Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18088 del 14/09/2016


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Cassazione civile sez. I, 14/09/2016, (ud. 08/07/2016, dep. 14/09/2016), n.18088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16859/2014 proposto da:

R.G. S.N.C., già R.G. & P. S.N.C., in

proprio e nella qualità di mandataria dell’ATI costituita con le

mandanti EDILMAR S.R.L., DITTA PARADISO ARMANDO e COPIETRA SUD

S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 269,

presso l’avvocato ROMANO VACCARELLA, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CARLO COLAPINTO, DONATO BRUNO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ACQUEDOTTO PUGLIESE S.P.A.;

– intimata –

nonchè da:

AQP S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI CONDOTTI 91, presso

l’avvocato PIA MARIA BERRUTI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CARLO ANGELICI, ROBERTO SAVINO, VALENTINA

PANNUNZIO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

R.G. S.N.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3265/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2016 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

uditi, per la ricorrente, gli Avvocati C. COLAPINTO e R. VACCARELLA

che hanno chiesto l’accoglimento dei propri motivi, inammissibilità

del ricorso incidentale;

uditi, per la controricorrente e ricorrente incidentale, gli Avvocati

P.M. BERRUTI, C. ANGELICI e V. PANNUNZIO che hanno chiesto

raccoglimento del proprio ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di licitazione privata ex D.Lgs. n. 158 del 1995, l’Acquedotto Pugliese affidava alla Impresa R., in proprio e quale mandataria dell’ATI, il servizio di custodia, controllo, espurgo, sanificazione delle opere di fognatura e i lavori di manutenzione, nell’ambito territoriale n. 8, con contratto di durata triennale, dal 1/10/00 al 30/9/03, e al termine, senza pubblica gara, confermava l’appalto con proroghe o rinnovi scritti dell’originario contratto, a volte con variazioni dell’oggetto o aumento del ribasso d’asta, per otto proroghe sino al 31/3/06, sempre con riferimento al contratto del 2000, tempi e modi di esecuzione e prezziario del capitolato speciale; l’Impresa R. avanzava il 25/7/06 domanda di arbitrato, facendo valere l’invalidità dei contratti di proroga e di rinnovo conclusi dal 1/10/03 al 31/3/06, senza la necessaria forma scritta, da ciò conseguendo la remunerazione delle prestazioni extracontrattuali secondo i prezzi di mercato, con la rifusione degli oneri di sicurezza relativi al servizio di conduzione e ai lavori di manutenzione, per l’importo totale di Euro 9.484.075,31; in subordine, chiedeva la condanna al pagamento di Euro 1.887.501,05, di cui Euro 1.449.690,35 per riserve ed Euro 437.80,70 per differenza ribasso, o la somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, oltre rivalutazione e interessi; in ulteriore subordine, la condanna alla rivalutazione periodica del prezzo di appalto, nell’importo di Euro 2.666.168,21, oltre accessori.

La società Acquedotto Pugliese deduceva di essere un’impresa pubblica ma a carattere economico imprenditoriale, che non era applicabile il divieto di rinnovo tacito dei contratto di servizi e forniture di cui alla L. n. 537 del 1993, art. 6; in subordine,eccepiva la carenza di giustificazione del quantum, la nullità delle proroghe dal 30/9/03, per la violazione di norme imperative e deduceva la compensazione di ogni eventuale credito dell’impresa con le somme percepite indebitamente dopo la scadenza contrattuale.

Disposta ed espletata C.T.U., il collegio arbitrale dichiarava la nullità dei contratti di proroga/rinnovazione decorrenti dal 1/10/03 al 31/3/06, accoglieva la domanda subordinata di indennizzo ex art. 2041 c.c., per l’effetto compensava i pagamenti ricevuti dall’impresa in corso di rapporto, e condannava l’Acquedotto Pugliese al pagamento della somma di Euro 5.837.491,93 oltre iva, oltre rivalutazione monetaria pari ad Euro 306.468,32, ed interessi legali pari ad Euro 434.706,00, sino all’effettivo soddisfo; riteneva assorbite e comunque rigettava le ulteriori domande; compensava le spese di difesa, ponendo a carico delle parti per il 50% ciascuna le spese dell’arbitrato e della C.T.U..

La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 25/2-16/5/2014, in accoglimento dell’impugnazione proposta da Acquedotto Pugliese s.p.a., ha dichiarato la nullità del lodo arbitrale sottoscritto il 7/11/2007; ha dichiarato la nullità dei contratti di proroga e di rinnovo stipulati tra le parti; ha rigettato la domanda di ulteriore remunerazione e di risarcimento dei danni proposta in via principale e tutte le domande subordinate dell’Impresa R. in proprio e quale mandataria dell’ATI, unitamente alle mandanti; ha condannato l’Impresa R. in proprio e quale mandataria dell’ATI unitamente alle mandanti a restituire all’Acquedotto Pugliese s.p.a. le somme corrisposte in esecuzione del lodo, nonchè alle spese del giudizio, negli importi liquidati.

La Corte del merito nello specifico:

ha respinto l’eccezione di inammissibilità dei motivi di impugnazione in quanto intesi a far valere la violazione delle norme di diritto, atteso che la clausola compromissoria era stata stipulata prima della riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006;

ha ritenuto “alquanto opinabile” che si potesse considerare sollevata l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione, stante l’inappellabilità del lodo stabilita all’art. 14 del Regolamento di Conciliazione e di Arbitrato della Camera arbitrale italiana, alla quale era devoluta la controversia secondo il contratto, atteso che le ragioni a sostegno dell’eccezione erano state segnalate in una sintetica postilla, e ha comunque rilevato che detto regolamento, elaborazione di un ente privato, non era stato depositato da nessuna delle parti;

ha respinto l’eccezione di nullità della clausola per la nullità del contratto a cui accede, richiamando il principio dell’autonomia della clausola, nonchè l’eccezione intesa a far valere la mancata costituzione del collegio arbitrale secondo il D.Lgs. n. 163 del 2006 (codice degli appalti), rilevando che Acquedotto Pugliese non aveva indicato quale effetto pregiudizievole avesse avuto il ricorso alla diversa procedura e che, sotto il profilo della composizione del Collegio arbitrale, detta eccezione non era stata fatta valere nel procedimento arbitrale.

Ha ritenuto fondato il secondo motivo, rilevando che erroneamente gli arbitri avevano ritenuto ammissibile l’azione ex art. 2041 c.c., in carenza del requisito della sussidiarietà, essendo accordata l’azione di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., anche se la prestazione si è concretizzata in un fare e che comunque erano carenti i presupposti dell’art. 2041 c.c., atteso che lo squilibrio economico a favore di una parte e in pregiudizio dell’altra era giustificato dal consenso della parte che assumeva di essere stata danneggiata, come riconosciuto dalla stessa Impresa e reiteratamente affermato dagli Arbitri. La Corte del merito ha infine ritenuto assorbito l’ulteriore motivo di impugnazione dell’Acquedotto Pugliese.

Ricorre avverso detta pronuncia la R.G. s.n.c. già R.G. e P. s.n.c., in proprio e quale mandataria dell’ATI con le mandanti Edilmar s.r.l., Ditta P.A. e Copietra sud s.r.l., con ricorso affidato a due motivi.

Si difende con controricorso l’Acquedotto Pugliese ed avanza ricorso incidentale basato su quattro motivi.

Ambedue le parti hanno depositato le memorie ex art. 378 c.p.c.; la difesa della ricorrente ha presentato le osservazioni alle conclusioni del P.G., ex art. 379 c.p.c., u.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Col primo motivo, la ricorrente denuncia i vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4; sostiene che Acquedotto Pugliese non ha replicato, in particolare nella comparsa conclusionale, in relazione all’eccepita devoluzione al Collegio arbitrale in conformità al Regolamento di conciliazione ed arbitrato della Camera arbitrale italiana, il cui art. 14, u.c. stabilisce l’inappellabilità, salvo il disposto, ove applicabile, di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 35 e succ.mod..

Si duole dell’equivoca locuzione della Corte d’appello (“alquanto opinabile”), comunque priva di motivazione e sostiene che, ove ritenuta l’eccezione inammissibile, la Corte di merito avrebbe sollevato d’ufficio la questione, senza alcuna motivazione; deduce che, avendo ritenuto infondata l’eccezione per non essere stato prodotto il regolamento, la Corte capitolina ha deciso senza provocare sul punto il contraddittorio ed ha violato il principio per cui i fatti pacifici non abbisognano di prova; rileva infine che era onere dell’impugnante provare l’ammissibilità.

1.2.- Col secondo, si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2033 c.c..

Rileva che il consenso su contratto nullo non può in alcun modo proteggere gli effetti del contratto e richiama l’orientamento della S.C. in relazione alla ripetibilità, condizionata dal contenuto della prestazione, e dalla concreta possibilità di ripetizione.

Col primo motivo del ricorso incidentale, l’Acquedotto Pugliese denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 1, artt. 806 e 808 c.p.c. e art. 1418 c.c.; sostiene la nullità della clausola compromissoria, atteso che la causa di nullità è esterna al contratto e comune a questo e alla clausola, e che nel caso si tratta del vizio, procedimentale ed insanabile, della pretermissione del procedimento di aggiudicazione.

Col secondo, deduce che la Corte d’appello non si è pronunciata o si è pronunciata erroneamente sul motivo di impugnativa volto a far valere l’estraneità della valutazione dell’arricchimento ingiustificato rispetto all’ambito oggettivo della clausola compromissoria, ed evidenzia la diversità della domanda ex art. 2041 c.c., rispetto all’azione contrattuale.

Col terzo, si duole del vizio di omessa pronuncia sulla deduzione di inesistenza-nullità del lodo per incompromettibilità o indisponibilità oggettiva della materia in esame, ex art. 806 c.p.c..

2.4.- Col quarto, ripropone la questione di nullità del lodo ritenuta assorbita, per la violazione del principio del contraddittorio, per avere gli Arbitri deciso sulla domanda ex art. 2041 c.c., formulata in modo irrituale e non specifico e per l’uso dei documenti non comunicati dal C.T.U.

I primi tre motivi del ricorso incidentale vanno valutati unitariamente ed antecedentemente ai motivi della ricorrente, per l’evidente anteriorità logico-giuridica degli stessi, rispetto ai motivi del ricorso principale.

I tre motivi sono inammissibili, per carenza di interesse.

Ed infatti, la Corte del merito ha ritenuto la nullità del lodo per la violazione di regole di diritto, di talchè non può riconoscersi in capo all’Acquedotto Pugliese alcun interesse ad ottenere la medesima pronuncia di nullità, sia pure alla stregua dei diversi motivi prospettati.

La parte vorrebbe sostanzialmente ottenere una modifica degli argomenti motivazionali addotti dal Giudice del merito, che non incidono sulla tutela dell’interesse sostanziale, mentre l’ordinamento tutela non l’astratta conformità a legge della decisione, ma la conformità a legge delle decisioni suscettibili di ledere interessi concreti controversi in causa (sul principio, tra le ultime, le pronunce 4981/2016, 658/2015 e 6631/2006).

4.1.- Il primo motivo del ricorso principale infondato.

E’ opportuno premettere che la Corte capitolina ha deciso in relazione al motivo inteso a far valere l’inammissibilità dell’impugnazione, al di là dell’inciso relativo alla stessa modalità di formulazione del motivo, rilevando la mancata produzione in giudizio del regolamento della Camera arbitrale, “richiamato dall’art. 54 del capitolato speciale d’appalto, e dunque parte integrante del titolo fatto valere dalla parte ricorrente”.

Ora, come è noto, la recente pronuncia delle S.U. 9341/2016, risolvendo la questione di diritto intertemporale relativa alla impugnabilità del lodo per violazione di regole di diritto nella disciplina riformata di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, ha affermato che: “In applicazione della disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, l’art. 829 c.p.c., comma 3, come riformulato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 24, si applica nei giudizi arbitrali promossi dopo l’entrata in vigore del suddetto decreto, ma la legge cui lo stesso art. 829 c.p.c., comma 3, rinvia, per stabilire se è ammessa l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, è quella vigente al momento della stipulazione della convenzione d’arbitrato”.

Ne consegue che la non impugnabilità avrebbe dovuto essere convenuta dalle parti, ed adeguatamente provata.

Ed allora la non impugnabilità configura una rinuncia ad un diritto, che la parte che se ne voglia avvalere è tenuta a provare.

Ciò posto, si deve rilevare che non è invocabile l’art. 115 c.p.c., nella formulazione di cui alla L. n. 69 del 2009, applicabile ai giudizi iniziati dopo l’entrata in vigore della stessa legge (nel caso, il giudizio di impugnazione è stato incardinato nel 2008 e quello arbitrale nel 2006); che in nessun atto, per come indicato dalla stessa ricorrente, vi è stato il riconoscimento della non impugnabilità ad opera della Acquedotto Pugliese; che la ricorrente non può utilmente riferirsi al testo dell’art. 14, u.c., del Regolamento di cui si tratta, come indicato dalla controparte, atteso che nella memoria di replica, questa ha fatto riferimento a detta norma, come richiamata nella clausola compromissoria “contenuta (solo) nel contratto del 2000…”, con ciò evidentemente negando il richiamo nei successivi contratti, che fanno parte della materia del contendere.

Ancora, non potrebbe in ogni caso ravvisarsi la cd. relatio perfecta, idonea a far ritenere assolto al requisito della forma scritta della clausola compromissoria e che postula il richiamo esplicito ed univoco, principio affermato tra le ultime, nelle pronunce 812/2016 e 747/2015.

Quanto alla censura di violazione del contraddittorio, la stessa è stata fatta valere impropriamente dalla ricorrente in relazione ad un motivo di impugnazione dalla stessa parte avanzato.

2.2.- Il secondo motivo del ricorso principale deve ritenersi Infondato, all’esito della valutazione complessiva.

A riguardo, deve rilevarsi che la Corte del merito ha addotto due diverse rationes decidendi, per respingere la domanda ex art. 2041 c.c..

Il primo argomento addotto dalla Corte capitolina è infondato, atteso che, per l’orientamento più recente di questa Corte, l’azione di indebito oggettivo ha carattere restitutorio, cosicchè la ripetibilità è condizionata dal contenuto della prestazione e dalla possibilità concreta di ripetizione, secondo le regole previste dagli artt. 2033 c.c. e segg. (e cioè quando abbia avuto ad oggetto una somma di denaro o cose di genere ovvero, infine, una cosa determinata), operando altrimenti, ove ne sussistano i presupposti, in mancanza di altra azione, l’azione generale di arricchimento senza causa prevista dall’art. 2041 c.c., che assolve alla funzione, in base ad una valutazione obbiettiva, di reintegrazione dell’equilibrio economico: pertanto, nel caso di prestazione di “tacere”, la quale non è suscettibile di restituzione e, in quanto indebita, non è oggetto di valide ed efficaci determinazioni delle parti circa il suo valore economico, non è proponibile l’azione di indebito oggettivo ma, in presenza dei relativi presupposti, solo quella di ingiustificato arricchimento (così le pronunce 6747/2014, 9052/2010, 21647/2005, mentre difforme è la risalente pronuncia 2029/82).

La Corte del merito ha peraltro ulteriormente rilevato, al di là del riferimento “secco” al principio espresso nella pronuncia 7373/2003, che la R. aveva liberamente prestato il proprio assenso ai rinnovi ed alle proroghe al di fuori di qualsiasi pubblica gara dopo la scadenza del contratto del 30/9/2003, che, come reiteratamente affermato dagli Arbitri, l’invalidità era dovuta alla violazione di norme imperative di carattere generale, e che l’impresa quindi aveva svolto le sue prestazioni “anche per la realizzazione di un suo preciso interesse, di rilevante contenuto patrimoniale”.

Ora, premesso che, come è noto, l’azione di arricchimento può operare solo nei limiti dell’arricchimento e dell’impoverimento, va rilevato che le Sezioni unite, nella pronuncia 23385/2008, hanno affermato il principio, seguito dalle successive sentenze delle sezioni semplici 20648/2011 e 23780/2014, secondo cui l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c., nel caso di prestazione di facere, va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace, proprio perchè detta azione non ha funzione risarcitoria, ma restitutoria, non assimilabile ad un meccanismo inteso a riconoscere il “giusto corrispettivo”: ed infatti, l’art. 2041 c.c., è chiaramente inteso ad operare solo nei limiti dell’arricchimento e dell’impoverimento, quando sia riscontrabile detto saldo.

Ciò posto, si deve rilevare che, nel caso di cui si tratta, l’Impresa R. ha prestato assenso alla percezione del corrispettivo per il periodo delle proroghe e dei rinnovi nella misura corrispondente a quella fissata nell’originario accordo ormai scaduto, come circostanziatamente rilevato dalla Corte d’appello nel riferimento alle reiterate affermazioni del Collegio arbitrale, a pagina 13, 3 alinea, ultima parte, della sentenza.

E tale rilievo vale ad escludere di per sè la sussistenza dell’arricchimento e dell’ impoverimento in fatto ingiustificati. 2.3.- Il quarto motivo del ricorso incidentale resta assorbito.

3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso principale e vanno dichiarati inammissibili i motivi primo, secondo e terzo del ricorso incidentale, assorbito il quarto; la soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte respinge il ricorso principale, e dichiara inammissibili i motivi primo, secondo e terzo del ricorso incidentale, assorbito il quarto.

Compensa le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2016

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