Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18086 del 21/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 21/07/2017, (ud. 05/06/2017, dep.21/07/2017),  n. 18086

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi iscritti ai n. 5959/2010 e 6067/2010 R.G. proposti da:

Finsev S.p.A., rappresentata e difesa dall’avv. Emilio Zecca, con

domicilio eletto in Roma, via Germanico 146, presso lo studio

dell’avv. Ernesto Mocci;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 07/28/09, depositata il 20 gennaio 2009.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 giugno 2017

dal Consigliere Tedesco Giuseppe.

Letta la memoria del pubblico ministero, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che la contribuente ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia (Ctr) che ha rigettato l’appello proposto contro la sentenza di primo grado, che aveva a sua volta rigettato il ricorso contro cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione Modello Unico 2002 (presentata per l’anno di imposta 2001);

che in particolare l’iscrizione derivava dal mancato riconoscimento delle eccedenze di credito Irpeg, Irap e Iva, derivanti dall’annualità di imposta 2000, in quanto la relativa dichiarazione non risultava acquisita dall’anagrafe tributaria;

che il ricorso è stato illustrato da memoria, con la quale la ricorrente ha chiarito che il presente ricorso è stato sostituito da un successivo ricorso, passato per la notificazione in data 17 marzo 2010 ed iscritto al numero di ruolo generale 6068 del 2010;

che anche tale secondo ricorso è chiamato alla presenza adunanza camerale del 5 giugno 2017;

che di tali ricorsi va, preliminarmente, disposta la riunione;

che va peraltro rilevato che, vigendo nel nostro ordinamento processuale il principio generale della consumazione del potere di impugnazione, la parte, una volta che abbia esercitato tale potere, esaurisce la facoltà di critica della decisione che la pregiudica e non può, in seguito, proporre una seconda impugnazione;

che detto potere non potrebbe ritenersi consumato allorchè l’impugnazione sia invalida, ma non sia stata ancora dichiarata improcedibile o inammissibile: in questo caso, infatti, ai sensi degli artt. 358 e 387 c.p.c., il soccombente conserva la possibilità di proporne una seconda, purchè nel termine di decadenza previsto dalla legge (cfr. Cass. S.U., n. 15721/11; Cass. n. 996/08; Cass. n. 13062/07);

che, conseguentemente, nell’ipotesi in cui la parte impugni tempestivamente la sentenza d’appello con due identici ricorsi per cassazione, proposti l’uno di seguito all’altro, possono prospettarsi due sole alternative, a seconda che il primo di essi abbia o meno validamente introdotto il giudizio di legittimità: nell’un caso il ricorso successivamente proposto andrà dichiarato inammissibile; nell’altro, invece, dovrà essere esaminato in ragione dell’inammissibilità del primo (Cass. n. 24332/2016);

che, in applicazione di tali principi al caso di specie (perfettamente corrispondente all’ipotesi da ultimo considerata, della successiva proposizione di due impugnazioni contro la stessa sentenza) – essendo ammissibile il ricorso preventivamente notificato e iscritto a ruolo – è il secondo ricorso a dover essere dichiarato inammissibile (quello iscritto al n. 6068 del 2010);

che la Ctr, fra le altre ragioni di censura avanzate dalla Finsev S.p.A., fu chiamata a valutare la tesi della contribuente, che aveva negato l’omissione posta a fondamento della pretesa impositiva sulla base dei seguenti rilievi:

– la dichiarazione fu consegnata dalla contribuente a un intermediario abilitato;

– per questa ipotesi, le disposizioni all’epoca vigenti prevedevano che la dichiarazione doveva ritenersi presentata nel giorno della consegna;

– la consegna risultava da dichiarazione rilasciata dallo stesso intermediario incaricato;

che la Ctr non ha condiviso tale impostazione e la decisione è impugnata sulla base di tre motivi;

che il primo motivo censura la sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 4, perchè i giudici d’appello, in assenza di contestazioni sul punto, avevano ritenuto che la contribuente non avesse offerto una prova sufficiente del fatto di essersi affidata a un professionista per la predisposizione e la trasmissione in via telematica della dichiarazione;

che il motivo è inammissibile, perchè il rilievo su cui si appuntano le censure della contribuente è privo di qualsiasi incidenza sulla decisione, la cui ratio è da ravvisare in quei passaggi motivazionali nei quali la Ctr pone in luce che la consegna al professionista non avrebbe comunque dispensato il contribuente dal controllare che “gli adempimenti fiscali fossero poi effettivamente eseguiti”;

che il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 3, comma 8;

che la tesi sottesa al motivo in esame è che non può ritenersi omessa la dichiarazione qualora questa sia stata consegnata dal contribuente a un intermediario che abbia nei termini rilasciato una dichiarazione con la quale si era impegnato a curarne la trasmissione all’Agenzia delle entrate; insomma, secondo la ricorrente, la dichiarazione doveva ritenersi presentata a seguito di tale consegna, pur se il professionista non aveva poi dato seguito all’impegno assunto;

che il motivo è infondato: secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, gli obblighi tributari relativi alla presentazione della dichiarazione dei redditi ed alla tenuta delle scritture non possono considerarsi assolti da parte del contribuente con il mero affidamento delle relative incombenze ad un professionista, richiedendosi altresì anche un’attività di controllo e di vigilanza sulla loro effettiva esecuzione, nel concreto superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento dell’incarico ricevuto (Cass. 12472/10; Cass. n. 27712/2013). Ne consegue che l’affidamento a un commercialista del mandato a trasmettere per via telematica la dichiarazione alla competente Agenzia delle Entrate non esonera il soggetto obbligato alla dichiarazione fiscale a vigilare affinchè tale mandato sia puntualmente adempiuto. Pertanto è preciso obbligo del contribuente, quando si rivolga a un intermediario abilitato per la compilazione e la trasmissione – ovvero per la sola trasmissione telematica del modello, quello di far si che la dichiarazione sia correttamente e fedelmente compilata e tempestivamente presentata (cfr. Cass. n. 13068/2011; Cass. n. 27712/2013);

che per quanto implicito nelle considerazioni che precedono, si ritiene di rimarcare che l’infedeltà dell’intermediario il quale, incaricato del pagamento dell’imposta e della trasmissione della dichiarazione dei redditi, ometta di provvedervi, quand’anche accertata in sede penale, non esonera il contribuente dal pagamento dell’imposta stessa, rimanendo non dovuti soltanto gli interessi e le sanzioni, in base al principio di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3, (Cass. n. 8630/2012);

che la sentenza impugnata, perfettamente in linea con tali insegnamenti, è esente dalle censure mosse con il motivo;

che il terzo motivo, il quale deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di motivazione, presenta una pluralità di profili di inammissibilità, innanzitutto perchè manca il momento finale di sintesi prescritto dall’art. 366 – bis c.p.c, norma applicabile nella specie ratione temporis;

che la mancanza del momento di sintesi determina l’inammissibilità del motivo anche quando “l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito” (Cass. n. 24255/2011);

che inoltre la motivazione della sentenza è contemporaneamente assunta come omessa, insufficiente e contraddittoria su una pluralità di fatti distinti, alcuni dei quali, peraltro, non sono neanche “fatti”, ma questioni giuridiche (in particolare i riflessi della omessa dichiarazione sull’esercizio del diritto di detrazione; e la possibilità di compensare con i crediti Irpeg e Irap derivanti dal periodo per il quale fu omessa la dichiarazione con le corrispondenti imposte del 2001); laddove, secondo il costante pacifico insegnamento di questa Corte i relativi vizi o costituiscono errori in iudicando censurabili ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, oppure, se attengono propriamente e soltanto alla motivazione, non danno luogo a cassazione della sentenza, ma a correzione della motivazione in diritto ex art. 384 c.p.c., u.c., (Cass. n. n. 19618/2003; n. 6328/2008; n. 7050/1997);

che per quanto riguarda infine la richiesta subordinata del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sulla questione “se sia compatibile con la disciplina comunitaria il mancato riconoscimento del credito Iva emergente dalle registrazioni e liquidazioni periodiche effettuate, nonchè dalle comunicazioni inviate con cadenza mensile all’Amministrazione finanziaria, nel caso sia stata omessa la dichiarazione annuale”, la medesima richiesta, in quanto riflette un aspetto oggetto di motivo dichiarato inammissibile, non è configurabile (Cass. n. 4046/2017);

che solo per completezza di esame si segnala che la questione è stata oggetto di recenti interventi delle Sezioni unite: tenuto conto della soluzione data con le relative pronunce, il dubbio di compatibilità ventilato dal ricorrente non ha ragione d’essere (Cass., S.U., n. 17557 e 17558 del 2016);

che, in particolare, le Sezioni Unite, hanno posto i seguenti principi:

– è possibile riportare a nuovo un credito IVA derivante da una dichiarazione omessa al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, se e nella misura in cui sia dimostrata l’effettività dello stesso credito;

– è consentito chiedere il rimborso con la procedura prevista per l’indebito oggettivo come, peraltro, già ammesso dall’Amministrazione finanziaria;

– l’Ufficio può disconoscere il credito IVA riportato a nuovo con la procedura automatizzata dell’iscrizione a ruolo, senza che sia necessario procedere alla notifica di un avviso di accertamento, fatta salva, nel successivo giudizio d’impugnazione della cartella, l’eventuale dimostrazione a cura del contribuente che la deduzione d’imposta, eseguita entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, riguardi acquisti fatti da un soggetto passi d’imposta, assoggettati ad Iva e finalizzati a operazioni imponibili;

che con la memoria ex art. 378 c.p.c., la ricorrente deduce che tale prova era stata fornita e che, conseguentemente, il credito Iva derivante dall’anno di imposta 1999, riportato a nuovo nella dichiarazione per l’anno 2001, non avrebbe potuto essere disconosciuto dalla Ctr;

che le deduzioni sono irrilevanti, in quanto non correlate a uno specifico mezzo di impugnazione diretto a censurare ammissibilmente e con il mezzo di impugnazione appropriato la valutazione espressa dalla Ctr sulle conseguenze dell’omessa dichiarazione Iva;

che per le medesime ragioni sono irrilevanti le considerazioni riguardanti la mancata considerazione della prova che la ricorrente assume di avere fornito con riferimento alla compensazione delle altre imposte;

che, in conclusione, il ricorso va interamente rigettato.

PQM

 

riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso iscritto al n. 5959/2010; dichiara inammissibile il ricorso n. 6068/2010; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nell’importo di Euro 13.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2017

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