Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18086 del 02/09/2011

Cassazione civile sez. I, 02/09/2011, (ud. 02/03/2011, dep. 02/09/2011), n.18086

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.A. e P.S., elettivamente domiciliati

in Roma, via Valadier 43 presso lo studio legale Romano,

rappresentati e difesi dall’avv. Portoghese Antonio, che li

rappresenta e difende per procura in atti;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di appello di Roma in data 11 marzo

2008 nei procedimenti riuniti n. 54196/2006 e 54200/2006 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 2 marzo 2011 dal relatore, cons. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, dott. PRATIS Pierfelice, che nulla ha

osservato.

LA CORTE:

Fatto

OSSERVA

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata al difensore dei ricorrenti:

IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. D.A. e P.S. hanno proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello di Roma in data 1 marzo 2008 in materia di equa riparazione L. n. 89 del 2001, ex art. 2;

1.1. il Ministro della Giustizia intimato non ha svolto difese;

OSSERVA:

2. il primo motivo appare manifestamente fondato, in quanto con riferimento alla procedura fallimentare la valutazione in ordine alla sussistenza della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo va effettuata avendo riguardo alla sua durata complessiva, che per il creditore ha inizio con la domanda di ammissione al passivo e non, come ritenuto nel decreto impugnato, con il provvedimento di ammissione al passivo (cfr. Cass. 2005/17998;

2010/8169);

2.1. il secondo e il terzo motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto, in relazione alla complessità della procedura fallimentare di cui trattasi, connessa all’esigenza di realizzazione di due masse di attivo immobiliare, la determinazione della durata ragionevole in sette anni appare conforme al criterio stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte alla luce dei principi enunciati dalla Corte di Strasburgo;

2.2. il quarto motivo appare manifestamente fondato, in quanto la liquidazione dell’equo indennizzo nella misura di Euro 400,00 per anno di ritardo è inferiore in misura non ragionevole dai parametri quantitativi stabiliti dalla giurisprudenza di questa Corte alla luce dei principi enunciati dalla Corte di Strasburgo (Euro 750,00 per i primi tre anni di durata non ragionevole ed Euro 1.000,00 per ogni anno successivo;

3. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione in atti;

ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, devono essere rigettati il secondo e il terzo motivo, mentre meritano accoglimento il primo e il quarto motivo, con conseguente annullamento del decreto in ordine alle censure accolte;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; che in particolare – determinata in tredici anni la durata complessiva della procedura fallimentare, protrattasi per i ricorrenti dal marzo 1993 (presentazione della loro istanza di ammissione al passivo) fino al febbraio 2006 (chiusura del fallimento), e stabilito in sette anni, alla stregua di quanto rilevato in precedenza, il periodo di durata ragionevole di detta procedura, con conseguente determinazione in sei anni della durata non ragionevole – il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086; 2010/819); nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere a ciascuno dei due ricorrenti, in relazione ad una durata non ragionevole di sei anni, l’indennizzo di Euro 5.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente;

ritenuto che le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, compensate per la metà quelle del giudizio di cassazione in considerazione dell’accoglimento solo parziale del ricorso, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352) e tenuto conto della pluralità di ricorrenti, che però nel giudizio presupposto avevano agito unitariamente (cfr. Cass. 2010/10634), con distrazione delle spese stesse in favore del difensore dei ricorrenti, avv. Antonio Portoghese, dichiaratosi antistatario.

PQM

La Corte rigetta il secondo e il terzo motivo e accoglie il primo e il quarto. Cassa il decreto impugnato in ordine alle censure accolte e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di ciascun ricorrente della somma di Euro 5.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.240,00 di cui Euro 700,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, compensate per la metà, che si liquidano per l’intero in Euro 965,00 di cui Euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione delle spese di entrambi i giudizi in favore dell’avv. A. P., dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2011

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