Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1809 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. III, 28/01/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 28/01/2010), n.1809

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 5301/2009 proposto da:

COMUNE di BRANZI (BG) in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIVITAVECCHIA 7, presso lo

studio dell’avvocato BAGNASCO PIERPAOLO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SONZOGNI RAFFAELLA, giusta Delib. di

Giunta 4 febbraio 2009, n. 4/1, e giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.D., S.E., M.M.I., B.L.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 40, presso lo

studio dell’avvocato MINUCCI FRANCO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato STEFANINI NICOLA, giusta procura alle liti a

margine della seconda pagina del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

M.G., MI.GI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1039/2008 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA del

12.11.08, depositata il 03/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO

SCARDACCIONE.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

p.1. Il Comune di Branzi ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia pronunciata in data 12-11/3-12-2008 nella controversia con M.D., S.E., M.M. e B.L..

Detta sentenza, per quanto qui interessa, accoglieva l’appello incidentale degli odierni resistenti e, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Bergamo n.778 del 2006, estendeva al Comune di Branzi, in solido con M.G. e Mi.Gi., ogni statuizioni di condanna, inibitoria e imperativa già emessa in primo grado nei confronti dei predetti M.G. e Mi.Gi..

p.1.1. Hanno resistito al ricorso M.D., S.E., M.M. e B.L., depositando controricorso con cui hanno dedotto l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza dell’impugnazione.

Non hanno svolto attività difensiva M.G. e Mi.Gi., ai quali il ricorso risulta pure notificato, ancorchè non indichi formalmente se sia stato proposto anche nei loro confronti.

p.2. Essendo il ricorso soggetto alla disciplina delle modifiche al processo di cassazione, disposte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 (che si applicano ai ricorsi proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 compreso, cioè dalla data di entrata in vigore del D.Lgs.: art. 27, comma 2 di tale D.Lgs.) ed essendosi ritenute sussistenti le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Il Magistrato redattore della relazione è stato sostituito perchè impedito a partecipare all’adunanza della Corte, nell’imminenza della quale la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

p.1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., si sono svolte le seguenti considerazioni:

“(….) 3. – Il ricorso appare inammissibile perchè formulato senza rispettare i requisiti di cui all’art. 366 bis c.p.c., nel testo qui applicabile, introdotto con il cit. D.Lgs..

3.1. Innanzitutto si rammenta che la formulazione del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve avvenire in modo rigoroso e preciso, evitando quesiti multipli o cumulativi. Da ciò consegue che i motivi di ricorso fondati sulla violazione di leggi e quelli fondati su vizi di motivazione debbono essere sorretti da quesiti separati. Invero le Sezioni Unite – pur ritenendo ammissibile, in via di principio, il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto – hanno precisato che a tali effetti occorre che il motivo si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (Cass. civ., Sez. Unite, 31/03/2009, n. 7770). E ciò non è avvenuto nella specie.

Invero entrambi i motivi – denunciatiti congiuntamente violazione di legge e vizio di motivazione – si concludono con un unico quesito.

3.2. Anche a prescindere da tale argomentazione, occorre osservare che i due quesiti si rivelano di assoluta genericità e astrattezza. Manca una chiara sintesi logico-giuridica delle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr. Sez. Unite n.23732/2007). Invero il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. civ., Sez. 3^, 30/09/2008, n.24339).

3.3. Non appare superfluo aggiungere che anche l’esposizione del fatto appare lacunosa”.

p.2. Il Collegio, letta la relazione e la memoria, rileva che nella specie appare assolutamente preliminare il rilievo in ordine alla lacunosità dell’esposizione del fatto, ancorchè formulato per ultimo e, peraltro, oggetto di eccezione da parte dei resistenti.

In proposito, in punto di rilievo del requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, si rileva che “per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di Cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa” (ex multis, Cass. n. 7825 del 2006).

Nello stesso ordine di idee si è, inoltre, sempre ribadendo lo stesso concetto, precisato che “il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., n. 3, postula che il ricorso per cassazione, pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia, offra, almeno nella trattazione dei motivi di impugnazione, elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti, ivi compresa la sentenza impugnata”. E, in applicazione di tale principio si è dichiarato inammissibile il ricorso in cui risultavano omesse: la descrizione dei fatti che avevano ingenerato la controversia, la posizione delle parti e le difese spiegate in giudizio dalle stesse, le statuizioni adottate dal primo giudice e le ragioni a esse sottese, avendo, per tali fondamentali notizie, il ricorrente fatto rimando alla citazione in appello) (Cass. n. 4403 del 2006).

Va, altresì, ricordato che costituisce principio altrettanto consolidato che, ai fini della detta sanzione di inammissibilità, non è possibile distinguere fra esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente (Cass. n. 1959 del 2004). La conseguenza è sempre l’inammissibilità per inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.

p.2.1. Ora, nel caso di specie il ricorso, nella parte dedicata al “Fatto ed iter processuale”, si limita a riferire dell’atto di citazione introduttivo della controversia identificando la vicenda sostanziale in modo del tutto sommario, cioè limitandosi ad enunciare che M.D., S.E., M.M. e B.L. convenivano in giudizio M.G. e Mi.Gi. ed il Comune ricorrente “per ottenere il risarcimento dei danni provocati al loro terreno, a seguito di crollo di parte rocciosa nell’ambito di attività di cava di ardesia, ubicata nei pressi del terreno di loro proprietà”, nonchè che proponevano “anche un ricorso per denunzia di danno temuto”.

Come si vede questi minimi riferimenti tralasciano completamente di individuare la specificazione delle ragioni della legittimazione passiva ascritta ai convenuti e, quindi, non identificano la vicenda sostanziale dedotta in giudizio.

Dopo i passi richiamati si fa riferimento alla costituzione del Comune ed alla difesa assunta da Esso nel senso di non avere attività di escavazione alcuna e che la “(OMISSIS)” era di proprietà degli altri due convenuti.

Anche queste deduzioni restano inidonee ad individuare la vicenda sostanziale.

Quindi, si fa riferimento all’essere state sentite le parti e gli “informatori” ed all’essere stata disposta una C.T.U., “sia per il pericolo di crollo sia per la quantificazione dei danni”. Di seguito, si riporta il dispositivo della sentenza di primo grado ed ancora si dice che la sentenza venne appellata da M.G. e Mi.Gi. sull’entità dei danni, nonchè dagli attori in via incidentale con richiesta di estensione della responsabilità solidale per il danno cui erano stati condannati gli altri due convenuti. Si dice, poi, che la Corte territoriale avrebbe “rigettato il gravame” ed “accolto la richiesta di coinvolgimento del Comune di Branzi a titolo di responsabilità solidale”.

Come si vede, le scarne allegazioni riferite lasciano del tutto incerta l’individuazione dei termini dell’azione esercitata ed a monte della vicenda sostanziale che ne fu l’oggetto, non riferiscono delle difese degli altri due convenuti, non fanno riferimento alle ragioni della sentenza di primo grado.

In tal modo non rispettano i principi di diritto sopra richiamati.

Nè l’esposizione dei motivi pone rimedio alla rilevata insufficienza dell’esposizione del fatto, posto che continua a lasciare incerti i termini dell’azione e della vicenda sostanziale e dove discorre di punti controversi lo fa supponendo che il lettore abbia una conoscenza di essi che non fornisce.

p.2.2. Il Collegio rileva, inoltre, l’esistenza di un’altra causa di inammissibilità, essendovi legittimato dall’art. 380 bis c.p.c., u.c., (testo anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 69 del 2009) che impone il rinvio alla pubblica udienza solo se non si ritengano sussistenti le ipotesi di cui all’art. 375, e, quindi, anche ipotesi non individuate dalla relazione.

La causa di inammissibilità de qua è rappresentata dall’inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Entrambi i motivi del ricorso si fondano sulle risultanze della C.T.U., ma non indicano dove in questa sede di legittimità essa sarebbe esaminabile dalla Corte ed in particolare: a) se si sia inteso fare riferimento alla sua eventuale presenza nel fascicolo d’ufficio del giudizio di appello, in quanto pervenutavi per effetto dell’eventuale acquisizione del fascicolo di primo grado in cui l’originale avrebbe dovuto essere inserito; b) se, invece, si sia prodotta copia della relazione del C.T.U. in questa sede, anche ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, e come sarebbe stato necessario cautelativamente, tenuto conto che proprio questa norma, facendo riferimento anche agli atti processuali, parrebbe comportare che la parte ricorrente in cassazione non possa confidare sulla loro presenza nel fascicolo d’ufficio.

In disparte quest’ultimo rilievo, l’omessa indicazione specifica nei termini appena indicati si risolve in violazione dell’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 (si veda, in termini, Cass. (ord.) n. 26266 del 2008, fra le tante).

L’esistenza delle due cause di inammissibilità rilevate rende inutile soffermarsi sull’altra rilevata nella relazione e sulle considerazioni al riguardo della memoria.

p.3. Il ricorso è, dunque, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione ai resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro tremila, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

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