Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18083 del 14/09/2016

Cassazione civile sez. I, 14/09/2016, (ud. 03/05/2016, dep. 14/09/2016), n.18083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30016/2011 proposto da:

B.M.. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE DI VILLA GRAZIOLI 20, presso l’avvocato LORENZO ALBANESE

GINAMMI, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA DI RIMINI CREDITO COOPERATIVO – SOCIETA’ COOPERATIVA,

R.A., P.F.M.;

– intimati –

nonchè da:

RIMINIBANCA CREDITO COOPERATIVO DI RIMINI E VALMARECCHIA S.C., per

fusione della BANCA DI RIMINI CREDITO COOPERATIVO – SOCIETA’

COOPERATIVA e della BANCA DI CREDITO COOPERATIVO VALMARECCHIA, in

persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA A. SERPIERI 8, presso l’avvocato GAETANO

BUSCEMI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SERGIO

DE SIO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.M., R.A., P.F.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 471/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 31/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato ALBANESE GINAMMI LORENZO che si

riporta ed insiste nell’accoglimento;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

BUSCEMI GAETANO che si riporta e insiste per l’accoglimento del

ricorso incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata il 31 marzo 2011 la Corte d’appello di Bologna, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda risarcitoria proposta da B.M. nei confronti della Banca di Rimini Credito Cooperativo – società cooperativa, condannando il primo: a) a restituire alla banca le somme percepite in esecuzione della pronuncia di primo grado, oltre accessori; b) a rimborsare alla medesima banca le somme versate, a titolo di rifusione delle spese processuali, in favore dei notai R. e P. nel giudizio di primo grado; c) a rifondere alla banca e al notaio R. le spese processuali relative al grado di appello.

2. La Corte territoriale ha rilevato: a) che il B. aveva fondato la propria domanda risarcitoria sulla pretesa illegittimità del protesto, senza mai specificare nell’atto introduttivo della lite e nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., quale condotta avesse inteso attribuire alla banca trattaria o al notaio che aveva levato il protesto; b) che neppure il giudice di primo grado aveva ritenuto l’illegittimità del protesto che era stato levato indicando come autore della firma di traenza B.M., soggetto diverso dal titolare del rapporto di conto corrente, cui accedeva la convenzione relativa all’emissione degli assegni, cogliendo la responsabilità della banca nelle insufficienti informazioni fornite al notaio, il quale avrebbe potuto svolgere le ricerche occorrenti all’individuazione della persona che risultava aver sottoscritto l’assegno; c) che, peraltro, l’istituto aveva diligentemente segnalato al notaio la duplice circostanza che l’assegno risultava rubato e che la firma di traenza apposta su di esso non era conforme a quella depositata; d) che il pubblico ufficiale aveva doverosamente levato il protesto a nome dell’apparente sottoscrittore; e) che dalla visura della camera di commercio prodotta in atti risultavano specificate le ragioni del mancato pagamento del titolo, con la conseguenza che doveva escludersi che il B. avesse subito alcun pregiudizio; f) che, infine, il B. neppure aveva dimostrato l’esistenza del “danno commerciale” – l’unico pregiudizio del quale aveva invocato il ristoro – subito.

3. Avverso tale sentenza, il B. propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi. La Banca di Rimini Credito Cooperativo società cooperativa resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. Il R. e il P. non hanno svolto attività difensiva. Nell’interesse di parte resistente, nel frattempo divenuta Riminibanca Credito Cooperativo di Rimini e Valmarecchia s.c. (d’ora innanzi, Riminibanca), è stata depositata memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica.

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1736 del 1933, artt. 11, 45, 62, 63 e 64, nonchè degli artt. 1176 e 2697 c.c., rilevando: a) che nessuna previsione autorizza la levata del protesto nei confronti di colui che non abbia sottoscritto l’assegno e, in conseguenza, non abbia assunto alcuna obbligazione; b) che la Code territoriale aveva omesso di considerare che gravava sull’istituto di credito l’onere di dimostrare che l’assegno era stato effettivamente sottoscritto dal B.; c) che la banca trattaria, ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933, art. 46, comma 1, n. 2 e art. 62, ben poteva far constatare il rifiuto del pagamento con una dichiarazione apposta sul titolo, che tiene luogo, seppur con il consenso del portatore, dell’atto di protesto; d) che con la necessaria cautela, in definitiva, la banca – che poteva rilevare la falsità delle firme di traenza attraverso un confronto con lo specimen – avrebbe evitato di segnalare al notaio la falsa circostanza che la firma apposta era quella di B.M., anche perchè la stessa era illeggibile.

Con il secondo motivo, si lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso, rappresentato dalla legittimità del protesto e dall’accertamento della riferibilità al ricorrente della firma apposta sull’assegno.

I due motivi sono infondati.

Secondo il condiviso orientamento espresso da questa Corte, in tema di protesto di assegno bancario, nel caso in cui la firma di traenza indichi un nome completamente diverso dal titolare del conto corrente, tale che non sia in alcun modo possibile ingenerare nella banca trattaria il dubbio dell’apparente riferibilità dell’assegno al predetto titolare, non vi è ragione di elevare il protesto a suo nome, giacchè è sufficiente, al fine di conservare l’azione di regresso contro gli obbligati, che il protesto sia levato a nome di colui che risulta aver emesso l’assegno (in conformità, peraltro, all’art. 4 della circolare 838/c del 3 maggio 1955 del Ministero dell’industria e del commercio recante istruzioni per l’uniforme applicazione della L. 12 febbraio 1955, n. 77, sulla pubblicazione degli elenchi dei protesti cambiari), non essendovi neppure interesse a conoscere il nome del titolare del conto su cui l’assegno è tratto, nè la sua solvibilità, in quanto non si è formalmente obbligato per la relativa somma, e conseguentemente risulta del tutto non inadempiente (Cass. 16 luglio 2010, n. 16617; v. anche Cass. 16 aprile 2003, n. 6006).

Ciò posto, il ricorrente, ancora una volta modificando l’identificazione della causa petendi, attribuisce alla Corte territoriale l’errore di avere ritenuto legittima la levata del proteso nei confronti di chi, per non avere sottoscritto l’assegno, non si era obbligato cartolarmente e di non avere considerato che gravava sulla banca l’onere di dimostrare che l’assegno in questione era stato effettivamente sottoscritto dal B..

E, tuttavia, anche a prescindere dalle condivise argomentazioni delle sopra citate decisioni di questa Corte, resta da rilevare che della eventuale – e per quanto sopra detto insussistente – illegittimità del protesto avrebbe dovuto rispondere il pubblico ufficiale, chiamato ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933, art. 60 e della L. n. 349 del 1973, art. 1, a levare il protesto, laddove non è chiaro, nel quadro dei rapporti tra banca trattaria e ufficiale chiamato a levare il protesto, quale sia il fondamento giuridico dell’obbligo, che il ricorrente individua a carico della prima, di verificare, non s’intende alla stregua di quali concrete possibilità di accertamento, che la sottoscrizione dell’assegno da parte di soggetto diverso dal correntista sia attribuibile a colui che appare come l’autore della firma.

La circostanza poi che la banca avesse la possibilità di far constatare il rifiuto del pagamento con una dichiarazione apposta sul titolo, ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933, art. 45, comma 1, n. 2 e art. 64, comunque non considera che si tratta di una facoltà esercitabile solo con il consenso del portatore.

In tale contesto, non colgono nel segno gli ulteriori rilievi del ricorrente. In particolare, con riguardo alla cautela – che la banca non avrebbe osservato – di evitare di segnalare al notaio la falsa circostanza che la firma apposta era quella del ricorrente “anche perchè la firma era illeggibile”, va, invece, sottolineato che la sentenza, con un accertamento fattuale non oggetto di alcuna critica da parte del ricorrente, ha rilevato che la firma non era illeggibile e che la banca si era limitata a segnalare al notaio che l’assegno risultava denunciato come rubato e che la firma di traenza non era conforme a quella depositata.

2. Il rigetto dei primi due motivi di ricorso, con i quali il ricorrente ha contestato la ritenuta insussistenza di un fatto ingiusto idoneo a giustificare la responsabilità della banca, comporta l’assorbimento dei restanti quattro motivi, con i quali il B., sotto i profili della violazione di legge e dei vizi motivazionali, critica la sentenza impugnata che, ad abundantiam, dopo avere osservato che l’attore aveva circoscritto la sua pretesa risarcitoria al discredito commerciale patito, si era altresì diffusa sull’assenza di prova di tale pregiudizio.

E’ infatti evidente che esclusa la sussistenza, a monte, della responsabilità, è assolutamente superfluo indugiare sulle questioni concernenti l’individuazione del contenuto del pregiudizio del quale si invoca il ristoro e la dimostrazione dello stesso.

3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, Riminibanca lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 336 c.p.c., rilevando che la Corte territoriale, dopo avere precisato in motivazione che il B., in ragione della sua totale soccombenza, doveva essere condannato al rimborso, in favore delle parti appellate costituite, delle spese del doppio grado di giudizio “come da separato dispositivo”, aveva poi, nel dispositivo, liquidato soltanto le spese del giudizio di appello.

La doglianza è fondata, dal momento che, nonostante la non equivoca decisione di condannare il B. alle spese del doppio grado, la sentenza impugnata non ha provveduto a disporre la condanna in favore di Riminibanca e a liquidare le spese del giudizio di primo grado.

Tenuto conto della nota spese prodotte, dell’attività svolta e delle questioni esaminate, la causa, in relazione a tale punto, può essere decisa nel merito da questa Corte, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, nei termini di cui al dispositivo.

4. In conclusione, i primi due motivi del ricorso principale vanno rigettati, con assorbimento dei restanti quattro. Il ricorso incidentale va accolto, talchè, decidendo nel merito, vanno liquidate le spese del giudizio di primo grado da porre a carico del soccombente. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta i primi due motivi di ricorso, assorbiti i restanti quattro, accoglie il ricorso incidentale e, decidendo nel merito, condanna il ricorrente al pagamento, in favore della banca resistente, delle spese relative al primo grado di giudizio, che liquida in Euro 2,746,00 per diritti, Euro 6.100,00 per onorari, Euro 356,77 per spese, oltre spese forfetarie e accessori di legge, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2016

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