Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18087 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/07/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 05/07/2019), n.18087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7358-2018 proposto da:

P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MEDAGLIE D’ORO 169, presso lo studio dell’avvocato JACOPO DI

GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE TATA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2999/4/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA SEZIONE DISTACCATA di SIRACUSA, depositata

il 08/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PIERPAOLO

GORI.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 2999/4/17 depositata in data 8 agosto 2017 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sez. staccata di Siracusa, rigettava l’appello proposto da P.V. avverso la sentenza n. 1093/2/14 della Commissione tributaria provinciale di Siracusa che aveva a sua volta disatteso il ricorso proposto dal contribuente avente ad oggetto un avviso di accertamento per II.DD. 2008, da reddito di partecipazione della Società Turistica La Perla srl;

– Avverso tale decisione, hanno proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo quattro motivi, che illustra con memoria. L’Agenzia delle entrate non si è costituita.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– In via pregiudiziale, va dato atto del deposito anteriormente all’adunanza camerale dell’attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, ai fini della regolarità della notifica pec, unitamente alla memoria;

– Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – il contribuente lamenta la manifesta illogicità della motivazione; Il motivo è infondato. La Corte reitera l’insegnamento secondo cui “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232); rammenta inoltre che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053);

– Nel caso di specie, la motivazione in alcun modo può collocarsi al di sotto del minimo costituzionale, essendo compiuto lo svolgimento del fatto e del processo, e ricostruita analiticamente la logica alla base della conferma della ripresa a tassazione, sulla base di accertamento analitico-induttivo basato su presunzioni qualificate dalla CTR gravi, precise e concordanti sulla base di una grave antieconomicità in capo alla società, da cui il reddito da partecipazione in capo al contribuente, in proporzione alla misura di cui era socio nel periodo di imposta;

– Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il contribuente lamenta la violazione dell’art. 2909 c.c., per non aver la CTR tenuto conto di sentenze rese inter partes dalla CTP – n. 384/2/10 – e dalla CTR – n. 45/6/12 -, deducendo che quest’ultima è definitiva;

– Con il quarto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il contribuente lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti, avendo la CTR ritenuto che la documentazione versata agli atti dagli stessi non fosse idonea a giustificare gli scostamenti indicati dagli avvisi di accertamento rispetto ai parametri di riferimento;

– I motivi sono inammissibili per difetto di autosufficienza. “In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto.” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24340 del 04/10/2018 – Rv. 651398 – 01); “In materia di cosa giudicata costituisce “ius receptum” che i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata impongono al giudice di rilevare d’ufficio, anche in sede di legittimità, il giudicato esterno, sia che questo risulti dagli atti del giudizio di merito, sia nel caso in cui si formi successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, ed anche prescindendo da eventuali allegazioni in tal senso delle parti, purchè risulti, dall’esame dei rispettivi scritti difensivi, che esse abbiano avuto piena conoscenza della pendenza di altro giudizio.” (Cass., Sez. L, Sentenza n. 6102 del 17/03/2014, Rv. 630607 – 01)

– Nel caso di specie, senza necessità di esaminare la fondatezza delle doglianze, il contribuente non riproduce i passaggi degli atti di primo e secondo grado in cui avrebbero introdotto la questione del passaggio in giudicato della sentenza della CTR e la questione, per i principi di diritto sopra richiamati, non è rilevabile d’ufficio in assenza di tali elementi di fatto, ritualmente acquisiti agli atti. Parallelamente, la doglianza generica fatta valere come vizio motivazionale circa la presunta idoneità documentazione versata agli atti a giustificare gli scosta-menti indicati dagli avvisi di accertamento rispetto ai parametri di riferimento, non è accompagnata da indicazione di quali documenti, ritualmente acquisiti al processo, non sarebbe stato tenuto conto;

– Con il terzo motivo – senza precisazione di quale parametro ex art. 360 c.p.c., comma 1 si assuma la violazione – il contribuente deduce la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, c.c., per non aver la CTR dichiarato illegittimo l’accertamento nonostante la presenza di regolare contabilità e in assenza di indizi gravi precisi e concordanti;

– Il motivo, al limite dell’inammissibilità, ma salvabile previa sua qualificazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è infondato. La Corte reitera l’insegnamento secondo cui “Nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perchè basata su contabilità complessivamente inattendibile in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità.” (Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 25257 del 25/10/2017, Rv. 645975 – 01);

In tema di accertamento, l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, che può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purchè preciso e grave, quale l’abnormità della percentuale di ricarico.” (Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 27552 del 30/10/2018, Rv. 650956 – 01);

– Premesso che nel caso di specie si controverte del reddito da partecipazione imputato al contribuente pro quota, la CTR ha in ogni caso rispettato i richiamati principi di diritto, ritenendo che l’accertamento analitico/induttivo nel caso di specie fosse adeguatamente supportato da indizi gravi precisi e concordanti, consistenti in una macroscopica antieconomicità rispetto ad “imprese che operano nello stesso settore e nello stesso territorio nel quale opera la società”, in quanto “i costi risultano oltremodo dilatati, mentre i ricavi sono inspiegabilmente compressi (…) una situazione siffatta protraendosi per diversi esercizi non è giustificabile in alcun modo, atteso che i risultati antieconomici della gestione portano ineluttabilmente all’erosione del patrimonio aziendale, per cui è incomprensibile come tale stato di cose si sia potuto protrarre per un così lungo tempo”. Tale linea di motivazione rispetta piamente i canoni giurisprudenziali sopra riportati;

– Da quanto precede discende il rigetto del ricorso e, in assenza di costituzione da parte dell’Agenzia, non dev’essere adottata decisione alcuna sulle spese.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

La Corte dà atto che, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), per effetto del presente provvedimento sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis, T.U. spese di giustizia.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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