Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18094 del 25/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 18094 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: FILABOZZI ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 1291-2010 proposto da:
CBH

CITTA’ DI BARI HOSPITAL S.P.A. in persona del

legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MONTE PRAMAGGIORE 16, presso
lo studio dell’avvocato COSTANTINO GIOVANNI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1300

contro

CUSANNO ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA OMBRONE 12 – PALAZZINA B, presso lo studio
dell’avvocato LOIODICE ALDO, rappresentato e difeso

Data pubblicazione: 25/07/2013

dall’avvocato CANDALICE FABIO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 4260/2008 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 02/01/2009 r.g.n. 1249/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

FILABOZZI;
udito l’Avvocato COSTANTINO GIOVANNI;
udito l’Avvocato CASTELLI SAVERIO per delega CANDALICE

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udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso. –

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udienza del 11/04/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO

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r.g. n. 1291/10
udienza del 11.4.2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Antonio Cusanno ha chiesto che venisse accertata la nullità, l’inefficacia o l’illegittimità del
licenziamento intimatogli dalla società CBH Città di Bari Hospital spa per riduzione di personale

risarcimento dei danni ex art. 18 legge n. 300/70.
Il Tribunale di Bari ha accolto la domanda con sentenza che, sull’appello della società CBH, è stata
confermata dalla Corte d’appello della stessa città, che ha ritenuto, per quanto qui interessa, che, pur
richiamando i criteri di scelta di cui all’art. 5 della legge n. 223/91, la società, nella comunicazione
di chiusura della procedura, avesse introdotto una rilevante deroga a tali criteri, dando “priorità
assoluta” al possesso di uno specifico titolo di studio (laurea in giurisprudenza, scienze politiche,
economia e commercio), e adottando così un criterio non previsto dalla legge e tale da consentire di
prescindere del tutto dalla posizione in graduatoria e di determinare, appunto “in via di priorità
assoluta”, i dipendenti da mantenere in servizio nell’ambito di una determinata categoria – la
categoria D – del personale amministrativo, alla quale apparteneva pure l’appellato. Peraltro,
secondo il giudice del merito, l’illegittimità del licenziamento derivava anche dalla incompletezza e
dalla inadeguatezza delle indicazioni contenute nella comunicazione di avvio della procedura, sia in
ordine alla impossibilità del ricorso a rimedi alternativi al licenziamento sia in ordine alla compiuta
enunciazione delle ragioni che determinavano la situazione di eccedenza.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la società CBH Città di Bari Hospital spa affidandosi a
tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso Antonio Cusanno.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 4 legge n. 223/91, censurando la sentenza
impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che la comunicazione di avvio della
procedura fosse carente sotto il profilo della indicazione dell’impossibilità del ricorso a rimedi
alternativi al licenziamento e delle ragioni dell’eccedenza strutturale.
2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 5 della legge n. 223/91, nonché vizio di
motivazione, relativamente alla statuizione con cui la Corte di merito ha ritenuto sussistente un

nel maggio 2002, con la condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro e al

intento elusivo della società nell’individuazione del criterio legale del possesso di un determinato
titolo di studio, adottato dalla CBH in assenza di criteri alternativi concordati con le organizzazioni
sindacali, e nella parte in cui ha stabilito che del suddetto criterio dovesse essere data informazione
preventiva, e non solo successiva alla chiusura della procedura, ai sindacati.
3.- Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 416 e 210 c.p.c., 18 della legge n. 300/70,
nonché vizio di motivazione, relativamente alla statuizione con cui sono state rigettate le istanze
istruttorie formulate dalla società in relazione all’accertamento dell’ aliunde perceptum.

motivazione della sentenza impugnata abbisogni di alcune correzioni (art. 384, ult. comma, c.p.c.).
4.1.- In proposito, occorre innanzi tutto evidenziare che sulla questione questa Corte ha già avuto
modo di pronunciarsi con la sentenza n. 24646/2007 (cui hanno fatto seguito le sentenze n.
26943/2007; n. 207/2008; n. 7596/2008; n. 8452/2010; n. 8645/2010; n. 8894/2010; n. 9166/2010),
dal cui contenuto questo Collegio non ha ragione di discostarsi.
Con le citate sentenze questa Corte ha evidenziato che erano fondate le critiche mosse nei confronti
della sentenza impugnata circa la ritenuta violazione della normativa in materia sotto il profilo della
mancata indicazione, nella lettera di avvio della procedura, dei motivi per i quali non sarebbe stato
possibile praticare soluzioni alternative alla riduzione di personale. Ed ha rilevato come risultasse
dalla stessa sentenza che, nella nota di avvio della procedura di licenziamento collettivo, la CBH
aveva spiegato di essere nella impossibilità di ricorrere al part-time, trattandosi di rimedio
incompatibile con il tipo di attività svolta e con l’organizzazione del lavoro, e di essere altresì
impossibilitata ad attivare i contratti di solidarietà nonché la c.i.g., non avendo diritto alla fruizione
degli ammortizzatori sociali a causa dell’inquadramento previdenziale, non già nel settore
industriale, ma nel settore terziario.
4.2.- Tali indicazioni, parimenti fornite nella sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione,
risultano conformi a quelle prescritte dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991, laddove, al comma 3, si
impone al datore di lavoro di indicare i motivi della impossibilità di adottare misure idonee ad
evitare la messa in mobilità.
Non vi è dubbio, infatti, siccome già evidenziato da questa Corte nelle citate sentenze, che le
misure alternative “tipiche”, cui si ricorre per evitare la dichiarazione di esubero, siano proprio il
part-time e gli ammortizzatori sociali, e nella specie la società aveva analiticamente esposto i motivi
per cui detti strumenti non erano praticabili. Né è ipotizzabile l’esistenza di un obbligo, in capo al
datore, di indicazione della impossibilità di adottare tutti i rimedi alternativi “astrattamente”
ipotizzabili, giacché questi, nella logica stessa e alla luce delle finalità di intervento e controllo da
parte delle organizzazioni sindacali cui al comunicazione è preordinata, non possono che avere

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4.- Il ricorso non merita accoglimento, essendo il dispositivo conforme a diritto, ancorché la

come riferimento la situazione della singola azienda, così che è sufficiente esporre le ragioni per
cui, nel preciso contesto aziendale, non siano praticabili le misure cui più frequentemente ed
efficacemente si ricorre per evitare la dichiarazione di esubero del personale.
5.- Tuttavia, come questa Corte già stato precisato nella citata sentenza n. 24646/2007 (e nelle
successive sentenze che ne hanno ribadito l’insegnamento), “l’erroneità di dette argomentazioni non
determina l’annullamento della sentenza impugnata, dal momento che essa mantiene il suo
fondamento in ragione della accertata carenza delle altre informazioni rese dalla società nella nota

terzo motivo di ricorso che va pertanto rigettato. In relazione al terzo motivo va infatti osservato che
l’art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991 dispone che nella comunicazione preventiva devono
essere indicati i motivi che determinano la situazione di eccedenza, nonché il numero, la
collocazione aziendale ed i profili professionali del personale eccedente; solo così infatti si consente
alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra i relativi termini, e cioè il nesso tra le ragioni
che determinano l’esubero di personale e le unità che, in concreto, l’azienda intende espellere, di
talché la procedura potrà considerarsi regolare solo ove, nella medesima comunicazione, sia
evidenziabile la connessione tra le enunciate esigenze aziendali e la individuazione del personale da
licenziare … La Corte territoriale ha correttamente escluso che detta connessione fosse rinvenibile,
allorché ha osservato che nella nota non si precisava in cosa consistesse realmente la eccedenza di
personale, perché se questa era cagionata dal venir meno dell’attività già svolta dal cedente presso
la Casa di Cura Santa Caterina, l’effetto avrebbe dovuto essere il licenziamento delle 127 unità che
colà operavano, ovvero di quelle indirettamente interessate, mentre, soggiungono i giudici di
merito, solo pochissimi di quei 127 lavoratori erano stati licenziati e, né dalla nota, né dall’allegato
era dato capire perché, in ciascuna delle residue cinque cliniche che la CBH aveva acquisito, vi
fosse l’esubero indicato e perché questo si riferisse alle qualifiche individuate. Ed ancora non si
spiegava perché gli esuberi dovessero essere 153, dal momento che questi avrebbero dovuto essere
invece 61, come risulterebbe sommando le eccedenze, ossia le 127 unità della Clinica Santa
Caterina ed i 77 reintegrati e sottraendo le 93 unità che la stessa società si era impegnata ad
assumere con l’atto di acquisto, nonché le altre 50 unità di cui all’accordo sindacale del 20 aprile
2001. Hanno inoltre osservato i giudici di merito che, quanto alle qualifiche del personale da
esodare, la nota non aveva spiegato né i motivi per cui dovessero essere licenziati tutti i
collaboratori direttivi non muniti di laurea in certe discipline, né i motivi per cui dovessero essere
licenziati tutti gli impiegati di concetto non muniti almeno di diploma di qualifica, né perché non
potessero essere utilizzati gli infermieri generici, gli impiegati d’ordine, e neppure i coordinatori
amministrativi, i capi ufficio amministrativi e i direttori amministrativi. Né nel terzo motivo di

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di cui all’art. 4 della legge n. 223 del 1991, carenza evidenziata in motivazione e non scalfita dal

ricorso si assume l’esistenza di circostanze decisive, non considerate in sentenza, idonee a smentire
le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito sulle carenze della comunicazione di avvio
della procedura di mobilità. Il motivo va quindi rigettato”.
Il Collegio condivide senz’altro tali conclusioni, in quanto assolutamente aderenti alla normativa in
materia e all’evolversi delle vicende che sono all’origine della presente controversia, sicché il primo
motivo di gravame non può trovare accoglimento.
6.- Il rigetto del primo motivo determina l’assorbimento del secondo motivo, non essendo

presi in esame nella sentenza impugnata, dal momento che, una volta rigettato il primo motivo,
l’inefficacia del licenziamento collettivo trova ormai il suo fondamento nella accertata irregolarità
della procedura.
7.- Neppure merita accoglimento il terzo e ultimo motivo.
Invero, come è stato già più volte osservato (cfr. ex plurimis Cass. n. 8645/2010 cit.), la deduzione
dell’aliunde perceptum (ma lo stesso è a dirsi, sul piano degli oneri di allegazione e probatori, per
l’aliunde percipiendum), quale fatto idoneo a limitare la responsabilità risarcitoria del datore di
lavoro, presuppone l’allegazione e dimostrazione da parte dello stesso, in quanto soggetto
interessato ad ottenere la suddetta limitazione, dello svolgimento da parte del dipendente di una
diversa attività lavorativa (o del fatto colposo del lavoratore in relazione al danno che il medesimo
avrebbe potuto evitare usando la normale diligenza) e quindi dell’esistenza di ulteriori fonti di
guadagno idonee a determinare una riduzione del danno.
In difetto di tale allegazione e dimostrazione, la richiesta di parte datoriale di esibizione di
documenti o di acquisizione di informative non può trovare accoglimento, assumendo una funzione
meramente esplorativa e risolvendosi in sostanza nell’esenzione della parte dall’onere probatorio
posto a suo carico. D’altra parte, diversamente opinando, la fase istruttoria potrebbe essere protratta
nel tempo senza alcuna effettiva utilità, neppure per l’istante, a danno del principio di ragionevole
durata del processo (cfr. Cass. n. 13072/2003).
8.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate facendo
riferimento alle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e alla tabella A ivi allegata, in
vigore al momento della presente decisione (artt. 41 e 42 d.m. cit.), disponendone la distrazione a
favore dell’avv. Fabio Candalice, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

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necessario affrontare le censure svolte con riguardo agli ulteriori motivi di illegittimità del recesso

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio
liquidate in € 50,00 oltre € 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge,
disponendone la distrazione a favore dell’avv. Fabio Candalice, antistatario.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11 aprile 2013.

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