Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18091 del 14/09/2016


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Cassazione civile sez. I, 14/09/2016, (ud. 13/07/2016, dep. 14/09/2016), n.18091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10429/2013 proposto da:

AUTOSHOP S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona

del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TEVERE 44, presso l’avvocato FRANCESCO DI GIOVANNI, rappresentata e

difesa dall’avvocato RODOLFO VITOLO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

PUBBLICO MINISTERO PRESSO IL TRIBUNALE DI SALERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di SALERNO, depositato il

20/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per, in via principale rinvio a nuovo

ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite, in subordine il

ricorso sia dichiarato manifestamente inammissibile.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1.- Con il decreto impugnato il Tribunale di Salerno ha dichiarato inammissibile la proposta di concordato preventivo presentata dalla s.r.l. Autoshop in liquidazione. In sintesi, il tribunale ha ritenuto insussistenti le condizioni di cui alla L. Fall., artt. 160 e 161, in quanto a) dalla stessa attestazione del professionista emergeva che il terzo destinato ad apportare nuova finanza, ossia la s.r.l. Autoshop Group (affittuaria dell’azienda, con impegno di acquisto), non avrebbe potuto far fronte a tale impegno con le risorse della gestione operativa, avendo dovuto far ricorso ad una fideiussione rilasciata, però, da società di assicurazioni di non primaria importanza; b) pur essendo previsto il pagamento del creditore ipotecario con accollo, trattandosi di concordato liquidatorio (come precisato dalla proponente), i creditori privilegiati non sarebbero stati pagati al momento dell’omologa e a fronte della dilazione non era previsto il diritto di voto di tali creditori; c) non vi era adeguata informazione circa la svalutazione imponente di crediti; d) non erano state contabilizzate le passività potenziali conseguenti a contenzioso tributario; e) la proposta prevedeva la cessione del compendio aziendale a soggetto predeterminato senza possibilità di gara; f) il piano prevedeva, per l’ipotesi di mancato accoglimento della transazione fiscale, la falcidia dell’IVA, con violazione di norma imperativa. Contro il decreto la società debitrice ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Non ha svolto difese il P.M. intimato. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 160, 161 e 162. Deduce che il tribunale – apparentemente limitando il suo esame alla legittimità – in realtà ha esaminato nel merito la proposta, estendendo il controllo all’attendibilità della relazione del professionista. Il motivo è manifestamente infondato. La questione posta con il ricorso è stata già chiarita dalle Sezioni unite di questa Corte (23 gennaio 2013 n. 1521) le quali hanno definito il professionista attestatore come professionista indipendente il quale svolge “funzioni assimilabili a quelle di un ausiliario del giudice, evidenziando che all’attestato del professionista medesimo deve “essere attribuita la funzione di fornire dati, informazioni e valutazioni sulla base di riscontri effettuati dall’interno, elementi tutti che sarebbero altrimenti acquisibili esclusivamente soltanto tramite un consulente tecnico nominato dal giudice. Da ciò le Sezioni unite traggono la conseguenza per la quale va escluso che destinatari naturali della funzione attestatrice siano soltanto i creditori e, viceversa, che il giudicante ben possa discostarsi dal relativo giudizio, così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazioni di un suo ausiliario. E’ certo, peraltro, secondo la S.C. che il controllo del giudice non è di secondo grado, ossia destinato realizzarsi soltanto sulla completezza e congruità logica dell’attestato del professionista, potendo invece estendersi sino alla verifica “del collegamento effettivo fra i dati riscontrati ed il conseguente giudizio. Secondo la S.C., poi, è indubbio che “spetti al giudice verificare la fattibilità giuridica del concordato e quindi esprimere un giudizio negativo in ordine all’ammissibilità quando modalità attuative risultino incompatibili con norme inderogabili”, mentre, laddove entrino in discussione gli aspetti relativi alla fattibilità economica, di ogni rischio si fanno “esclusivo carico i creditori, una volta che vi sia stata corretta informazione sul punto. Invero, la proposta di concordato deve necessariamente avere ad oggetto la regolazione della crisi, la quale a sua volta può assumere concretezza soltanto attraverso le indicazioni delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse comprese quindi le relative percentuali ed i tempi di adempimento), rispetto alla quale la relativa valutazione (sotto i diversi aspetti della verosimiglianza dell’esito e della sua convenienza) è rimesso al giudizio dei creditori, in quanto diretti interessati. Giudizio che presuppone che i creditori ricevano una puntuale informazione circa i dati, le verifiche interne e le connesse valutazioni, incombenti che assumono un ruolo centrale nello svolgimento della procedura in questione ed al cui soddisfacimento sono per l’appunto deputati a provvedere dapprima il professionista attestatore, in funzione dell’ammissibilità al concordato (L. Fall., art. 161), e quindi il commissario giudiziale prima dell’adunanza per il voto (L. Fall., art. 172). Dalla sintesi del provvedimento impugnato, riportata sub p. 1, appare evidente che nessuno sconfinamento dai propri poteri ha posto in essere il tribunale, il quale ha giudicato dell’inammissibilità della proposta sulla base degli stessi dati forniti dall’attestatore. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 162, comma 1. Deduce che il tribunale non ha tenuto conto dei chiarimenti forniti. Il motivo è manifestamente infondato, nella parte in cui imputa al tribunale l’omessa valutazione di chiarimenti, posto che il provvedimento impugnato per ogni punto esaminato ha richiamato (quando sono stati offerti) proprio i chiarimenti della ricorrente (anche quando la debitrice “ha ritenuto di nulla spiegare sul punto”, come l’attestatore che ha ribadito la correttezza dell’attestazione: cfr. p. 3 del decreto), mentre è inammissibile nel resto perchè veicola censure inammissibili in quanto versate in fatto. 2.3.- Con il terzo motivo deduce che la segnalazione al PM è indebita o inutile e si risolve in una sollecitazione a chiedere il fallimento. Si tratta di censura inammissibile, perchè la informativa al PM non ha portata decisoria. 3.- Va rilevato che con ordinanza n. 3472/2016 questa sezione ha rimesso alle sezioni unite la questione se, in base alla normativa conseguente al D.Lgs. n. 169 del 2007, il decreto di diniego di ammissione al concordato preventivo, senza contestuale o successiva dichiarazione di fallimento, sia o meno ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.. Tuttavia, poichè in applicazione del principio processuale della ragione più liquida – desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. – deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale irrisolta, avendo quel principio la funzione di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare (art. 276 c.p.c.), in una prospettiva attenta alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, non resta alla corte che dichiarare inammissibile il ricorso ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c.. Deve provvedersi altresì al1raccertamento di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, applicabile ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge, avvenuta il 30 gennaio 2013.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2016

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