che esistevano almeno altre tre sedi di lavoro più vicine ed idonee alla riammissione in servizio, circostanza confermata dalla consulenza tecnica d’ufficio, senza che tale fatto fosse specificamente contestato dall’appellante.

Poste Italiane rivendicava una discrezionalità che non atteneva, invece, ai casi di condanna alla riammissione in servizio, per l’obbligo di adempiere alla statuizione giudiziale.

Per la Cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane spa, affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso I.P..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società Poste Italiane lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., nonchè dell’accordo quadro del 29 luglio 2004, dell’accordo del 30 luglio 2004 e dell’art. 37 CCNL 2003.

Deduce la legittimità del trasferimento, in quanto fondato su precise ragioni organizzative, esposte nelle comunicazioni inviate alla lavoratrice in date 18 marzo e 25 marzo 2005.

Dalle suddette comunicazioni risultava che la I. era stata riammessa in servizio presso il Comune di Grottammare con decorrenza dal 18 marzo 2005 e successivamente trasferita presso l’ufficio postale di (OMISSIS) per la effettiva e dimostrata insussistenza di posti in organico presso il primo ufficio.

Tale indisponibilità era stata rappresentata alla lavoratrice all’esito della convocazione del 25 marzo 2005 presso la struttura regionale Risorse umane, giusta comunicazione del 18 marzo 2005, rappresentandole la disponibilità presso l’ufficio postale di (OMISSIS) (ovvero con part-time verticale presso gli uffici di (OMISSIS)), in conformità alla procedura prevista nell’accordo sindacale del 29.7.2004.

La lavoratrice non aveva sottoscritto il provvedimento di reintegra nè si era presentata per ratificare il provvedimento di trasferimento, che era stato effettuato ai sensi dell’art. 37 CCNL 2003 e degli accordi del 2004 indicati in rubrica.

Tali accordi, disciplinanti la riammissione in servizio sul territorio nazionale dei dipendenti già assunti a termine e destinatari di una pronunzia giudiziale di reintegra, prevedevano il reinserimento del lavoratore reintegrato nella struttura originaria a condizione che la stessa non risultasse eccedentaria, secondo apposito programma informatico; nella diversa ipotesi di riammissione del lavoratore a termine in una struttura indicata nell’elenco dei Comuni eccedentari veniva previsto il trasferimento del dipendente verso un ufficio situato in un Comune disponibile collocato, in sequenza, nella medesima provincia, nella medesima regione, nelle regioni limitrofe.

Il Comune di Grottammare alla data della riammissione risultava eccedentario e quello di destinazione era la sede disponibile più vicina.

La sentenza impugnata aveva negato il diritto del datore di lavoro a disporre il trasferimento in presenza di comprovate ragioni tecnico organizzative ed aveva disconosciuto il valore degli accordi sindacali.

Il motivo è inammissibile.

Il giudizio in Cassazione ha carattere chiuso, in quanto ancorato alla valutazione di legittimità di specifiche statuizioni della sentenza alla luce di specifici motivi di impugnazione.

Il motivo neppure individua le statuizioni della sentenza rispetto alle quali si ravviserebbe il vizio di violazione o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e degli accordi sindacali.

Omette inoltre di trascrivere, in violazione del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., il contenuto degli accordi sindacali di cui si lamenta la violazione, quanto meno nelle parti rilevanti, limitandosi ad indicare gli accordi per sintesi ed impedendo, così, a questa Corte una valutazione compiuta del vizio dedotto.

Deve aggiungersi, quanto alla censurata violazione dell’art. 2103 c.c., che la violazione o falsa applicazione di una norma di diritto deve valutarsi nella sede di legittimità rispetto alla preliminare attività di ricostruzione del fatto storico operata dal giudice del merito – nell’esercizio del suo potere discrezionale di valutazione della prova – e non già rispetto ad una ipotetica ed alternativa ricostruzione del fatto offerta dalla parte ricorrente. La sentenza impugnata ha affermato che Poste Italiane non aveva offerto la prova delle ragioni tecniche organizzative e produttive di cui all’art. 2103 c.c., sicchè sulla base della ricostruzione del fatto cosi operata dovrebbe comunque giudicarsi infondata ogni censura di violazione dell’art. 2103 c.c..

2. Con il secondo motivo la società Poste Italiane denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116, 421 e 437 c.p.c..

La censura investe la statuizione di carenza di prova della legittimità della riammissione e del trasferimento.

La società ricorrente deduce la insufficienza e contraddittorietà della motivazione e la violazione di legge per avere la Corte di merito ritenuto la genericità delle richieste istruttorie.

Espone che i capitoli di prova articolati nel primo grado – e reiterati nel secondo – erano specifici ed idonei a provare le ragioni giustificative del trasferimento, che la sentenza era lacunosa e contraddittoria, in quanto dall’effettivo contenuto della deposizione della teste C.L. (come dal verbale di udienza del 3.12.2007) emergeva che la riammissione in servizio era avvenuta tenendo conto degli accordi del 29 luglio e del 30 luglio 2004; in ogni caso la Corte territoriale in presenza di un principio di prova avrebbe dovuto fare ricorso ai suoi poteri istruttori d’ufficio, ex artt. 421 e 437 c.p.c..

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.

E’ opportuno premettere che la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, solo in caso di violazione delle regole di formazione della prova ovvero rispettivamente:

– quando il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (art. 115 c.p.c.);

ovvero:

– se valuti le prove secondo un criterio di diverso da quello indicato dall’art. 116 c.p.c., ad esempio valutando secondo prudente apprezzamento una prova legale o attribuendo valore di prova legale ad un elemento di prova liberamente valutabile.

La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il prudente apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

In sostanza, la erroneità della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova ridonda in vizio deducibile ex art. 360 c.p.c., n. 5: Cassazione civile, sez. 3^, 13/06/2014, n. 13547.

Il motivo formulato difetta, invece, delle condizioni di ammissibilità di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo vigente ed applicabile ratione temporis (la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012) non essendo indicato, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso in sentenza, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulterebbe esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

Quanto alla censura di violazione degli artt. 421 e 437 c.p.c., si osserva che il mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio è censurabile in Cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione e impone al ricorrente di riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerge l’esistenza di una “pista probatoria”, rispetto alla quale non si è esplicata l’officiosa attività di integrazione istruttoria, nonchè di allegare di aver espressamente e specificamente richiesto, nel giudizio di merito, l’intervento probatorio del giudice (Cassazione civile, sez. 6^, 29/12/2014, n. 27431).

Nella fattispecie di causa, da un lato, la allegazione degli elementi di prova già acquisiti manca di specificità, dall’altro è carente ogni allegazione circa la richiesta dell’intervento al giudice del merito.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 100 per spese ed Euro 3.500 per compensi professionali oltre spese generali alo 15% ed accessori di legge, con attribuzione.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2016

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