Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18085 del 04/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 04/08/2010, (ud. 09/06/2010, dep. 04/08/2010), n.18085

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.G., elettivamente domiciliata in ROMA VIA TACITO

10, presso lo studio dell’avvocato DANTE ENRICO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CORUZZI ADRIANO, giusta delega in

calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI PARMA, MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 87/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

PARMA, depositata il 28/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/06/2010 dal Consigliere Dott. DIDOMENICO Vincenzo;

udito per il ricorrente l’Avvocato DANTE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.G. ha proposto ricorso per cassazione contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Regionale della Emilia Romagna dep. il 28/06/2005 che aveva rigettato l’appello della medesima avverso la sentenza della CTP di Parma.

La CTR aveva confermato la sentenza della CTP di Parma che aveva rigettato il ricorso della B.G. avverso l’avviso di accertamento per IRPEF, S.S.N. per l’anno 1994. La CTR ha ritenuto sussistente un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in favore di B.F., esercente l’attivita’ di commercio all’ingrosso di zucchero, desumibile dalle movimentazioni bancarie sui suoi conti che dovevano intendersi compensi per le attivita’ prestata in favore del B.F. e”non mere operazioni patrimoniali nell’ambito del rapporto affettivo” con il medesimo.

La ricorrente pone a fondamento del ricorso la nullita’ o inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento,la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 60 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 e vizio motivazionale. Il Ministero e l’Agenzia non si sono difesi.

La causa e’ stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere rilevata la inammissibilita’ del ricorso proposto contro il Ministero, che non era parte nel giudizio di appello dal quale doveva intendersi tacitamente estromesso perche’ iniziato dopo il 01/01/2001, e, pertanto, dopo l’entrata in funzione delle Agenzie delle Entrate(Cass. SS.UU. 3116/2006, 3118/2006).

Per quanto concerne l’Agenzia, col primo motivo la ricorrente deduce la nullita’ o inesistenza della notifica dell’avviso di accertamento in relazione all’art. 140 c.p.c. per essere stata effettuata “mediante deposito nella casa comunale di Parma” senza le indicazione del messo notificatore, del nome e indirizzo del destinatario, dei dati relativi alla raccomandata con cui si avvisava del deposito e delle preventive ricerche di cui all’art. 139 c.p.c..

La CTR osserva che la notifica e’ “avvenuta regolarmente secondo quanto prescritto dall’art. 140 c.p.c., per cui in caso d irreperiblita’ del destinatario il messo deposita la copia nella casa comunale dove la notificazione deve eseguirsi,affigge avviso del deposito alla porta d’abitazione dell’interessato e gliene da notizia per raccomandata con avviso di ricevimento. Tali adempimenti sono stati espletati”.

Anzitutto, ove tale affermazione fosse frutto di una “svista”, la ricorrente avrebbe dovuto, ricorrendone le altre condizioni, dedurre l’errore revocatorio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4.

Passando ad esaminare il merito della censura, questa Corte (Cass. 2006/10772; 1997/99032) ha ritenuto – in caso analogo – che nel processo tributario, in caso di impugnazione, da parte del contribuente, della cartella esattoriale per l’invalidita’ della notificazione dell’avviso di accertamento, la Corte di cassazione non puo’ procedere ad un esame diretto degli atti per verificare la sussistenza di tale invalidita’, trattandosi di accertamento di fatto, rimesso al giudice di merito, e non di nullita’ del procedimento, in quanto la notificazione dell’avviso di accertamento non costituisce atto del processo tributario. I superiori principi valgono anche nel caso in esame, per identita’ di ratio.

Le doglianze del ricorrente introducono pertanto inammissibili valutazioni di fatto avendo la CTR adeguatamente motivato sul contenuto della relata. Va infine richiamata la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2008/06347) che ha ritenuto che, in tema di sanatoria per raggiungimento dello scopo di atti invalidi, il principio generale enunciato espressamente per gli atti processuali dall’art. 156 c.p.c., comma 3, e’applicabile per analogia a tutti gli atti amministrativi, dunque anche agli atti di imposizione tributaria e l’invalidita’” sanabile si estende anche ai vizi attinenti all’atto in senso stretto. La rituale e tempestiva proposizione del ricorso ha pertanto sanato ogni vizio attinente alla notifica dell’avviso.

Col secondo motivo la ricorrente deduce la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 in quanto la presunzione di cui all’art. 32 predetto opera con riferimento alla prova di maggiori redditi e non gia’ alla qualificazione del reddito che deve essere provato dall’Ufficio.

Col terzo motivo deduce insufficiente e contraddittoria motivazione non essendo logico inferire dalla rimessa di somme nei propri conti l’esistenza di un rapporto di collaborazione, nemmeno utilizzando gli ulteriori elementi valorizzati dalla CTR e cioe’ la documentazione contabile rinvenuta nella sua abitazione e l’invio di fax per conto del B.F. per mezzo della utenza della Tecnopali s.p.a. di cui era dipendente la medesima, assumendo rilevanza invece il rapporto di convivenza col B.F., che operava in nero ed era oggetto di verifica, e che portava a qualificare le operazioni quali fiduciarie. I motivi per la stretta connessione logica e giuridica devono essere trattati unitamente. Gli stessi sono infondati.

Questa Corte (Cass. n. 7766/2008) ha ritenuto che il potere di accedere ai conti correnti bancari del contribuente, riconosciuto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, comma 2, puo’ essere esercitato al fine dell’accertamento tributario, perche’, ai sensi dell’art. 32, comma 1, n. 2, dello stesso atto normativo, i dati acquisiti attraverso l’ispezione bancaria sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; alle stesse condizioni sono altresi’ posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreche’ non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.

L’interpretazione di queste disposizioni normative, che e’ fornita dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte e alla quale questo Collegio ritiene di dover aderire, e’ nel senso che, in tema di accertamento delle imposte dirette, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2, introduce una presunzione legale relativa a carico del contribuente che sia titolare di conti correnti bancari. Cio’ significa che la stessa legge ritiene certo fino a prova contraria, che deve essere fornita dal contribuente, che tutti i movimenti di un conto corrente intestato al contribuente siano solo ad esso imputabili (vedansi, tra le piu’ recenti, le seguenti sentenze della Corte di cassazione:n. 2752/2009, n. 20858/2007; n. 16720/2007; n. 13819/2007; n. 6743/2007; n. 19330/2006; n. 14675/2006). Orbene dinanzi alla superiore presunzione di legge, il contribuente deve fornire la prova piena e non altra presunzione (semplice e, comunque non fornita delle caratteristiche della gravita’, precisione e concordanza) quale la convivenza.

Infatti in particolare si e’ osservato(Cass. n. 2007/25365) che, in subiecta materia, e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 “chiaramente impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilita’ e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziche’ costituire acquisizione di utili.

Pertanto, posto che sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale, anche perche’ non sempre a ricavi occulti corrispondono costi occulti, mentre a ricavi occulti possono accompagnarsi costi dichiarati in misura maggiore del reale” (Cass. n. 18016 del 09/09/2005).

Questa Corte (Cass. n. 11750/2008) ha chiarito, altresi’, che l’uso della parola “ricavi”, nella seconda parte della norma in esame, non e’ sufficiente per concludere che la presunzione legale (Cass. nn. 2438/2007, 9103/2001) ricavabile tanto dai versamenti quanto dai prelevamenti – si riferisca solo al reddito d’impresa, non a quella di lavoro autonomo. La lettera della norma non autorizza, infatti, l’interpretazione restrittiva – non avallata ne’ esclusa da Cass. n. 11094/ 1999, riguardante un caso in cui erano stati presi in considerazione solo i versamenti – giacche’ l’espressione “singoli dati ed elementi risultanti dai conti”, contenuta nel corpo di frase pacificamente riferibile anche ai lavoratori autonomi, comprende i prelevamenti.

Orbene la CTR fa corretta applicazione dei superiori principi nel momento in cui,con giudizio di fatto, ritiene non fornita alcuna prova da parte della contribuente di un diverso titolo della movimentazione.

Gli altri elementi (ritrovamento di registri iva dell’imprenditore sottoposto controllo nell’abitazione della B.G., la spedizione di ordini per conto dello stesso dal fax della ditta ove lavorava la ricorrente) – e qui si esamina il secondo motivo – non servono certo ad integrare la presunzione di legge di cui sopra, che esiste a carico del titolare del conto per il solo fatto che vi siano movimentazioni sul conto medesimo, ma sono valutati dalla CTR al fine di qualificare (se da lavoro autonomo, dipendente ecc.) il reddito sottratto a tassazione. Deve poi rilevarsi che, dall’esame dei motivi, risulta che la contribuente non fa oggetto di doglianza la carenza dei presupposti di un accertamento a suo carico (l’accertamento era iniziato a carico di B.F.) e, pertanto si verte al di fuori della ipotesi esaminata in Cass. n. 23852/09 che ha evidenziato che le risultanze di un c/c possono legittimamente, a norma dell’art. 32 giustificare la determinazione del quantum, laddove l’individuazione dei presupposti per un accertamento o una verifica deve trovare giustificazione non in questa ma in altre norme. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Non si provvede sulle spese non essendosi gli Enti intimati difesi.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso contro il Ministero e rigetta quello contro l’Agenzia.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Tributaria, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2010

 

 

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