Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18093 del 25/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 18093 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: STILE PAOLO

SENTENZA

sul ricorso 11221-2011 proposto da:
AUTOINDUSTRIALE VIGO S.R.L. 00488600016, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 16, presso lo studio
dell’avvocato CORAIN MAURIZIO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ROSSO SANTONI DE SIO
2013

ADA, giusta delega in atti;
– ricorrente –

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contro

PALUMMIERI SALVATORE PLMSTV65S16A4791, elettivamente
domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo

Data pubblicazione: 25/07/2013

studio dell’avvocato RIBALDONE MARIA ELENA, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
GIUSEPPINA VERDUCI, DELL’ORFANO LUISA, giusta delega
in atti;
– controricorrente –

di TORINO, depositata il 26/10/2010 R.G.N. 237/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/04/2013 dal Consigliere Dott. PAOLO
STILE;
udito l’Avvocato ROSSO SANTONI DE SIO ADA;
udito l’Avvocato RIBALDONE MARIA ELENA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.-

avverso la sentenza n. 913/2010 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 26/11/2009 il Tribunale di Torino rigettava il ricorso proposto
da Palummieri Salvatore nei confronti della Autoindustriale Vige s.r1., con cui il
Palummieri aveva chiesto di dichiarare illegittimo e ingiustificato il licenziamento
intimatogli con lettera raccomandata 18/6/2004 e 30/6/2004, di condannare la

societa convenuta al risarcimento dei danni patiti ed alla sua reintegrazione,
ovvero alla corresponsione dell’indennità sostitutiva della reintegra ex art. 18 L.
300/1970 ed a corrispondergli E 16.032,00 per risarcimento del danno biologico, E
8.016,00 per risarcimento del danno morale, E 4.008,00 per risarcimento del
danno esistenziale ed E 2.329,60 per invalidità temporanea parziale al 50%, danni
conseguenti agli atteggiamenti vessatori ed ingiuriosi realizzati nei suoi confronti
dal capofficina Boine Sergio.
Avverso tale decisione proponeva appello il Palummieri, insistendo
nell’accoglimento delle pretese avanzate con il ricorso introduttivo.
Resisteva l’Autoindustriale Vigo srl chiedendo la conferma dell’impugnata
pronuncia.

i

Con sentenza del 13-26 ottobre 2010, l’adita Corte d’appello di Torino, in parziale
accoglimento del gravame, annullava il licenziamento intimato all’appellante con
lettere del 18.6.2004 e del 30.6.2004 e, conseguentemente, ordinava all’appellata
di reintegrare il Palummieri nel posto di lavoro e condannava la stessa società a
pagare all’appellante, a titolo di risarcimento del danno, le retribuzioni maturate
dal licenziamento fino all’effettiva reintegrazione, pari ad euro 1.351,78 lordi
mensili, detratto l’aliunde perceptum, oltre rivalutazione ed interessi, nonché a
versare i contributi di assistenza e previdenza per lo stesso periodo; condannava
l’appellata a pagare all’appellante, a titolo di risarcimento del danno morale,
l’importo di euro 5.000,00, oltre rivalutazione ed interessi.
A sostegno del decisum osservava che il fatto contestato, consistente nell’avere il

I

Palummieri, armato di barra metallica, aggredito fisicamente il suo superiore sig.
Boine Sergio, rivolgendogli anche pesanti insulti e minacce, oltre a risolversi in
una mera minaccia, andava ampiamente ridimensionato per effetto del “capillare
comportamento vessatorio” da tempo reali77ato dal Boine, idoneo a ledere la
capacità di autocontrollo del dipendente.

La sussistenza di un tale contesto vessatorio emergeva inconfutabilmente dagli atti
acquisiti nel giudizio penale svoltosi a carico del Boine per il reato ex art. 572
c.p.c, (maltrattamenti) nei confronti del Palummieri, sfociato nelle condanna del
primo in entrambi i gradi di giudizio; ciò che rendeva del tutto sproporzionata
l’irrogata sanzione del licenziamento e che giustificava un risarcimento,a carico
del datore di lavoro, responsabile ex art. 2087 c.c., per le sofferenze subite dal
dipendente, equitativamente determinato in C 5.000,00.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la Autoindustriale Vigo s.r.l. con
quattro motivi.
Resiste Salvatore Palummieri con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo d’impugnazione la società ricorrente, denunciando violazione
o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 45 del R.D. 148/31 nonché
insufficiente o contraddittoria motivazione, lamenta che la Corte d’Appello di
Torino, pur riconoscendo l’oggettiva proporzionalità fra l’illecito contestato al
Palummeri e la sanzione espulsiva applicatagli, abbia annullato il licenziamento
per il particolare contesto di esasperazione generata dal comportamento vessatorio
di Boine Sergio, superiore gerarchico, tale da costituire di per sé un’attenuante
soggettiva della condotta realizzata dal lavoratore in data 24/5/2004, con
riferimento alla quale egli venne licenziato.
Ad avviso della ricorrente, tale presupposto, di una attenuante soggettiva a favore
del lavoratore, non risulterebbe dagli atti ed, in ogni caso la sua sussistenza non

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sarebbe stata sufficientemente motivata.
Il motivo è infondato.
Invero, la Corte territoriale ha posto alla base della propria decisione le
dichiarazioni rese dai testi escussi nel giudizio penale promosso nei confronti del
sig. Boine Sergio, in particolare quelle dei sig.ri Valentino, Tonini e Gaetani,

evidenziando che “le dichiarazioni provenienti dai colleghi di lavoro del
Palurnmieri. . .sono univoche nel descrivere l’attuale appellante come disponibile,
di carattere gioviale, tecnicamente preparato ed esperto nel suo lavoro, da tempo
soggetto a vessazioni da parte del capofficina Boine, che lo provocava, si
rivolgeva a lui con espressioni ingiuriose, manifestava scarsa considerazione della
sua professionalità. . .rendendogli invivibile la permanenza sul posto di lavoro”.
Ha evidenziato l’ammissibilità della valutazione di tali testimonianze, sulla base
del consolidato orientamento di questa Corte ( ex plurimis, Cass. n. 13619/20007;
Cass. 11775/2006; Cass. n. 20335/2004), secondo cui il giudice civile può
liberamente utilizzare le prove raccolte in un diverso giudizio tra le parti o tra
parti diverse, potendo persino avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle
indagini preliminari svolte in sede penale.
Ha altresì compiuto un esame complessivo degli atti del procedimento penale
suddetto, come risultanti dalla trascrizione del relativo verbale, prodotta dalla
stessa Autoindustriale Vigo.
Ha preso in considerazione lo stato di servizio del Palummieri, qualificandolo
come “da anni apprezzato dipendente dell’appellata società e mai destinatario di
sanzioni disciplinari di sorta” , sottolineandone quali accertati connotati, il
carattere gioviale, la sua disponibilità, la preparazione tecnica e la esperienza nel
suo lavoro.
Sulla base di tutti questi elementi la Corte d’Appello è giunta alla conclusione che
l’irrogazione della massima sanzione disciplinare non appariva proporzionata, non

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potendosi ritenere che la reazione avuta il 24-5-2004 dal Palurrunieri costituisse
elemento di per sé idoneo e sufficiente ad inficiare irrimediabilmente il rapporto
fiduciario da tempo esistente con l’Autoindustriale Vigo. Ciò nell’ottica della
correttezza e della buona fede alla luce delle quali andava letta ed interpretata la
dinamica di un rapporto contrattuale quale quello in esame.

Orbene, è evidente che tale motivazione, contrariamente a quanto sostenuto dalla
ricorrente, trae origine proprio dagli atti di causa, da cui emerge in modo
inequivocabile il clima di vessazioni ed umiliazioni cui era sottoposto il
lavoratore; non è censurabile in sede di legittimità, in quanto formalmente e
logicamente ineccepibile, oltre che fondata su evidenti elementi di fatto (i torti
subiti e l’impeccabile stato di servizio) e di diritto (i principi di correttezza e
buona fede alla base del rapporto contrattuale); è conforme all’orientamento della
giurisprudenza di legittimità allorquando ritiene valutabile a favore del lavoratore
l’elemento soggettivo, aderendo ad un principio di diritto che viene riconosciuto
dalla stessa ricorrente, la quale si è limitata a contestarne la sussistenza dei
presupposti nel caso di specie.
Né può soccorrere la tesi della società, quanto sostenuto in ricorso, secondo cui, la
Corte d’appello sarebbe “incorsa in un vizio logico, poiché ha ritenuto che
circostanze, evidenziatesi solo a distanza di anni, avrebbero dovuto incidere sulle
valutazioni dell’Azienda al momento di fatti oggetto di causa”.
Tale assunto non è condivisibile, posto che la Corte d’appello ha ritenuto che
l’azienda fosse perfettamente a conoscenza della condizione del proprio
dipendente, anteriormente al licenziamento. E tale convincimento della Corte è
stato dalla stessa esposto in sentenza con adeguata e logica motivazione, laddove
si afferma che “E’ proprio con riferimento a tale contesto, ampiamente emerso in
sede penale ed al quale il Palummieri fece espresso cenno nella lettera di
giusitificazioni inviata all’azienda dopo la contestazione del fatto, che

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l’irrogazione della sanzione disciplinare non appare proporzionata”; ed, ancora,
laddove si osserva: “Ebbene, nella specie risulta provata, alla luce delle
dichiarazioni rese da Vigo Giovanni e Penna Enrico nel procedimeto penale a
carico di Boine Sergio, la consapevolezza, in capo al datore di lavoro, del
comportamento, costituente reato, realizzato nei confronti del Palummieri dal

Boine”.
La Corte dunque, al contrario di quanto afferma la ricorrente, non ha affatto
ritenuto che “circostanze evidenziatesi solo a distanza di anni, avrebbero dovuto
incidere sulle valutazioni dell’Azienda al momento dei fatti oggetto di causa”,
poiché, a seguito di logico ed incensurabile iter argomentativo, è giunta alla
conclusione che il datore di lavoro fosse a conoscenza di tali circostanze, già al
momento dei fatti oggetto di causa.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione
dell’art. 474 c.p.c. nonché omessa e insufficiente motivazione, lamenta che la
Corte d’Appello, pur avendo riconosciuto in motivazione, la necessità di detrarre
dal danno riconosciuto al lavoratore, il c.d. aliunde perceptum nel dispositivo non
quantifica la somma che deve essere detratta dall’ammontare delle retribuzioni
privando in tal modo la sentenza del requisito di titolo esecutivo azionabile poiché
ai sensi dell art. 474 c.p.c. l’esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di
un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile”.
Il motivo è fondato.
Invero, la rilevazione del cd. aliunde perceptum o percipiendum – cioè della
rioccupazione del lavoratore licenziato, al fine di limitare il danno da risarcire a
seguito di un licenziamento illegittimo soggetto a tutela reale (ai sensi dell’articolo
18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, cit.) – non forma oggetto di eccezione
riservata alla parte interessata a proporla (quale, appunto, il datore di lavoro), in
quanto dedotta in giudizio per effetto della domanda dell’attore (quale, appunto, il
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lavoratore licenziato), ma è consentita, anche d’ufficio, se le relative circostanze di
fatto rilevanti risultano ritualmente acquisite al processo ad iniziativa di una
qualsiasi delle parti (in ossequio al principio della acquisizione processuale), con
la conseguenza che – secondo la giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, le
sentenze n. 1089/98 delle sezioni unite,n. 15065/2001, 3345/2000 della sezione

lavoro di questa Corte n. 10155/2005; in senso contrario, tuttavia, v. le sentenze
n. 5729/97, 5766/94 ed altre della sezione lavoro, tutte anteriori all’intervento
delle sezioni unite) – quando la rioccupazione del lavoratore licenziato risulti
ritualmente acquisita al processo, anche se per iniziativa del lavoratore e non del
datore di lavoro, il giudice ne deve tenere conto – anche d’ufficio – ai fini della
quantificazione del danno provocato dal licenziamento illegittimo.
Alla luce del principio di diritto enunciato, la sentenza impugnata merita le
censure – che le vengono mosse, laddove afferma che “dalla somma dovuta al
Palummieri a titolo di risarcimento del danno, commisurata alle retribuzioni
spettantegli dal momento del licenziamento sino all’effettiva reintegra, dovrà
essere detratto quanto dal Palummieri percepito nel medesimo periodo (dal
licenziamento all’effettiva reintegra) a titolo di corrispettivo per attività lavorative
svolte”.
Va soggiunto che, nella specie, la Corte territoriale ha anche puntualizzato che
l’eccezione avente ad oggetto la detraibilità dell’aliunde perceptum era stata
tempestivamente dedotta dalla società già in primo grado e risultava fondata, nel
merito, alla luce della documentazione avente ad oggetto le attività lavorative
svolte dal lavoratore dopo il licenziamento, depositata dallo stesso il 29/10/2009
presso la Cancelleria del Tribunale di Torino sez. Lavoro, in esecuzione
dell’ordinanza in tal senso emessa dal primo Giudice all’udienza del 30/9/2009.
Tanto è sufficiente per accogliere il secondo motivo del ricorso principale, perché
fondato e non ostandovi profili di inammissibilità.

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Con il terzo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione
dell’art. 1227 cod. civ. in relazione all’art. 18 Legge 300/70 nonché omessa e/o
insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, lamenta che, a
fronte del licenziamento intimato nel giugno del 2004 ed impugnato il 15 luglio
successivo, il Palummieri aveva proposto il ricorso avanti al Giudice del Lavoro

soltanto il 10 aprile 2009, pochi mesi prima che il diritto cadesse in prescrizione.
Tale condotta, caratterizzata da un ingiustificato ritardo nella proposizione della
domanda e concretantesi nella mancanza di buona fede e correttezza
comporterebbe -secondo la ricorrente- la riduzione del risarcimento del danno
spettante ai sensi dell’art. 18 1. n. 300/1970 per effetto dell’art. 1227 c.c.
Il motivo è infondato avendo la Corte d’appello deciso in proposito in modo
conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui va esclusa
l’applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, in relazione alle conseguenze dannose
discendenti dal tempo impiegato per la tutela giurisdizionale da parte del
lavoratore, in quanto tali conseguenze non possono essere imputate al lavoratore
tutte te volte che – sia che si tratti di inerzia endoprocessuale che di inerzia
preprocessuale – le norme attribuiscano poteri paritetici al datore di lavoro per la
tutela dei propri diritti e per la riduzione del danno (cfr. Cass. n. 2159/2011; Cass.
n. 488/2009; Cass. n. 25743/2007).
Tale principio, peraltro, è mitigato dal diritto riconosciuto in capo al datore di
lavoro, di ridurre il risarcimento de quo, deducendo da esso 1 ‘aliunde perceptum
che, -come emerge dalla sentenza impugnata- interessa il caso di specie.
Va po

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